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Emilio De Marchi

 

Giacomo l'idealista

 

 

 

PARTE PRIMA

 

I

 

L'AMICO GIACOMO

 

Giacomo Lanzavecchia mi scriveva sui primi di settembre: «Tiricordo la promessa che mi hai fatta di venir a passare qualche giorno alleFornaci. Non ebur neque aureum Mea renidet in domo lacunar... Ma c'èsempre la cameretta libera dello zio prete colla bella vista sul Resegone.Seguace dei pitagoriciio non sono cacciatorema c'è qui presso il"Roccolo" di don Andreadove sento che quest'anno i tordi si lascianopigliare volontieri. Se stenterai a pigliar sonno la notteti darò a leggerele bozze di stampa d'un certo mio "Saggio sull'Idealismodell'avvenire"che ebbese non lo sail'onore d'un mezzo premiod'incoraggiamento dal R. Istituto Veneto. Ma non spaventarticaro Edoardo! Sofare anche una polenta che non teme contraddizioni... Se discendi sabato seracolla corsa delle sette alla stazione di Cernuscosarò a prenderti collagrigia e col venerando Blitzun vecchio cane in cui dev'essere trasmigratal'anima penitente d'un antico scettico. I miei ti aspettano a cena».

Una timonella di due ruoteche si appoggiava colle duelunghe stanghe alla schiena d'una magra cavallache pareva un sistemaorograficofu lí pronta a ricevermi quando scesi alla stazione. L'equipaggiodi casa Lanzavecchiase avesse avuto l'onore di uno stemmapoteva scrivervidentro il motto: «AdagioBiagio!» perché tra cavalla e legno era tutta unasconquassatura d'ossa e di carcassa. Bestia e carrozza poiper il gran seccodella giornataeran coperti d'un denso strato di polvere come due palinsesti.

Giacomo in carniera di velluto color amarantocon in testaun gran cappellaccio di pagliami venne incontro appena mi raffigurò dietro losteccatomi strinse allo stomaco col braccio che teneva la frustami picchiòcoll'altra mano sulle spallesulla vitasulle gambecome se volesseassicurarsi che non c'era nulla di guasto nel vecchio amicoe dissesemplicemente: - Bravotrapezio! temevo quasi che non venissi. - Non so se perallusione ai miei studi di matematica o se per qualche somiglianza ch'io avessicolla figura d'un trapezioquesto era il nome che mi avevano regalato icompagni del collegio Ghislieri ai tempi beatiquando si studiava con Giacomoall'Università di Paviaed evocandolo l'amico sapeva di darmi gusto.

- Come vaGiacomo? - domandai al filosofo. - Sai che è ungran pezzo che non ci vediamocorpo di bacco baccone? Ti trovo quasi piúbello.

Il debole di Giacomo ai tempi beati era d'aspiraremodestamente al titolo di bel giovine. E veramentesenza essere Apollo Musagetepoteva piacere per un non so che di dolce e di arrendevole ch'era nella suapersona forte di campagnuolo e di ex garibaldino. Era biondoma d'un biondocaricocon due baffetti scarsi e due cespuglietti di una piccola barba d'oroalla punta del mentoche gli davano quasi l'aspetto di un giovine professoretedesco senza gli occhialiche sono cosí gran parte d'una soda dottrina. Gliocchi nella loro trasparenza cerulea lasciavano veder una gran bontà e unagrande indulgenzanon priva di quella malizia brianzuolache conserva forsenella sua vivacità lo spirito dell'antica razza celticache ha fondato epopolato i villaggi tra il Lambro e l'Adda. Se ora il bel giovinetto delcollegio Ghislieri era diventato un uomo alquanto trasandato e abbruciato dalsolee se la barbetta d'oro era diventata piú folta e piú scuragli occhiconservavano sempre l'antica dolcezza pensierosache svelavano il filosofo e ilpoeta anche al disotto della logora cacciatora e del cappellaccio di paglia.Nemico d'ogni saccenteriaGiacomofiglio di Mauro Lanzavecchiail fornaciaiodel Ronchettoportava in tutte le sue abitudini una originalità quasisignorile e ridenteche in molti incontri avrebbe potuto ricordare l'arguzia diSterneun altro celta anche lui. In filosofia dopo aver vagolato a vent'annicon Hegel negli spazi sconfinati dell'Esseredopo aver disprezzato per qualchetempo il suo simile con Schopenhauer in causa di un pignoratario che gli avevasequestrato il tabarroa poco a poconon ancora mortificato dall'esperienzaandava raccogliendosi nel concetto d'un idealismo pieno di simpatieche glifaceva sperar bene della natura e degli uomini. In questo suo tenero ottimismoentrava probabilmente una certa fiammache gli scaldava il cuore da un pezzoperché pare quasi dimostrato che l'amore sia un buon maestro di filosofia. Ledonne entrano dappertuttofin nei dialoghi di Platone. Per una certa esitanzanaturalefrutto d'incontentabilità e del rispetto ch'egli nutriva per laveritàfinora l'amico nostro non aveva ancor dato che qualche tenue saggio delsuo ingegno e della sua dottrina in una dissertazione sull'Energia moraledell'educazionedove con tratti non comuni aveva cercato di abbozzare iltipo dell'Uomo modernoprima che s'inventasse questa nuovacorbelleria del Superuomo. Egli carezzava in questo suo primo saggio unideale d'uomonel quale il sentimento avesse d'andar d'accordo colla ragionecome l'ala e l'aquila. Ma il filosofo delle Fornaci sperava di farsi meglioconoscere col suo nuovo studio sull'Idealismo dell'avvenirerivoltospecialmente contro il pedestre meccanismo della scuola positiva. Con tutta lasua coltura filosofica e filologicacolpa in parte le condizioni della suafamiglia e in parte l'indole sua un po' scontrosa e schiva del farsi avantidopo cinque o sei anni dacché aveva prese le sue due laureeGiacomoLanzavecchia era costretto ancora a litigare col pane in un collegio di pretipoco discosto da casa suae vi insegnava la grammatica latina ai ragazzi delginnasio. Come a chi studia per il gusto di studiareunicamente per cavare dailibri qualche utile esperienza e qualche consolazione per sé e per gli altrigli mancavano forse le attitudini pratiche per prepararsi quei quattro o cinquechilogrammi di carta compressa e stampata che giovano nei concorsi governativi.E questo spiega la sua poca fortuna nella carrieradove per riuscire bisognapesare di piú. Inoltre Giacomo dava cosi poca importanza a sé stesso che anchegli amici erano quasi costretti a non stimarlo troppo per paura di far offesaalla sua modestia. Un terzo suo difettopreso come filosofoera di voler direle cose con tanta chiarezza che quasi non pareva piú filosofia. Si sa che idottispecialmente i filosofiamano scrivere in uno stile elevatopieno dimisterifatto apposta per non lasciar entrare i profani nel sacro tempio delsapere; Giacomo invece non aveva ripugnanza a pensare e scrivere come tutti glialtri. Leggendo le sue paginette cosí sobriecosí domestichecosí allamanopareva di non trovarci nulla che non fosse già prima nel senso comune edirò cosínell'aria respirabile: nulla che non potesse diventare patrimoniodi tuttie questo gli toglieva molta autorità presso coloro che imbottisconod'ombre la verità e ne fanno un cuscino alla loro prosopopea.

- Come stanno in casa tua? - gli domandai.

- Tutti bene. Salta su che ti aspettano - disse aiutandomicolle due mani a montare sulla timonellache sotto alle scosse oscillò comeuna gelatina.

- EhiBlitzdormi? - gridò Giacomo schioccando in aria uncolpo di frusta. Al rumore si mosse qualche cosa d'ispido in mezzo alla strada eil cane prese a correre davanti alla carrozza per prepararci una bella nuvola dipolvere. Colla punta della frusta il filosofo raschiò il collo della grigiache dondolò la testa in atto di compatimentomosse un pezzo lo scheletro sottola pelle senza mai riuscire a mover questaallungò dolorosamente il collo edopo una penosa riflessionefinalmente si rassegnò a partire.

Si prese subito a correrecioè per dir giustoa ballaresulla strada che dalla stazione mena al piccolo borgoeattraversato questosi voltò a man destralasciando a sinistra la torre rotonda di Merateper lalunga strada diritta che va a Imbersago e al passo dell'Adda. Il Resegone coimonti contigui e coi verdi colli digradanti ci si spiegava davanti come unimmenso scenario.

- Non sarò di disturbo ai tuoi? - chiesiquando uscimmo daisassi rumorosi dell'abitato sulla terra molle della strada.

- Tu non sei una conoscenza nuova per mio padre.

- Si ricorda ancora di me?

- Mi domanda spesso notizie del mio amico delle canzonette.Ti ricordi quando venne a trovarci a Pavia?

- Che ci pagò un magnifico pranzo...

- Si è divertito tanto alle tue burlette al cembalo.

- Allora si era allegri e matti. Quanti anni son passati?

- Seisetteotto... che giova a contarli? passano lostesso.

- Io ne ho ventisette.

- E io ventinovetrapezio.

- E insegni sempre in quel collegio di pretidove?

- A Celanalassú - disse Giacomoindicandomi colla frustaun punto sotto il monte Albenza.

- A star coi preti s’impara a dire il rosario - osservaicon un pizzico d'ironia.

- Ip! - fece l'amicolasciando andare una piccola frustatasui finimenti della cavalla. Dopo un istante riprese a dire con serietà:

- I miei non vedono volentieri che io vada lontano da casa.Son vecchi tutti e duebisogna aver pazienza. Volevi che accettassi un posto inCalabria o in Sicilia? Il governo non può far di piú per me; qui a Celana c'èanche un mio zio prete che insegnaspiega le coniugazionie come si fa?... ip!

Superato un dossettola timonella riprese ancora adiscendere e a traballare sulle antiche molleche conservavano tutta la lorogiovanile ed elastica resistenza. Un piede sprofondando nel rotto della magliadi cordache serviva di fondo alla carrozza mi restò impigliatoe fu quasi lamia fortunaperche a certe scosse e a certi trabalzi c'era a temere che ilsediolo mi avesse a lanciare netto nell'Adda come una bombarda. Giacomo avvezzoa quella ginnasticasi divertiva alle mie paure; anzi ebbe il coraggio dicitare Orazio:

 

... metaque fervidis

Evitata rotispalmaque nobilis

Terrarum dominos evehit ad deas.

 

- Bastason nelle tue manie sai quel che valgo.

- Abbi pazienzaora siamo alle Fornaci. Non aspettarti unpalazzove'. È un gruppetto di vecchie case intorno a due fornaci di mattoniche furono messe su da mio nonno verso il quaranta. Gli affari andarono micamale in principiotanto che mio padre poté allargare l'azienda e mettere daparte qualche soldo. Ma la costruzione di questa strada ferratadando un grancolpo al commercio fluvialeha sviato molti interessi. Il progresso non fa benea tuttie vuol le sue vittime come il carro di Budda. Desideravo per questo chetu venissi qualche giorno alle Fornaci per parlarti di queste nostre faccendeche non vanno troppo bene. Un ingegnere fa presto a raccapezzarsimentre contutto il mio latinocon tutto il mio greco e colla filosofia per giuntaio nonci capisco nulla.

- Ecco quel che si guadagna a studiar troppo... - dissiridendomentre Giacomo picchiava colla frusta una stanghetta per avvertire lagrigia che si poteva correre. La stradadopo un altro bel tratto in pianoricominciò a girare sotto un poggio coltivato a vitiche finiva in un belvedere su cui dominava un imponente palazzo.

- Casa Magnenzio... - indicò colla frusta - detto anche ilpalazzo del Ronchetto. Ti farò conoscere la contessina mia scolaradonnaEnrichetta.

- Tudunquenon insegni solo la grammatica ai chierichetti!

- Proventi delle vacanzemio caro. Conoscerai una famigliasimpaticaquantunque qui passi per gente clericale e di principiiintransigenti. La contessa è nipote del vescovo di San Zeno e il conte è unmezzo dottoun classico anche luichefuori dei suoi libris'intende dipoche cose. Ora è tutto occupato in una grande raccolta d'iscrizioniche fatrascrivere di quadi làdalle chiesedalle meridianedai cimiteri dicampagna.

- Ne avrà per un pezzopover'uomo...

- Egli dice che questa è la sua uccellanda... Qualchecosa bisogna pur fare a questo mondo.

In fondo alla strada comparve una chiesaun campanileunvillaggiocredo Imbersago; ma prima di arrivare alle casela grigia di motoproprio voltò a sinistra e si messe per un viottolone di terra rossicciaprofondamente solcato dai carriche menava diritto alle Fornaci. Dieci minutidopo la timonella si fermava davanti a un casolare che aveva tutto l'aspetto diun vecchio cascinale raffazzonato ad uso abitazione civilecol tetto sbilencocon un portico rustico al basso e una loggetta di soprarivestita da una vitemolto sparpagliata e polverosa. Un piazzaletto davanti all’ingresso col suobel pozzo all'ombra d'un gelso quasi secolareera ingombro di carridicarrioledi catastelle di legnadi mattoni arrimucchiati e addossati aipilastriin mezzo ai quali passeggiavano anitre e galline e conigliche alnostro arrivo si ritrassero in disparte senza mostrar né scompiglio né paura.Un contadino non vestito che d'una camicia sporca e d'un paio di calzoni difustagno color creta venne a staccare la grigiamentre noipreceduti da Blitzsi passava sotto il porticoun rustico e sgangherato portico colle grosse traviin vistanude e storte come la natura le aveva fatte; addobbate di ragnateledi gerledi roncoledi vecchi finimenti di carrozzadi tutto quel che siadopera e non si adopera nella casa della gente che lavora. Sul muro greggio eradipinta un'Addolorata a colori grossi e sbiaditi; e una lampadache ardevadavantidiceva che la vecchia fede non era sbiadita nella casa del signor MauroLanzavecchia.

- O pàsiete qui? - chiamò Giacomomettendo la testanell'uscio della cucina.

- Ohè lei l'amico che fa l'ingegnere? - domandò facendosiavanti nella luce quasi spenta del crepuscolo una vecchietta pulita pulitavestita di lanetta scuracon due o tre spilloni d'argento appuntati nella pocatreccia dei capelli sulla foggia delle contadine d'una volta.

- Bravo! Come sono mai contenta che sia venuto a far un po'di compagnia a Giacomo e a tenerlo allegro. Non guardi il sitoper carità!Siam gente che lavora.

- La mia mamma... - fece Giacomostringendo con fanciullescafamigliarità il mento acuto della donnetta tra l'indice e il pollice.

- Son contento di conoscerlasignora Santina. Giacomo miscrive sempre parole d'oro della sua mammetta.

- Figurarsisignor ingegneresiam gente del credo vecchio.Peròse non le dispiacela polenta la troverà buona... - La Santinaincoraggiata dal modo amichevole con cui avevo saputo entrare in casa suasorrise bonariamente accartocciando la faccia solcata di rughea cui l'aria eil sole avevano dato il colore della terra cruda.

- Dov'è questo pà? - tornò a chiedere Giacomo.

- È sabato e ha gli uomini da pagare. Giacomo intanto leaprirà la stanzasor ingegnere. Ci sarà dell'acqua e credo d'averci messoanche una spazzola. Ce n'è della polvere in questi paesi; quasi più polvereche miseria.

E con questa sentenzache essa pronunciò non senza unpesante sospiroche tradiva un segreto affannoci accompagnò fino ai piedi diuna scaletta interna che menava alla loggetta. Essendo già mezzo buioGiacomoaccese una candela al fuoco del caminosu cui bollivano due grosse pentoleemi menò alla stanza preparata per meche dava sul ballatoio colla vista sullavalle.

Per quanto non sia nelle mie abitudini l'osservare e ilcriticare quel che si fa in casa altruipure non poteva sfuggirmi il fantasticoguazzabuglio delle suppellettili e degli arnesiche ingombravano ilpianerottolo di quella loggetta. Pareva il refugium peccatorum dellacasa. Mobili fuori d'usocon qualche segno ancora dell'antico valoresacchi digrano accatastaticasse di ferravecchibarili vuotipezzi di lardo sospesiagli uncinipannocchie di grano turco che mettevano il loro giallo vivo inmezzo al lividore delle paretitutta questa roba parve muoversi al compariredel lume in cima alla scaletta e farsi incontro a darmi il benvenuto. Vidisubito che se in casa Lanzavecchia non mancava il lavoro che porta la robanonmancava nemmeno il disordine che la piglia a calci.

- Questa è la stanza dello zio prete - disse Giacomofacendo scorrere il paletto d'un vecchio uscio a due battentiche cigolò sugliinerti arpioni. - È la piú bella stanza del convento e la riserbiamo per gliamici. Ora ti porto l'acqua fresca e la spazzola.

- E che cosa dirà questo tuo zio pretequando saprà cheusurpo il loco suoil loco suo che vaca...

- Don Angelo non viene alle Fornaci che il tempo dellapassata dei tordi: e quest'anno poi ha gli esercizi spirituali.

Rimasto un istante solo nella stanzafeci un giro col lumeper rischiarare certe vecchie stampeche rappresentavano i fatti principalidella vita di San Carlo e resi il mio omaggio a S. E. il conte Romilliunarcivescovo di Milanoche ha fatto molto parlare di sé ai tempi del dominioaustriacoquandoprobabilmentelo zio prete cominciava a dir messa. Anche illettoil tavolinoil solido scaffaletto di libri e un seggiolone di vacchettaall'antica a spalliera dirittacoi bracciuoli di legno e le grosse borchie diottoneparevano ripetere nella loro tabaccosa austerità: «Sissignorenoisiamo dello zio prete».

- E la tua metafisica dove dorme? - domandai all'amicoquando tornò col secchietto dell'acqua fresca e colla spazzola.

- Di làverso il pozzoin una stanzadetta ab antiquo lastanza delle cipolleperché pare che una volta servisse di deposito a questetenere «del pianto umano antiche eccitatrici». E una reminiscenza di quel lacrymaererumsi sente ancora quando si tien chiuso un pezzo.

Giacomonella contentezza di rivedermiritrovava la venaumoristicache ai tempi beati faceva di lui uno dei meno rumorosima dei piúamabili compagni. Mentre compivo la mia semplice puliziami presentò Blitzildegno Blitze volle che riconoscessi negli occhi gialli e mesti del vecchiobarbone bastardo l'espressione del filosofoscettico seguace di Pirroneche viera trasmigrato.

- Alle volte penso che possa essere lo spirito stesso diEpicuro che mi ascolta. Vedessi come sta attento quando gli leggo le mie bozzedi stampa!

- E la chitarra la suoni ancora?

- Pende muta dal salice...

- E ti ricordi i famosi caffè che ci servivi nel gamellino?

- Il caffè del gamellino è una dissipazione che mi concedoancora insieme a peppinetta... - disse levando da un taschino dellacarniera una pipa corta e tozzache fece saltare nel palmo della mano. Poisoggiunse: - Ora ti presenterò alla mia famiglia. Vedrai gente cosí vicinaalla natura che quasi ne mostra il sasso.

 

 

II

IL SIGNOR MAURO LANZAVECCHIA

 

La cena era stata preparata all'aperto sotto un pergolatodella vignettadal quale pendeva una lucerna a petrolio. Fu il signor Mauro chemi venne incontro colle braccia aperte:

- Caro ingegnereche bel regalo! - dissestringendo nellesue mani corte e grassoccie i miei polsie storpiandoper far prestoil nomedi Mordini in quel di Morandini. - Venga quavenga quasor Morandini- dissetirandomi verso il pergolato illuminato - lei deve avere una fame d'anticristoimmagino. Metta di essere in casa del patriarca Giacobbe... Santinae il vino?chi mangia senza vinosenza archetto suona il violino.

Il signor Mauro era un vecchiotto ancor robustodalla testagrossa e quadrata sopra un collo grosso e cortodai grossi sopraccigli checominciavano a incanutiredal parlare rumoroso e cordialein cui amavaintercalare certi proverbi e modi di direche spesso non avevano che unsignificato approssimativo come i responsi delle antiche e misteriose sibille.Dove alle molte idee che gli bollivano in capo venivano meno le paroleeglisuppliva con gesti espressivi e con un socchiudere malizioso degli occhichevoleva dire: i furbi s'intendono... E veramente sarebbe stato come un usargliun'ingiusta scortesia il mostrare di non capire tutti i sensi riposticheavevano certe sue parole cabalistichequasi eruditee certi sottintesiprofondipieni di una malizia sopraffinache gli facevano fare gli occhiettipiccoli e aprire le larghe narici di quel suo naso ben piantato nel mezzo dellarubiconda faccia di galantuomo. Natura focosa e di primo impetopiú d'unavolta questa sua malizia gli aveva impedito di vedere quella degli altri; ecadde nelle trappole che gli tesero i furbi che non parlano. Ma in compenso eglipoteva dichiarare a voce alta che un Lanzavecchia non porta mai il cappellosugli occhi e può sempre dire pane al paneladro al ladro. Il Nonno NicodemoLanzavecchia aveva visto scappare i francesi nella famosa battaglia di Verderio;il padre Galdino Lanzavecchia aveva visto scappare i tedeschi nel quarantotto; el'attuale Mauro Lanzavecchia sapeva quel che vale questo centauro che sichiama il regno d'Italia... Come chi possiede piú idee che non parole peresprimerleil nostro vecchio amico era costretto a concentrare in certi suoivocaboli prediletti tutti i significati che non sapeva dove mettere; e siccomenon c'è nulla che meglio si adatti a un'idea confusa quanto una parola che nonsi capiscesa soltanto Iddio quel che egli intendesse direquando definiva ilregno d'Italia un centauro... cioè un mostro mezzo uomo e mezzo bestia.

- Provi questo diasproingegneree mi sappia direquel che ne pensa - ripreseporgendomi un tazzone colmo d'un vin rossochiaretto. - È un vino che tiriamo da questi nostri ronchitutto vinotuttod'un pezzosenza ricchezza mobile: un vino che non ha mai tradito nessuno. Invinum veritatemdillo tuGiacomoche hai studiato il vocabolario. Qualchevolta ne faccio bere una tazzetta alla mia vecchia legittimae vedesse comecanta.

- Vavachi ti crede? - fece la Santinacrollando la testain atto di rimprovero.

- Forse che il sor Morandini non sa come gira l'arcolaio? - Equisocchiudendo uno de' suoi piccoli occhi grigim'interrogò a lungocoll'altro su qualchecosa che io e lui dovevamo sapere. - Il sor ingegnere hastudiato la meccanica e sa da che parte ha il manico la tazza... - E rise forte;e risi anch'io per dargli gusto.

Nell'espansione di quel lieto istante m'invitò a togliermila giacchettaché avrebbe fatto anche lui lo stessovisto e considerato chetirava sotto il pergolato una bell'arietta frescanetta anch'essa di ricchezzamobile. Durante questi discorsi ai quali mi ingegnavo di partecipare con egualeespansionesforzandomi di alzare i toni per accordarmi all'intonazione alta deldirettore d'orchestrala mamma Santina finí di preparare la tavolaaiutatadalla Lisasorella di Giacomouna ragazza lungaricca d'ossicogli occhisporgentiche portava un tuppè di capelli neriirtiduri come lische.

Poco dopo l'uomoche aveva fermato il cavallo in cortemisein tavola una grossa polenta tondache oscurò col suo fumo la luce dellalampada e alla polenta tenne dietro una larga tegghia di rame con dentro stufatoe con un contorno di salsiccia annegata nel pomodoro. Le donne presero posto suuna panca di legnomentre sull'altra panca in facciaaccanto a Giacomovennero a sedersi i due fratelliuno di nome Battistadetto per far prestoBattistellae l'altroquasi ancora un ragazzo all'aspettochiamatoin onoredello zio preteAngiolino.

Tornavano allora allora dalle fornacinel loro succintoarnese di lavoro consistente in una grossa camicia di tela aperta sul pettocolle maniche rimboccateche lasciavano vedere due belle braccia rinforzatedalla fatica e colorite dalla polvere rossa del mattone cottoe i calzonitenuti in vita da una cintura di cuoio. Questi due giovinottidopo avermisalutato con un segno duro del capotuffarono subito il viso nel piatto.Giacomoseduto sull'angolo della pancavoltò il suo piatto al rovescio sullatavola per dimostrare che non era lí per mangiare.

- Ecco tutta raccolta la sacra famiglia - declamò il vecchioLanzavecchia colla voce piena e soddisfatta. - Lavoratori da una partefilosofidall'altragalantuomini tutti che non temono concorrenza. È la quartagenerazioneche cresce all'ombra delle fornacie spero di veder la quintasequesto centauro di governo mi lascierà respirare. Giacomo scriverà un giornola storia dei Lanzavecchia e dirà come su tutti i muri delle Fornaci siascritto: «Poverima onesti»... Solamente vorrei che Giacomo mangiasse di piúalla tavola di suo padre. Dacché s'è messo a rovistare nella filosofiafatroppo il patetico. Che bisogno c'è di viver magri? La gloria è una bella cosae anch'io in gioventú ho sognato di diventar maresciallo; ma sacco vuoto nonregge. Glielo dica anche leiingegnere.

- Sarà innamorato - dissi celiando per stare in armonia.

Giacomo arrossísorrisee mi pregò con gli occhi di noninsistere su questo discorso.

- Se è innamoratofa quello che fan tutti per mantenerequesto cataclisma di mondoe non sarà mai suo padre che gl'impedirà dimettere un cuscino sotto la testa se si sente basso. A ognuno la sua volta. Checosa dice il proverbio? Vicende umaneoggi la lepre domani il cane. Se nonprovvedono i giovinotti al meccanismochi mangerà il nostro frumento? dicobeneingegnere? Ese non fosse stata quella legnata tra capo e collo dellaRivaltagamba d'un cane... - soggiunse aggrottando le folte sopraccigliarannuvolandosi in viso.

- Lascia stare le malinconie quando si mangia... - interruppela Santinatagliando e quasi spazzando l'aria con un gesto frettoloso.

- Giacomo è il maggiore de' miei figlied è giusto chevada avanti agli altri. La sua posizione è fattae ora che il mondo deiprofessori sa chi ènon è necessario che sposi una mugnaia...

- Ci son tante contesse in giro... - scappò detto quasi adispetto suo alla Lisache non aveva mai aperto il becco fin quie a cui miparve di vedere che quel discorso irritasse le lische.

- O che mi vuoi tirar su le calze tu? - rispose il vocione dipà. - Io non ho mai negata la mia minestra a nessuno de' miei figliuoli. Chi ènato a portar farinachi è nato a portar cruscaper tua regolala mia maipettinata. Se Giacomo ha avuta la fortuna di trovare dei benefattori che l'hannofatto studiarenon è una ragione perché egli abbia a mangiare dei sassi. Nonsarà mai un disonore che il nome d'un Lanzavecchia sia stampato sul cartoned'un libro. Io non so che cosa è la scienzaperché la vacca quando ero unragazzo mi ha mangiato l'abbecedarioma mi diceva il conte Lorenzoquando sonoandato ieri a portargli le tegole per la rimessami diceva che a Bergamo e aVenezia son rimasti di princisbecco per quel che Giacomo ha scritto su quelcataclisma dell'avvenire: dillo tu come si chiama quel tuo libro per cui tihanno dato un premio. Né ioné tua madre non ne capiremo mai una saettaperché siam nati quando andavano ancora in processione le formiche; ma donLorenzo non è un'ocaein intuitoistruzionesa quel che pesano le lasagne.Io non so che cosa sia la scienzaripetoma fosse anche una scopail meritoè di saper adoperarla. E se quei signori di Venezia dànno un premio di tremila lire a un Lanzavecchiacapisciscarmigliona...

- Mi dànno menomolto menopà... - interruppe Giacomosorridendo.

- Poiché Dio ti ha dato il dono di maneggiare bene la pennadovrestigamba di un canescrivere qualche diaspro su questa porcheriadell'esattoreche ogni anno ti aumenta la ricchezza mobile. Sotto il cessatogoverno austriacoprima del sessantasi pagava il pane in questi paesi nonpiú di cinque soldi la libbrae per cinque soldi avevi un boccale di vino diMondònico che avrebbe fatto cantare i morti. Oggi questi italiani ti fannopagare sette soldi la libbra il panee dico soldi di cinque centesimi l'uno; ea stento per ottanta o novanta centesimi ti dànno uno scongiurato vin diBarletta che ti abbrucia le viscere. Sotto il cessatoun onesto padre difamigliache non avesse il capo alla politicaera sicuro di lasciare un po' didote alle sue figliuolefare una posizione a cavallo ai maschie salvarsi unbicchier di vin vecchio. Sotto questi che comandano adessouno non salvanemmeno i denari del suo funerale. E voglion che si gridi viva l'Italia!Grideremo: Viva i ladri! Che se domani volessiper citare un casomaritarequella povera cristiana- e nel dir queste parole il vecchio fornaciaio andavasegnando colla punta della forchetta la ragazza lunga e liscosa- dopoquarant'anni di sacrosanto lavoromondo scongiuratonon ho quasi da comperarleun paio di scarpe..

- O caro il mio pàse lo dite un po' piú fortevengono acercarmi i tre re magi - protestò la Lisaridendo nel piatto con un fare tral'amaro e il dispettoso.

- Sísícara la mia ricchezza mobile - seguitò quelrumoroso padre di famiglia. - Oggi l'aver dei figliuoli non è piú unaconsolazione. Ecco quel che dovresti scrivere in bel volgareGiacomoscriverloe stamparlo sulle loro gazzette a questi italianiche il diavolo porti sullaforca...

- Ohibòun uomo che ha avuto un figliuolo garibaldino... -provai a dire per far sonare un'altra corda meno stridente; ma il vecchioimpetuosoche cominciava a sentire le tazzette del suo vecchio diasproe cheda quel ch'era facile capiresedeva su vecchie piaghemi tagliò la parola inbocca per dirmistrillando come un'oca:

- Ehehsi è ben creduto che il Garibaldi e compagniabella dovessero portar l'abbondanza. A sentire gli italianoni d'allora sidovevano legare le siepi colle salsiccie e l'Adda doveva correre vin diPiemonte. Mondo scongiuratoche fallimento! per ogni garibaldino morto per lapatriason spuntati dieci esattori vivi che ti mangiano vivo... - E come secercasse di spegnere un gran fuoco internoMauro Lanzavecchia tracannò la suaquarta o quinta tazzetta.

In mezzo a questi discorsinei quali però né BattistanéAngiolino non misero mai parolala cena finí presto. La mia presenza forsedava ombra ai due giovanichefinito appena d'ingoiare l'ultimo bocconedettero una selvatica buona sera e se ne andarono pei fatti loro.

- Non tornare a casa come l'altro sabatoBattistellase nonvuoi che ti rinfreschi col secchio del pozzo - gridò il pà verso il maggioredei due che si allontanò zuffolando. Poivoltosi a mesoggiunse: - È unragazzo un po' corto di cervelloche si lascia facilmente ingarbugliare dalvino. Forse non è tanto la quantità che fa malequanto il meridionale che tivendono quest'italiani di osti.

Piú tardi venne a sedersi intorno alla tavolanellafrescura del pergolatoche tremolava teneramente al caldo riflesso dellalampadail maestro della bandae quel don Andreapadrone del «Roccolo»unprete bergamascoche avviò il gran discorso della cacciadelle allodoledeifringuellidelle quagliedei cani da nasodei cani da fermocon quellagravità di sentenzeche ogni buon bergamasco mette in questa specialeistituzione della sua provincia. Essendo sfuggito al prete un giudizio alquantoavventato sulle correnti d'aria della riva lombardadove la passata degliuccelli in certe stagioni è quasi nullatale da non pagare nemmeno la spesadelle retiil patriottismo del sor Mauro si risvegliò di botto come un leoneaffamato; e tra lui e quel pretucolo ruvido e nero come un carbonaioilbattibecco durò un pezzo con tanto calore che bisognò rinnovare il fiasco. Lasera passò d'incantoe non mi parve vero che fosse l'ora d'andare a dormire.Prima di salire a sognare la polenta colla ricchezza mobilemi lasciai condurreda Giacomo a fare un giretto intorno alle fornacisu cui batteva una bella lunad'agosto in ritardo.

 

 

III

 

 

UN FILOSOFO ED UN CANE

 

 

Quando la mattina aprii le persianee che il piú bel soleentrò a illuminare la stanza dello zio pretei vecchi mobili parverorisvegliarsi anch'essi a quell'ondata di luce. Quattro goccie cadute nella notteavevano rinfrescata e purificata l'aria per modo che l'occhio poteva scorrere eriposare sulla conca verde della valle dell'Adda e sulla grandiosa parete deimonti cheaddossandosi l'un dietro all'altropar che chiudanooltre la rivadel fiumei confini del mondo. Il Resegone colle sue creste agitate e colle suemassiccie rugosità sorgeva davanti come un gran muroa cui si appoggiassero leschiene e i declivi degli altri montiquale d'un verde scuroquale d'un verdetrasparentequale d'un azzurrognolo leggieroche andava a confondersi asinistra colle creste sfumate delle due Grigne di Leccocherarefatte dallenebbioline del mattinoparevan lí lí per sfumare nel cielo. Piú morbidapiú lenta si distaccava la linea del monte Albenza (quello stesso che vediamo aMilano sullo sfondo del corso di Porta Venezia)un gran pascolo verde senza unapuntasu cui il soledi man in mano che montava in suandava stendendo unaspecie di tappeto luminoso: e piú in basso ancorapiú oscuro per l'ombra epei boschiil monte Cantonel grembo sinuoso del quale Villa d'Adda sisparpagliava colle sue casecolle sue villein una fredda sonnolenza. L'Addanel fondo della conca verdesi vedeva or sí or no di mezzo ai fitti boschi difaggio e ai cespugli delle bassurequa in un piccolo specchio turchinoforseil laghetto di Briviopiù in giù in una bella vena color smeraldoe oltreancora in una breve rapida agitata da ricciolini biancheggianti. L'oscuritàverdein cui giaceva ancora il fondo prolungato della vallefaceva ancor piúcomparirecome un teatro illuminatoil lontano territorio di Lecco e lechiesuole isolate su questo o su quel poggio meglio esposto ai raggi del sole.

Essendo la festa della Madonna di settembreveniva dallavicina Madonna del Bosco uno scampanare solenneche risvegliava gli echi dellavalle e dava un non so che di gioioso e di sacro all'ariain cui sentiviscorrere quasi il sentimento e la mitezza del giorno di festa. Dopo avercontemplato a lungo in una estatica inerzia i vari aspetti del paesaggiousciisulla loggettache alla luce del dí perdeva molto del suo bello fantasticoeandai a bussare all'uscio dell'amico filosofo.

- Vieni pure avantitrapezio! - gridò Giacomo dal didentro; e quando ebbi spinto l'uscio: - Bravo- soggiunse - mettiti lí cinqueminuti su quella sedia di paglia fin che abbia finito di leggere a Blitz questabozza di stampa. La posta parte alle nove e non vorrei perdere una giornata.

- Fa conto ch'io sia il tuo cane - dissi sorridendo mentre mimettevo a sedere in un cantuccio.

Giacomoper riconoscere gli errori nelle bozze di stampaaveva bisogno di leggere a voce alta la sua filosofia a qualcuno; manonessendovi alle Fornaci chi avesse la pazienza di stare a sentire le sueastruserieobbligava Blitz a sedersi nel mezzo della stanza e a dargli ascolto.

- «Qual è la causa e qual è l'effetto? - leggeva ilfilosofoalzando di tempo in tempo gli occhi verso il caneche socchiudeva unpoco i suoi. - È l'organizzazione il principio della vita o è la vita ilprincipio dell'organizzazione? Quel che Claude Bernard ha detto della vitafisicaio psicologo posso dire della vita morale. Cosa meravigliosa in noi nonè tanto la varietà e la molteplicità dei fenomeni spiritualiquanto ilnascere e lo svilupparsi dell'uomo moraleche opera e cammina secondo un idealea cui egli non può resistere».

- Ti giuroEdoardoche questa bestia capisce tutto-interruppe Giacomo per lasciare un po' di riposo al cane. - Non solamente eglimi ascolta sempre con quell'immobile attenzione che vedi orama cogli occhi midice quando l'idea lo persuade e quando non lo persuadequando la sentenza èchiara e quando all'incontro è troppo filosofica. Se nel testo c'è pocaevidenzaBlitz chiude gli occhi e par che si addormenti come un buon cristiano.Mi lasci andare fino in fondo della pagina? Intanto si scalda l'acqua nelgamellino.

- Leggi pure: mi sforzerò anch'io di capirese non ti partroppa superbia.

Giacomo cambiò il fogliettoedopo aver richiamatal'attenzione di Blitzripigliò a leggere con un tono alquanto declamatorio:«Questo moto verso il miglioramento è la condizione necessaria della nostravita morale chenell'inerziatroverebbe la morte. Ogni passo dev'esserenecessariamente un passo avanti nella via del progresso idealeche è larisultante benefica di tutti gli altri progressi economici e scientifici». TipareBlitz?

Il cane mosse un poco il muso e fece dondolare le orecchie.

«L'uomo d'oggi è senza dubbio migliore di quello diieri...» sta attentoBlitz... - E volgendosi a me con uno scoppio di serenailarità - Guarda- disse - si direbbe che il vecchio scettico è poco persuasodi questa verità. - «Domani sarà ancor migliorefinchéreso padrone dellaveritàpotrà un giorno sedere ottimo arbitrogiudice conciliatore tra sé ela natura. Dal suo idealismocome da un trono inarrivabileil piccolo redell'universo stenderà sulla natura lo scettro ch'egli tiene per investituradivina e formolerà le leggi eterne della felicità...».

Blitzeccitato dal gesto e dallo sguardo ispirato del suopadrone non seppe piú stare alle mossee protestòse non sbaglio ilcommentocon due o tre abbaiamenti sgarbati e dispettosi.

- Vedi se in lui non c'è lo scettico pessimista? - proruppeGiacomoabbandonandosi a ridere sulla sua seggiolache perdeva le paglie peril di sotto. - Tutte le volte che io assicuro all'uomo una qualche superioritàil mio cane abbaia. Ma abbi pazienzaBlitz: ancora una cartella e poi hofinito.

Mentre Giacomo leggevae mentre l'acqua del caffè muggivanel gamellinosopra una fiamma a spirito in mezzo a un trepiedi di ferrofecicon l'occhio il giro delle quattro pareti di quell'umile camerettada doveusciva tanto orgoglio filosofico e tanta fede nella missione conquistatricedell'umanità. Un letto con un pagliericcio imbottito di foglie secchequattrosedie scompagnateun vecchio trumò del settecentopieno di libriun tavolinozoppo di tre gambe tenuto ritto da un vecchio Rimario del Ruscelliecco tuttol'arredamento. A capo del letto pendeva un quadretto della Madonna del Boscodiun gusto molto campagnuolocircondata da un rosario a grani grossi come lenocie da altri piccoli segni religiosiche svelavano una mano affettuosa eforse una pia sollecitudine. Se il pensiero è il diavoloi grani di quelrosario non erano ancor grossi abbastanza per cacciarlo via; ma Giacomo avevatroppa fede nella bontàper togliere alla sua mamma un'illusione. Dall'impostadella finestra pendeva la borracciache gli aveva servito nella disgraziatacampagna del 1866 nel Trentinopiccolo fastocheinsieme al gamellinoricordava una storia segnata di patimenti e forse di eroismidi cui non sidoveva mai parlare. Anche la vecchia chitarra pendeva attaccata a un chiodocoperta da un dito di polveretra due sacchi di granoun sacco di carbone e unarcolaio fuori uso.

L'indole di Giacomocosí facile ad arrendersi ad ognipiccolo bene che parlasse un po' fortenon pareva nemmeno accorgersi dellamediocrità e dello squallorein cui era nato e cresciuto. Abituato fin daragazzo ai gusti semplici e a cercare nelle reali compiacenze della meditazioneil sapore squisito anche delle cose che non si possono averenon solo nonprovava alcuna invidia per chi si pasce dei lauti favori della fortunama ilnon vivere di idee parevagli la piú compassionevole sorte che potesse toccare auna creatura ragionevole. - Scarpe rotte e la testa in paradiso... era il mottodella sua nobiltà di spirito. Questa soddisfazione tutta interiorecome lorendeva indifferente e spensierato nelle cose contingenti di questo basso mondolo rendeva altrettanto paziente nel sopportar i piccoli inconvenienti dellapovertàle umili molestie e i pregiudizi de' suoi di casai piagnisteifrequenti della mammache vedeva precipitare la sua casale fantastichedeclamazioni di suo padreche attribuiva al governo anche gli spropositi dellasua ostinazionele scontrosità di sua sorella Lisa (cheper far prestoincasa chiamavano Spaventapasseri)la povertà intellettuale di Battistachevedeva in lui un prediletto il quale andava spesso a tavola in casa dei signoriperché gli ripugnava la polenta e il merluzzo di casa sua.

- Ho bisogno che questa dissertazione sull'Idealismosia stampata prestoperché il premio non si può ritirare se non si presental'opera stampata. E non maicome in questi tempiho sentito il bisogno didenaronon tanto per mequanto per questa mia povera gente...

Giacomomentre parlavaandava rimestando con un cucchialeil caffè bollente nel gamellinocome soleva fare in collegio Ghislieriquandoc'invitava a una discussione metafisica nella sua camera.

- A mio padrecome forse avrai capitomanca il senso el'indirizzo della vita moderna. Egli crede che negli affari basti esseregalantuominiequel che è peggioimmagina che gli altri siano tuttigalantuomini come lui. Già da qualche anno si è lasciato trascinare in unafalsa speculazione con un certo signore che abita quassú a un sito detto laRivaltaun ex impresario che si è dato all'usuraun chiacchierone che incantacon la sua parlantina. Costuicol pretesto di un impianto d'una sega a vaporecredo che a quest'ora abbia già mangiato a mio padre una ventina di mila liree continui a mettere ipoteche su quel po' di terra che abbiamo al sole. Il malesi è che il povero pàper non spaventarsisi sforza d'illudersi eabilmenteraggirato da quel furbo di professionecrede che il suo denaro abbia a fruttaredomani il cinquanta per cento. Non volendoper un senso d'orgoglioconfessarei suoi torti a persona praticacova i suoi pensieri dentro di sécerca distordirsi colle barzellettese la piglia cogli italianicoll'esattorecollaricchezza mobilech'egli crede causa della sua rovina. Se noi potessimoaiutarlo... ma Battista non ha che le spalle di buonoe ora si è fitto in capodi voler sposare la figlia dell'oste della Praschettache è stata l'amante ditutti i carabinieri di passaggio. Angiolino è un ragazzo che dovrà prestoandar soldato. Ci sono ioil dotto... il sapiente... vale a dire il piúinutile. Se fosse grecopotrei dare un suggerimento; ma che vuoi che m'intendaio di mattonidi tegoledi sega a vaporedi mutui e di ipoteche?

Giacomo sorrise e cantarellò sull'aria del Crispino e laComare: - Maledetto il mio troppo saper.

Levò il gamellino dal fuocotolse dal trumò due chicchereche collocò sul tavolinodopo averne rimossa la gran montagna di libri e difogli scritti che vi stava sopraesedendosi accanto a medopo avermi battutofamigliarmente colla mano sui ginocchiriprese:

- Ecco perché ti ho invitatocaro Edoardoa passar qualchegiorno alle Fornaci. Mio padreche ha della simpatia per tenon avràdifficoltà ad avviare un discorso su questi benedetti suoi interessie tupotrai dargli un buon parere. Cerca di vedere un po' in fondo a questabirboneria della sega a vapore e delle ipotecheese è possibilediarrestare il male prima che diventi cancrena.

- Lo farò volentieri.

- Io ero tornato quest'anno con molti progettima limetteremo in guardaroba con pepe e canfora fino a un altro anno.

- Tu pensavi forse a prender moglie...

Giacomo si fece subito rosso in visocome soleva facilmentequando appena un'emozione un po' forte gli passava nel cuore. Versò il caffènelle chiccheretenendo delicatamente il gamellino per un'orecchiettaequando ebbe finita la delicata operazionesoggiunse:

- Sai che io son legato da un'antica promessa...

- Se non ricordo malesi chiamava Celestina questo tuovecchio idealismo.

- Vedi che non è un amore di ieri. Celestina è figlia d'unanostra povera parentechedopo essere stata mal maritata a uno scucito sartodi Oggionomorí nell'estrema miseria. Il pàcol suo gran cuoresi prese labambinache rimase sempre con noied è cresciuta con noicome una sorellafino all'anno scorsoquando la persuasi a entrare al servizio della contessaMagnenzio. Gli anni non sono piú quelli di primae in queste angustie lapoverina non voleva piú restare di peso a' suoi benefattori. E poi per mettersu casa non fa male l'aver un po' di quattrini in disparte. Un po' di quattrinileiil premio dell'Istituto ioi mobili dello zio preteche me li cedevolentieri c'era abbastanza per fare in modo che il nostro ente idealediventasse sussistente; ma anche per quest'anno non si potrà far nulla. Ieri ilpà mi fece capireche se gli potevo prestare cinquecento liregli avreilevata una spina dal cuore. Gli ho dato tutto quello che avevo su un librettodella Banca Popolare; e dico il vero chese l'Istituto volesse anticiparmi idenari del premiovorrei procurarmi questa consolazione di dire a mio padre:Prendeteè roba vostra. Sarebbe proprio una cosi grande consolazione per medi poter rendere qualche cosa a questa povera gentechese coi libri sipotesse far quattrinivorrei scrivere e stampare tutto quel che mi passa quadentro...

Giacomo si toccò la fronte colla manoe rimase un istantecogli occhi fissi alla luce della finestra. Poi lentamentecome se parlasse asé stessosoggiunse: - Tutte le volte che vedo mio padre sudar sotto il soleintento a caricare e scaricare mattoniche lo sento litigare cogli operai e coicapimastriquando torna dai mercati raucospossatoabbattutomentre io stoqui di sopra a conciliare i nominalisti coi realisti o a sostenere il concettodell'anima universaleprovo una tale mortificazione di questo sapere che non safar nulla...

- ScusaGiacomo- interruppi con grave intonazione - tulavori a sminuzzare la grammatica ai ragazzie ad elevare un edificio morale...

- Benbene... lasciamola li. - soggiunse con un sorriso trail lieto e il melanconico. - Intanto anche per quest'anno: cara Celestina addio.

Quantunque si sforzasse di cantarellare sul suo patimentouna tenera commozione tremolò nella sua voce. Povero Giacomo! a questo suoamore aveva consacrato la parte migliore della giovinezzaquando la donna èper la maggior parte dei giovinotti allegri o una lieta scapestreria o unabambola divertente. Nel suo ascetismo filosofico aveva accesa una lampadadavanti a una cara immaginee in questa luce mite che emanava dal suo cuoreinsieme alla sua virtú aveva potuto trattenerlo un santo rispetto per laceleste creaturache l'amore monello piglia col vischio. Il tempo che egliaveva occupato in aspettare non era stato perduto per lui e nemmeno per la bellaCelestinase è vero che anche la donna migliori nel pensiero dell'uomo chel'adora. Ma perché l'aspettare sia belloè necessario che non sia infinito.Se Giacomodunquesi doleva del suo destino non sapevo dargli torto.

- Non conosco questa tua Celestina- gli dissicompassionandolo - ma procuro di vederla co' tuoi occhi.

- Per il momento non potrebbe essere collocata piú bene.Conosco casa Magnenzio fin da ragazzoe quel che sono lo devo alla protezionedi questi bravi signori. Fu per un legato di questa buona famigliache hopotuto avviarmi agli studi nel Seminario di Cremona e bussare alla porta dellasacra teologia. Speravano di cavare da me un buon pretee quandoper noningannare la loro buona fedeho dovuto confessare che non ne sentivo lavocazionenon mi tolsero per questo la loro benevolenza. La contessa Cristinaè una donna d'animo e di coltura superioreche sa unire a una grandedelicatezza un sentimento elevato del dovere. In casa sua Celestina non può chemigliorare.

- E c'è anche una contessina?

- Donna Enrichetta è una bambina altabiondasemplice comeuna figura di frate Angelico. A proposito di leimi fai ricordare che le hopromesso un sonetto per i suoi quindici anni. Tu le vedrai stamattina allamessaperché per tua norma al Ronchetto e alle Fornaci si è tutti buonicristiani.

- Celestina vale una messadirò come Enrico quarto.

 

 

IV

 

 

ALTRE CONOSCENZE

 

Di maggio il nono - L'anno dieci sette

Videro qui Maria anime elette

 

dice una vecchia pietra del mille e seicento al luogo ove orasorge il Santuario della Madonna del Bosco; e dice ancora comequasi a confermadell'apparizioneun castano lí presso cheessendo di maggionon avevacominciato se non da poco a metter le fogliecomparve ad un tratto ricco deisuoi frutti. E quasi se ciò non bastassesi vuole che in questo bosco unfanciullettofiglio di poveri pastorivenisse azzannato da un lupo; ma laMadonnainvocata con fede dalla mamma del piccinoottenne che la mala bestiadeponesse sull'erba il fanciullo senza fargli alcun male. Non dice se il lupo sifacesse frate; ma il caso meraviglioso fu poi figurato in rilievo in mezzo a unagloria di angeli inverniciatiin una cripta sotto l'altarepresso uno zampillod'acqua freschissimache fa bene anche a chi non ci crede. Dalla cripta per unadoppia gradinata scende la scala santa nell'ombra del boscoper la qualecontinuo è l'andare e il venire dei devotiche lasciano ad ogni scalino un po'del peso della loro vita. Dalle terrazze del tempio la vista si apre sullavallefino alle ultime case del territorio di Leccoche biancheggiano sulmontecome lenzuoli messi al sole ad asciugare; mapiú che la vista lontanapiace l'ombra vicinapiace nelle ore calde e poco frequentate il silenziomistico del bosco e del sagratodove svolazzano le bianche colombe del Rettoreche vanno a bere alla fontana della Madonnae svolazzano i pensieri di chifugge al rumore delle cose.

Giacomoche era nato e cresciuto quasi all'ombra delsantuariostava descrivendone la segreta poesiaquando la brigata s'imbatténell'illustrissima famiglia Magnenzioche scendeva alla Messa dal sentiero delRonchetto. La villa co' suoi due piani spaziosie colle sue sessanta finestredi stile romanodominava nel mezzo d'un giardino accomodato come una pitturadall'alto d'un ampio terrazzoa cui si accedeva per un doppio ordine discalinate fiancheggiate da massicci vasi di terra cotta. Nella piena luce diquella bella mattina di settembrecol sole d'oro che si specchiava nelle lucidevetriate delle finestre e delle serrecoi viali umidi che mandavano il buonodore della terra misto ai mille profumi confusi che uscivano dagli sterratimessi a fiori e dalle serregiardino e palazzocolla bandiera bianca eazzurrasvolazzante sulla torrettafacevano pensare piú agli incantesimi diArmida che non alla sobrietà morale di una famiglia di clericaliche vicoltivassero i doveri del decalogo e i precetti della Santa Madre Chiesa.

Alla vista del conteMauro Lanzavecchia si levò il cappelloeagitandolo come una ventolaesclamò colla sua voce di maresciallo:

- Che bella Madonna di settembre eh!... sor conte...

Il conte Lorenzo Berengario Magnenzio di Villaltaquasi adispetto de' suoi nomi sonori e dei due draghi spiritati che si azzuffano daottocento anni nell'antico stemma della famigliaera un ometto di bassastaturagià sulla sessantinadall'andatura lenta e addoloratacome secamminasse sempre coi piedi nudi sui ricci delle castagne; ma era pure un granbuon uomorispettoso anche dei debolipauroso dell'ombra suadotto come unalibreriae non privo di quell'arguzia un po’ grassocciache piaceva ainovellieri del buon tempo anticotra cui messer Giovanni è il capo dei ladri.Purista appassionatoarcheologo non da buttar viapiú che a far libricom'èla smania nuova si divertiva a leggerlia patto che fossero libri scritti collemani e non coi piedi. Siccome però intorno a quel che sia lo scrivere benecome. intorno a quel che sia il buon governoognuno ha diritto di avereun'opinione suacosí il conte trovava che dal Monti in poi nella poesiae dalGiordani in poi nella prosain Italia non si era piú scritto un librotollerabile. Il Montiil Giordaniun poco di Botta e bott lísolevadire. Dopo di questiper colpa specialmente di quel bon omo del Manzoniloscrivere non è piú un'artema un mestiere che si fa in maniche di camicia.Non contenti di aver scassinata la vecchia sintassigiornalistipubblicistiromanzieri e perfino professori di università lavorano ora a tutto spiano ascassinare l'ortografiaintroducendo anche nella grammatica quella smania dinovità e di distruzione che entra dappertutto.

Come si sentec'era un tantino di pedante; ma nella penuriadesolante dei signori che studianodon Lorenzo si poteva dire uomo rarooriginaleun prezioso avanzo d'altri tempi e di altri gusti meritevole d'essereconservato nella bambagia.

La contessamaritata giovanissima a quest'arca di scienzapiù che all'alba della seconda etàsi poteva considerare arrivata allosplendido tramonto della prima. Alta della personaquasi maestosaconcapigliatura ricca di un biondo vivoche spiccava sulla carnagione d'unapallidezza sana e fiorentetemperava quel che vi poteva essere di troppo fortenell'indolecolla dolcezza d'uno sguardo aperto a una gran lucecollamodulazione d'una voce mediadi signorile morbidezzacolla grazia di unsorriso sempre pronto e corteseche metteva in vista dei denti bellissimi. Lasua condotta onesta e dirittadi una perfetta trasparenza moralela suareligiosità alquanto austera le aveva acquistato la riverenza non solo dei suoidipendentima il rispettopiú difficile a ottenerede' suoi paridi cui nonesitava a urtare colle parole e coll'esempio le facili transigenzele opinioniaccomodantii comodi pregiudizile volgari abitudini.

«Cristina è una vita parlante» soleva dire suo ziomonsignor di San Zenoparlando di lei. Credente fervida e sinceranonimmiseriva la sua fede in piccoli pensieri; ma aveva un'opinione cosí alta deidoveri a cui Dio destina la nobiltàche ai leggeroni di professione la suamorale non tornava sempre simpatica e di facile digestione. Ma chi potevaavvicinarla nell'intimità sentiva in lei l'energia d'una volontà che generaaltre buone volontàcome la forza del fiume che dove passa genera lavoro ericchezzae sopportava non mal volentieri un'autorità benevola e signorileche è una cosa ben diversa dell'autoritarismo delle anime volgarmentearistocratiche.

Costretta a essere forte anche per conto degli altrila suavirtú intelligente s'era andata via via concentrandonon senza forseirrigidirsi alquantoper necessità di resistenzanell'amore e nell'educazionedei figlinelle opere di carità e in quelle istituzioniin parte dipropagandain parte di reazioneche sono la sostanza piú vitale del programmadel partito conservatore.

- È peccato che il figliuolo non somigli né a suo padrené a sua madre - prese a dirmi la mamma di Giacomocolla quale ero rimasto indispartementre i Lanzavecchia presentavano il loro rispetto al conte e allacontessa.

- C'è anche un figlio?

- Sídon Giacintouna spina nell'occhio di questa signoracosí buona.

- Che cosa fa questo don Giacinto?

- Fa il bel giovine e l'ufficiale. Il ragioniere Riboni nonarriva a tempo a pagargli i debiti.

- Come state zia? - disse una voce dietro di noi.

- Oh sei tu? beato chi ti vede. Siam proprio diventateforestiere del tuttofigliuola.

- Ho molto a farezia.

- Questa è una mezza mia figliuola - disse la signoraSantina volgendosi a me. - Giacomo le avrà parlato di Celestina.

- E come! - esclamaiaprendo tanto d'occhi su quella famosabellezza a cui l'amico aveva consacrato un altare perpetuo. Vidi una giovinottasui vent'anni vestita come una camerieracon due bellissimi occhi neri egrandicol viso ovale e colorito delle belle ragazze brianzuoleche spiccavanell'amabile contorno d'una bianca cuffietta di rensafoggiata alla bretone.Vicino alla pallida bellezza preraffaellita della contessa Enrichettaquestasolida ragazzona del popolo faceva pensare a una bella santa del Rubens. Quelche vi poteva essere di meno classico nella sua floridezza di forme comparivacome ingentilito dal vestitino lindo e chiaro e dallo studio della contessachesapeva estendere intorno a sé un'atmosfera di saviezza e di composta eleganza.

Mi parve di scorgere che la fanciulla nel raffigurar Giacomoche stava parlando col contesi facesse a un tratto smorta smorta e trasalissecome spaventata. La contessa se ne avvide subitotornò verso di leisi fecedare i libri di preghiera che essa aveva recato con sée susurrandole infretta un comandoa cui la ragazza non osò opporsi la rimandò a casa. Tuttoquesto in un balenotanto che Giacomoche il conte aveva chiamato giudice inuna questione d'ortografianon ebbe tempo di accorgersene.

- Dunque avete visto Giacomo? anche il Rigutini ha sbanditol'j dal suo Vocabolario. D'ora innanzi non piú canteremo allelujamasoltanto alleluia...

Don Lorenzooltre al far sentire colla voce qual sia ladifferenza tra un j e un semplice ivolle disegnar le due letteresul suolo colla punta del bastone.

- Sicurocaro Giacomo - continuò il bravo signorementrerispondeva con un famigliare segno di mano alle scappellate dei contadini cheandavano raccogliendosi sul piazzale del santuario. - che cosa dirà il bojaquando gli avranno applicata questa caudae diminutio... - Estringendo gli occhietti fino a farli scomparire del tutto nelle pieghe dellapelleil conte aspettò che Giacomo assaporasse la malizia dell'osservazioneper continuare poi: - E dovremo oltre questo avvertire con un decreto tutti icaniperché da oggi innanzi cessino d'abbajare come han semprefatto fin qui. Sarà appena tollerato che abba-i-no... che abba-i-no...da non confondersi con abbaino - Ed esagerando con una specie diguaiolo il verso d'una cagnettail contea cui stillavano già due piccolelagrime dagli occhivolle far sentire anche al buon popolo quanto di serio visia in certe grandi e strombazzate riforme. E concluse: - Diremo anche questo unprodotto del liberalismo moderno? non vi pare piuttosto una minchioneria?

Giacomo assentiva con benevola indulgenza: ma il pàchestava ad ascoltare con rispetto e colla sua aria di fiera protestanon sapendoresistere alla voglia d'associarsi a un voto di biasimo contro quel mondobirbonerovinato dai liberalonientrò in mezzo per dire:

- Sa che cosa farebbe bene all'Italiasor conte?

- Sentiamosentiamocaro Mauro... - sollecitò il conteche amava riferirsi al buon giudizio popolare.

- Sei mesi di cessato governo farebbero bene con un po' di bankarause qualche forca qua e làper far presto.

- O povero Petrarcao povero Filicaja!... - esclamò ridendoil conteche vedeva ancora l'Italia (beato lui!) attraverso alle canzoni e aisonetti dei poeti classici. Ed era lí lí per citare un verso quando il suonodella campanella avvertí che la messa stava per uscire. La compagnia si salutòe si diviseseguendo l'onda del popolo che si affollava nell'atrio. La chiesanon molto vastafu presto piena dell'insolito concorso dei devoticheapprofittavano della bella giornata per onorare la Madonna. Molti che nonpoterono entrare si raccolsero sotto il porticoo andarono a sedere suimuricciuoli del sagratofin dove poteva arrivare il borbottamento frettolosodella messa di don Andreache aveva dovuto lasciare il «Roccolo» in unmomento impagabile. L'aria che da una settimana pareva stagnanterottafinalmente da un buon temporaletto di montagnamandava giú per la valledell'Adda correnti fresche con uno sterminio d'uccelli. Quella mattina sicominciava a vedere finalmente qualche tordo; quindi la messa fu piú spicciadel solito.

Io e Giacomo ci mettemmo a sedere sulla gradinatada dove lavista s'apre sulla valle. E quando nella chiesa ebbero intonate le litaniecessata la ragione del raccoglimentodissibattendogli la spalla:

- Mi congratulo col filosofo idealista. Abbiamo fatta laconoscenza di Celestina.

- Dove?

- Qua presso. La signora ha dovuto rimandarla a casa.

- Ebbene?

- Ebbenemolto bene. Per un filosofo distratto è forsetroppo bellama tu la meritipovero Giacomo.

- Aspettacavallinoche l'erba cresca... - disse con unsospiro.

- Non sarà sempre cosívedrai. La felicità non si compraa danaro. Da quel che sentoil figlio di questi bravi signori va a comperarsila rovina co' suoi denari.

- È vero. Don Giacinto può essere definito il fallimento ditutte le nostre massime educative. Cresciuto sotto gli occhi di una donna santae virtuosache lo raccomanda a Dio tutti i giorni nelle sue preghiereil carogiovanotto batte allegramente una brutta strada. Un po' le donneun po' losportun po' il giuocoa quest'ora ha già dissipata la dote di venti ragazzeda marito.

- E come spieghi il fenomeno?

- Che vuoi che ti dica? ai ricchi la virtú è piú difficileche a noi. L'ozioil rispetto umanolo spirito d'imitazionele digestionipesanti...

- Questo è del materialismocaro mio.

- Come ci sono i malati di denutrizionecosí ci sono gliesuberanti e i pletorici. Il conteimmerso ne' suoi libri e nelle sueiscrizioni non ha la forza di volere; e la contessa forse vuol troppocontroppo rigore e con troppo orgoglio. L'educazione se non è un equilibrio diforzeè una macchina che stritola. Se la povera donna si cruccian'ha di che.Essa ha provato varie volte a cambiar aria al ragazzo: l'ha tenuto in collegiopresso i gesuiti a Ventimigliase l'è tenuto in casa sotto la guida d'unprecettore tedescosuggerito dal cardinale Hohenlohe; ma il giovineche ègià grande e grosso come tre filosofidice che mammà lo vuol far morirtisico. Donna Cristina si compiace d'interrogarmi per vedere se nella miaprofondità pedagogica so dare un suggerimento: ma che rimedi possiamo suggerirenoipoveri pedagoghi che viviamo di pane e formaggioa questi giovinotti chepossono spendere venticinque lire in una colazione? Le madri vorrebbero poteredificare la loro casa sui figliuolie hanno ragione. Se questo orgoglio ènaturale in ogni donnapensa la contessa! Quando si nominano i Magnenzio diVillaltae piú ancora quando si parla dei San Zenonon solo in questi paesima a Cremonaa Milanoa Romaè come nominare la famiglia di Sant'Ambrogio.Il partito conservatore ha in questi nomi i suoi stemmi piú illustri: in hocsigno vinces... Dispiace veramente che un patrimonio cosí preziosodi buone condizioni vada sperperato nelle mani delle ballerine; ma sa piú beneil suo mestiere il diavolo che non tutti i moralisti presi in mazzo.

 

 

COMINCIANO I GUAI

 

 

Era mia intenzione di fermarmi alle Fornaci alcuni giornidurante i quali avrei potuto farmi una idea piú esatta delle condizioni in cuisi dibatteva il signor Mauroche mostrò di aver fiducia ne' miei consigli; senon che un improvviso telegramma da casa mi obbligò a partire la mattina stessadel lunedí. Pregai Giacomo di tenermi informato dell'andamento degli affari epartiipromettendo di ritornare appena egli avesse creduto utile di servirsidell'opera mia. Non andò molto che l'amico mi scriveva questa letterache fuil principio di una lunga via crucis di guai:

«Ieri ho avuto una lunga conferenza coll'avvocato Brognolicoe quel che prevedevo pur troppo si verificaanzi arriva troppo presto. Il miopovero padre è ridotto al punto che dovrà entro l'anno dichiarare il suofallimento; e siccome l'azienda dei Lanzavecchia è sempre stata condotta coisistemi primitivisenza i voluti registri di commerciocosí l'avvocato miavverte che c'è pericolo che il fallimento possa essere dichiarato doloso. Nonoso domandare quel che la legge riserva in questi casi ai colpevoli; ma sentoche intorno a me precipita la mia casa sulla bianca testa de' miei poverivecchi. Intanto mi domando quel che posso fare. Nulla di piú malinconico d'unagrande dottrina incapace. Tutto occupato a edificare delle magnifichecostruzioni idealisento che non saprei salvare un mattone da questa granderovina che ci travolge. Alla mamma non si può più nascondere la verità. Icreditoriche assediano di continuo il nostro uscios'incaricano essi di farlecapiree non sempre nel modo piú cristianoquel che mio padre con uno sforzosovrumano di energia e di dissimulazione ha sempre cercato di nasconderle. Lapovera donna ora non fa che piangeree mi domanda con voce spezzata daisinghiozzise alla sua età sarà costretta di stendere la mano. Battistachenon sa entrare(per sua fortuna) in certi dolori e che in questo momento nonsente che il bisogno di prender moglieimpreca e minaccia non so che cosasenon gli lasciano sposare la sua Fiorenza. Egli pretende la sua partevuoleandarsene a far casa da sé e non capisce che di casa non ce n'è per nessuno.Anche la Lisache fu sempre una ragazza di buon sensonon sa rassegnarsi aquesta disgraziae la sua lingua dice piú di quel che vorrebbe il suo cuore.Angiolino inveceche nella sua semplicità fanciullesca crede d'aver dirittoalla sua parte di felicitàmi domanda con una segreta speranza se ilfallimento lo salverà dal servizio militare. Il povero vecchio è diventatotorbido e intrattabile. Per stordirsi ricorre piú che non sia permesso alla suatazzetta di vinova da un avvocato all'altrominaccia cause e processi e tornaspesso la sera come non fu mai visto. La genteche vorrebbe trovare in lui unuomo ragionevole e accomodantevedendo ch'egli non si lascia piú cogliereprima di procedere a misure estremevien da mevuol sentire da me quel cheintendo di farenel riguardo dei creditori. Chi vanta un credito di millechidi cinquecentochi di cinquanta lirechi si appoggia a un'ipotecachi haprestato robachi esige il pagamento di alcune giornate di lavoro. A me viensulla punta della lingua di rispondere a tutti questi cari signori: - Io non sonullaio ho sempre studiata filosofia. - Che mi può suggerire in questi casiPlatone? - ma questi bravi signori vorrebbero almeno che io dichiarassi cheintendo assumere la mia parte di responsabilità. Nella loro ignoranza nessunoammette che io possa aver studiato tanto per arrivare a capir nulla; e credonoche operi con maliziaper lavarmene le mani e avere un pretesto di rinnegaregli obblighi di mio padre. Un uomo che si dichiara onestoche ha ricevuto ungran premioche è nelle grazie di molti signoridice questa buona gentenonpuò sottrarsi senza vergogna a certe obbligazioni morali. Un certo mugnaio diLavellouomo grosso e naturaleche si vanta di non portar barbazzale pernessunol'altro díalzando la voce nella mia stanzae mettendo le suemanacce infarinate nelle mie bozze di stampami diceva: - Se il sor Giacomotrova i denari per stampare le sue chiacchieredeve trovarli anche per pagarele cambiali di suo padre. La gloriaper sua regolanon la si fabbrica micaalle spalle dei minchioni. - E come se queste verità non bastasserocon untremendo colpo della sua manoabituata a sollevare i sacchi della. farinafecesaltare il calamaio sul tavolino e sprizzare macchie d'inchiostro sulle carte esui muri.

«Non credereEdoardoche io mi diverta a colorire questiepisodiper un cattivo gusto di far dello spirito sui nostri dolori. Ohse tuvedessi gli sforzi grotteschi della mia povera disinvoltura e della mia poveradialetticaquando cerco di persuadere il mugnaiol'oste della Fraschettailcarrettiereil capomastro ad aver pazienzaavresti compassione di me! Domanicercherò di rivedere questo avvocato (che avrà anche lui il tornacontocomeun filosofoad arruffare cose chiare)e procurerò di entrare nei particolaritecnici e legaliche minacciano di far comparire ladro e intrigante un poverogalantuomo che ha sempre lavorato come un martire per amore della sua famiglia.Cercherò anch'io di mettere la mano su quel fascio di carte bollate in cui èscritta una storia e una filosofia troppo vere per essere ideali. Non so quelche farò e quel che saprò fare; ma sento che ormai la mia strada è questa cheva tra le cosee che fu una grande sciocchezza d'aver battuto finoraquell'altra delle nuvole.

«Non so dove andrò ad attingere la forza necessaria perlottare contro questa tempesta; non certo nei libriche quasi non posso vederesenza provare uno stringimento di stomaco. Se non fosse che per il novembre devolicenziare questi quattro fogli di stampae ritirare quei quattro quattrini delpremioavrei già rinchiuso questi miei rimorsi in una cassae confinata lafilosofia sul tetto. Dicesti una volta che giova sempre avere una testa chepensa. Madomandoa che cosa serve il pensare la sua miseria? Che Blitzilvecchio scetticoabbia ragione quando abbaia?».

Era la metà di settembre. Mauro Lanzavecchia tornava sul fardella nottedopo una giornata calda e afosadall'aver visto il suo terzoavvocato a Oggionocolla brutta notizia in corpo che il tribunale di Leccosull'istanza dei piú ostinati creditoriaveva fatto dichiarare il fallimento.Questo era il bel risultato di una lunga e accanita battaglia che da due anni aquesta parte sosteneva egli solo contro la mala fortunacontro gli imbroglionicontro il governocontro l'agente delle tassecontro ogni sorta d'angherie edi strazi. Era partito a piedi da Oggiono per il bisogno di rompere in qualchegran sforzo la tremenda irritazione che il brutto avviso aveva prodotto nel suosangue già avvelenato e guasto. E per darsi forzae piú ancora per prepararsiun coraggio fittizio che l'aiutasse a portar a casa la sua condanna di mortes'era fermato lungo la strada alla soglia di parecchie osterie a bere qualchetazzetta del solito scongiurato meridionalea far delle celie amare cogli ostie cogli avventori contro questa perla di governo d'italianiche prima ruba aigalantuomini e poise non può scannarlili mette in prigione.

Quando giunse in vista del Ronchettoche dominava col suopalazzone come una macchia biancastra sul fondo oscuro del poggiosi fermò unrespiro in mezzo alla stradasi appoggiò colle due mani sul pomo del bastonefermo coi piedi nella polvere a contare le ore che scoccavano alla Madonna delBosco. - Sette... otto... nove... nove e mezzo... - contòmovendo un dito dopol'altro come se sonasse il cembalo. A quest'ora a casa sua dormivano già. Chefaceva lí nel buionel deserto di una strada? Se invece di voltar verso leFornaci avesse preso il sentiero che scende all'Adda? Or sí or noa secondadei voli del ventos'egli stava a sentiresaliva il rumore stridulo dei fiumea dirgli qualche cosa. «Canicanicani» diceva mentalmente con forza; dopotre generazioni di galantuominidopo quasi ottant'anni di onesto e indefessolavorotràcchetei Lanzavecchia erano costretti a dichiarare il lorofallimentoa lasciar portar via le fornacila terrala casavale a direcostretti a cercar l'elemosinaa mangiare il pane degli altria patire ildisonore come se si trattasse d'una stirpaccia di scongiurati italiani.

Insieme alla brutta parola di fallimento l'avvocato diOggiono aveva fatto capire per giunta che il tribunale avrebbe cercato i libri.Che libri?

I Lanzavecchia avevano scritto su tutti i muri: «Poverimaonesti...» questo sí; ma era inutile cercar loro dei libri. - Sarebbe bella-disse sospirando e fermandosi un'altra volta presso il muro del camposantosucui batteva il chiarore d'un pezzo di luna avvolta in una nuvolaglia piena diguizzi di caldo- sarebbe bella che si dovesseper far prestoandare ingalera.

E come se all'idea sola di questo curioso accidente sisvegliasse in lui la voglia di ridererise un pezzo di sé stessodondolandosisulle gambe stracchefacendosi vento al viso infiammato col cappello. In quelcamposanto lí vicino era sepolto Galdino Lanzavecchia suo padreche portavasul capo una croce di sasso con su scritto in parole di bronzo: «Negozianteprobo ed onesto...». Vicino a questa ce n'era un'altra di croced'un sassovecchio vecchio con su scritto in parolesbiadite: «Nicodemo Lanzavecchia uomooperoso e integerrimo...». Sarebbe stata bellagamba d'un caneche i suoifigliuoli dovessero scrivere sulla terza: «Mauro Lanzavecchiafallito come ungoverno»...!

Soltanto a pensarle queste cosesudava nella freschezza chela valle mandava su; ma egli aveva la fornace di dentro. Era un calore chegliabbruciava le viscereche tutta l'acqua dell'Adda non sarebbe bastata aspegnere. Che gli restava di fare? annegarsi? attaccarsi a una trave dellastalla prima che il governo mandasse i carabinieri ad arrestarlo? - O povero me!o me disperato per sempre! che cosa ho io fatto di male in tutta la mia vita?poveri mortiditelo voise non ho sempre lavorato con giustizia e con carità.E doveva proprio toccare a me questa maledizionea me che ho salvato centovolte gli altrie non solo a parolema coi fatticoi fatticoi fatti...

Un passo dopo l'altroguidato dalla pratica che fa trovareall'orbo la strada della dispensavenne fin presso le case del paesefinall'osteria della Fraschettache fa quasi da sentinella sull'incontro dellestrade. Un chiarore caldo traspariva attraverso le tendine rosse della portadacui usciva anche un brontolare spesso di voci rotto dai colpi di nocca che igiocatori lasciavano cadere sul banco.

Mauro montò sul primo dei tre scalini che mettono allabottega e cercò di ficcar l'occhio dentro per vedere chi c'era. Attraverso agliinterstiziche lasciavano le tende flaccide e mollivide la solita compagniacioè il mugnaio del Lavelloil sartoil magnano idraulicoil beccamortoraccolti sulle ultime tre carte di una partita a tresettea cui assistevanofumando un'oncia di pipadue o tre villani scamiciati. Una lampada tonda apetrolio versava dal palco su quel gruppo di faccie indurite dall'attenzione unaluce cruda e lividastra che sbiadiva sul fustagno sporcosulle rozze camicielasciando ombre nere negli angoli piú segreti della stanza.

Mauro cercò se c'era in bottega Francescol'osteil piúgrosso de' suoi creditori. Avaro come una formicaarido come l'escanon erauomo da regalare il suo a nessunoma il fornaciaio sperava che inconsiderazione del pattuito matrimonio fra Battista e la Fiorenzatrattandosidi mescolare il sangue e i denaril'oste avesse ad accettare una combinazioneche permettesse a un povero uomo di vivere gli ultimi giorni in casa sua e dimorire nel suo letto.

Forse era conveniente parlargliene subito e strappargli dibocca una promessa prima che la notizia del dichiarato fallimento gli arrivasseall'orecchio.

Esitò un momento prima d'entrareperchétra i solitiavventori seduti al bancoc'era la lingua maledica del mugnaio di Lavelloalquale Mauro si era creduto in obbligo di dare in piú d'un'occasionequalchelezione gratuita di educazione e di saper vivere. Gli pareva già di sentirne icommenti: - Come? (avrebbe detto il mugnaio) un sapientone come MauroLanzavecchia ha fatto crac? non è lui quello che inventò la polvere dipimpirimpara e la trivella per succhiellare i maccheroni? non aveva le manipiene di consigli per tutti gl'ignorantiche facevan diverso da quello chefaceva lui? non ha in casa un avvocato che stordisce l'Europa e il mondo interocolla profondità del suo immenso sapere?

Piú d'una volta e forse piú di quel che era necessarioilfornaciaio aveva vantato all'osteria davanti a quei quattro o cinque zoticoni iltalento eccezionale di suo figlio Giacomoun filosofo di primo ordinecapacedi mettere in un sacco tutti i professori di Pavia. Quando l'Istituto venetoebbe assegnato il premio alla dissertazioneMauro era venuto appositamente allaFraschetta colla Gazzetta di Venezia in manol'aveva distesa sul bancoperché leggesserose sapevano leggerequel che a Venezia si stampava in intuitodi un Lanzavecchia delle Fornaci; e picchiando col dito sulle parolenell'effusione dell'orgoglio paternoaveva sostenuto che l'Italia avrebbe avutoun altro Cesare Cantúo qualche cosa di piú rotondo ancora.

Nulla piú offende l'orgoglio degli ignoranti quanto iltrionfo d'un confinantenel qualecome avviene anche in politica e nellastessa filosofiasi suol vedere un pericoloso competitoree come taleilprimo e il piú vicino dei nostri nemici. Si aggiunga che l'orgoglio umano ècosi fatto che ogni lode data agli altri par sempre qualche cosa che non vienedata a noio che ci vien sottrattao per lo meno che ci vien ritardata coningiustizia e di cui dobbiamo un giorno o l'altro rifarci con un proporzionalerisarcimento. Era naturale adunque che gli ignoranti e gli invidiosi ridesseroora colla bocca larga del gran talento di casa Lanzavecchia e si pigliasserosulle disgrazie di Mauronon solo il capitalema anche gli interessi dellecambiali ch'egli aveva scontato in anticipazione. Sarebbe troppo infelice lavita degli sciocchise Dio non riservasse loro di tanto in tanto di questeconsolazioni.

Questi riflessiche si presentarono in nubequasi discorcio alla mente di Maurolo trattennero un poco sulla soglia dell'osteria eforse se ne sarebbe andato via senz'altrose uno di quei contadini che sedevanonell'osteriaaprendo improvvisamente la portanon l'avesse riconosciuto esalutato a voce alta. Egli si trovò cosí nella bottega portato da una volontàpiú forte del suo orgoglio. Girò gli occhi intorno e visto Francesco chesonnecchiava dietro una tavolacolle spalle appoggiate al muro e le bracciaincrociateil capo cascantela berretta sugli occhipassò in mezzo alfrastuono dei giuocatoriche commentavano rumorosamente la partitaesedutosiin faccia all'ostelo toccòdolcemente nel gomito.

- Siete voi? - fece l'ostedopo aver aperti dogliosamentegli occhi. - Ebbene? che vi ha detto l'avvocato?

- La va maleCecco... - disse il fornaciaio con voce copertada un pesante affanno.

- Cioè? - tornò a domandare l'amicosenza distaccare lespalle dal muroal quale pareva incollatosocchiudendo di nuovo gli occhiimpiombati dal sonno.

- Cioè... - disse Mauroche vedendo passare il piccolodell'osteriagridò: - Tuportami un mezzo litro del tuo scongiuratomeridionale. - Poi riprese sottovoce: - La va da caniCeccoma non è dettaancora l'ultima parola in quest'Africa maledetta. Solamente voidoveteprocurarmi altre cinque mila lire.

- Non vi convieneMauro - disse l'oste colla voce fredda concui soleva tirar le somme agli avventori. E come se non avesse più nulla adirechiuse la bocca e tornò a lasciar cascare la testa

- Voi non sapete quel che c'è in aria... - disse Maurocheper darsi un po' di forza riempí la tazzetta col vino che il ragazzo misedavanti; e dopo averla trangugiata tutta d'un fiato: - Son quarant'anni chefaccio il fornaciaio e sfido a trovare un mattone piú sincero del mio.

- È il vostro torto di lavorar troppo bene - osservò l'osteche sapeva a memoria la sua filosofiaaprendo un poco gli occhi rimpicciolitidi fronte alla luce tagliente della lucerna.

- Comincio ad accorgermi d'essere sempre stato una bestia-disse Mauroalzando alquanto la voce e lasciando cadere con forza la tazzettasul piatto.

- Non bisogna mai dirloMauro... - saltò su dal banco delgiuoco il mugnaioche parlò senza togliere gli occhi dal ventaglio delle suedieci carte sporche...

- Síil mio torto è di non aver saputo fare l'italiano atempo... - replicò vigorosamente l'altrofacendo un mezzo giro sulla panca ealzando in aria una mano. Poi stendendo l'altra a stringere con uno slanciod'amicizia il polso dell'oste: - Potete dire che i Lanzavecchia abbiano maivenduto lucciole per lanterne? mio padre Galdinomio nonno Nicodemo...

- Altri tempi - fu presto a interrompere l'osteun uomopiuttosto indifferente per i grandi principi della giustizia. - Una volta-soggiunse poi con un sorriso seccoche stentò a muoversi sulla sua boccaasciutta priva di labbra - una volta il vino lo si faceva anche coll'uva.

Mauro sentí il veleno dell'argomento e battendo due volte latazzetta sul banco:

- Lo so - disse - che in un paese di ladri chi non rubamangia il suo pane a tradimento. Voi però non mi abbandonereteFrancesco.

- Io faccio l'ostevedete - osservò il compareindicandocon un piccolo gesto i suoi avventoriil bancola lucerna. E tornò a chiuderegli occhietti cenericci.

- Volevo dire che questi nostri figliuoli devono maritarsi aSan Martino.

- Ecco! - riprese l'ostemandando avanti una sua favoritaparticella dimostrativacolla quale solevacome con una lanterna ciecailluminare le idee degli altri e fare il buio sulle proprie. - Anch'io dovròfare i miei conti.

- Non li avete già fatti mille volte questi benedetti conti?- notò con un tono di rancore il fornaciaio.

- Non si finisce mai di fare i conti. Se con poco si fa pocoche cosa volete che si faccia con niente?

- Volete direse capisco il latinoche poiché io sono unuomo fallitomi si puòparlando con poco rispetto...

L'oste lo pregò con un gesto frettoloso della mano di nongridar troppo forte. Ma l'altroche attingeva l'eloquenza dalla tazzetta:

- Ho capito- seguitò con piú calore - volete dire chepoiché m'è entrata la disgrazia in casala vostra Fiorenza...

- Non gridate sui tetti i vostri interessibenedetto uomo -tornò a raccomandare vivamente il buon Francesco della Fraschettadistaccandola schiena dal murorianimando gli occhi sotto la tesa della berrettachefaceva un color solo col colore scialbo del suo viso tesoliscioimmobile comeun viso di legno.

- Síora mi si puòcon licenza parlandosputare addosso- seguitò il fornaciaio con voce scalmanata. E dopo aver sogghignato il temponecessario per inghiottire il fiotto amaro di saliva che gli inondava la bocca:- Allora - ripreseporgendo il fiaschetto vuoto al ragazzo - portamene un altrodi questo tuo scongiurato veleno. E a voieccovi i vostri soldi.

Cosí dicendostese una gamba tra la tavola e la pancainfilò una delle sue grosse mani nella tasca dei calzonine trasse una manatadi soldi efattone un pugnettolo batté sul bancosotto il naso dell'ostecheavvezzo a queste ed altre mimichenon dette segno di meraviglia.

- Cosí non direte che Mauro Lanzavecchia abbia bevuta unagoccia del vostro vino senza pagare. E in quanto alla vostra Fiorenzase vipiace sentirevi dirò che un Lanzavecchia si degnava fin troppo di bere aquesto boccale.

Parole grossecattivesuperbecheuna volta uscitelasciarono il buco fatto per tutte le altre che vollero tener dietro.

L'orgoglio di tre generazioni di galantuominiinfiammatodalle molte tazzette di vino bevuto nella giornatanon troppo d'accordo traloroe mal trattenuto da una volontà già sconnessa per troppi colpitraboccò in epifonèmi e in dichiarazioni che avrebbero fatto onore a unprincipe del sanguenon che a un fabbricatore di tegole; ma in quel momentoinquel sitosulla bocca d'un uomo cosí scassinato nel creditonon ebbero laforza di far tremare nessuno.

I giocatorial diavolío che faceva il Bismarck delleFornacidisseroparlando sommessamente tra loro:

- Pare che laggiú si guasti la parentela.

- È la tazzetta che suona - osservò il magnano.

- La superbia non paga debiti - notò con burbanza il mugnaiodel Lavello. - Staremo a vedere quel che stamperanno le gazzette questa volta.

Mauro poco prima che sonassero le dieci e mezzo si alzòfacendo puntello coi pugni sulla tavolae con passo che voleva essere dabersaglieretraversò lo spazio libero dell'osteriaavviandosi alla portasenza salutare nessuno.

Prima però di chiudere l'uscio dietro di séparendogli dinon aver detta l'ultima ragione o che tutti quei bravi signori avessero bisognod'una soddisfazionesi voltò verso di loroche aspettavano cogli occhiapertimosse la mano allargata a guisa d'un ventagliola girò nell'ariacomese la sfregasse su un muroe quando vide tutte le faccie immobili e tutte lebocche attentemise fuori con misurata intenzione la morale solenne dellafavola:

- Vicende umaneoggi la lepredomani il cane!

E si tirò dietro l'usciomentre un rumoroso scoppio di risaaccoglieva questa sentenza nova novissimanon mai uditanon mai stampata sullegazzette.

 

VI

 

IL FALLIMENTO DELLA FILOSOFIA

 

Quando si trovò solo sulla strada buiasparsa di sassidisugualitra due spesse siepinella silenziosa e nera solitudine della notteil vinoche fin qui aveva sostenuti gli spiritilo abbandonò come un cattivoamicoanzi gli si rivoltò contro anch'esso come un creditore e congiurò colladisperazione a sollevare i piú foschi fantasmi.

Mauro sentí le gambe rompersi sotto l'ampio peso del corpomentre vedeva la strada rizzarsi e diventare una montagna insormontabile. Dopoun lungo girare senza mèta attraverso i campidopo aver urtato negli spigolidei muricciuoli e nei paracarri che non sapeva vedere nell'aria scuraavvisatoe condotto dall'abbaiare dei caniche si svegliavano irritati al sonar del suopasso rotto e pesantegli riuscí d'orientarsi e di riconoscere nell'ombradella notte la linea magra dei camini delle sue fornacicheuscendo esili elunghi dai bassi edificigiganteggiavano nel vuoto.

Poco dopo sbucò nello spiazzo apertoche sta intorno aimagazzini e che mette nello scuro dei campi una gran macchia giallastrasu cuiin quel momento batteva il chiarore scialbo della luna. Queste fornaciquestimagazzini pieni di roba erano il lavoro consolidato dei Lanzavecchiasu cuidomani si sarebbero stese le unghie rapaci dei creditoridell'esattoredelfisco. Dei mille e mille mattoni tra cotti e crudi accumulati sotto le tettoie esparsi sul terrenodelle mille tegoleche avevano rinomanza per venti e trentamiglia all'intornocome le piú solide e oneste che uscissero dalle mani d'unfabbricantenon un coccio apparteneva ai Lanzavecchiache avevano lavorato esudato per il loro disonore e per la miseria.

La rovina era cominciatasecondo l'idea di Mauroil giornochecol pretesto di fare l'Italiagli italiani avevano tirato in paese insiemeai calzoni rossi anche il mattone francesea cui tenne dietro la tegola quadraalla romana e tutte quest'altre diavolerie di zinco e di lava del Vesuviochechiamano progressoma che lascian piovere in casa. Poi venne la strada ferrataa dar l'ultimo tracollo al commercio del burchielloche sotto il cessatogoverno portava il bel materiale fabbricato a Parèa Olginatea BrivioaTrezzo fino dentro il cuore di Milanocolla facilità dell'acqua che va in giúalimentando clientele che duravano da cent'anni e che misero in piedi palazzi echieseche dureranno ancora quando sarà scomparsa tutta questa roba marcia digesso e di poltiglia con cui s'è fatta l'Italia. Finalmentea compimentodell'operavenne fuori la bella invenzione della ricchezza mobiletalché unpovero industriale si sentí in mezzo a tre forche. Non gli restava ora che diappiccarsi a una quarta.

- Ombre di Nicodemo e di Galdino Lanzavecchia! - gridò ilvecchiofermandosi sul piazzaletto e alzando il bastone verso la faccia dellalunacome se volesse fare uno scongiuro. - Uscite a vedere come mi hannotradito; venite anche voi a gridare: Viva l'Italia!

A questo schiamazzare d'un uomo che parlava ai morti tennedietro il gran silenzio della nottenel quale tornò a farsi sentire il rumorestridulo dell'Adda povera d'acqua.

- Voi sapete chi mi ha tradito: voi sapete chi mivendicherà...

Col passo disuguale che gli faceva fare il vinoil vecchiofallito giunse in vista della sua casache spiccava piú nitidamente collaloggetta vestita di frasche nel tenue chiarore della luna. Tutte le finestreverso la corte eran buietranne quella di Giacomoche dava sulla vignetta. Ilfilosofo vegliava sulle sue bozze di stampa. Mentre di fuori un poveronegoziante di materiali di fabbrica piangeva sulla sua rovinadi dentronellastanza silenziosa del filosofosi preparavano i materiali per una grandecostruzione idealeper il gran tempio dell'avvenirenel quale si sarebbecelebrato il connubio di pace tra l'uomo e la natura.

«L'uomo padrone della scienza» diceva uno dei centofoglietti «è il vero dominatore della natura. La forza è nel pensieroo perdir megliola forza è il pensiero stesso».

«Se potessi persuadere il mugnaio di questa veritàpotreimandarlo in pace con poca fatica» ripensò Giacomogiocando colla penna sulleparole stampatealle quali avrebbe voluto aggiungere una nota: «E se sidicesse invece che la forza è nella volontà?».

Questo conflitto tra un pensiero che sillogizza in poltrona euna volontà che corre e s'adopera per la casa non gli si era mai presentatocosí vivocome dal giorno che suo padre gli aveva colle lagrime agli occhidomandato cinquecento lire in prestito. Da quel momento le parole stampate dellesue bozzeche contenevano prima affermazioni di bronzocominciarono asconnettersi e a ballare una strana contraddanza sotto i suoi occhi stanchidalle veglie e dallo scarso lume della candela di sego. Una continua voglia lotentavaed era di metter a piè di pagina molte note di mesta contraddizioneche avrebbero forse accontentato Blitz e l'anima scettica ch'era trasmigratanella bestia; ma le noteoltre a diminuire il valore giudicato delladissertazioneavrebbero finito coll'inghiottire il libro e il filosofo incompagnia.

Non è mai utile complicare la veritàspecialmente quandosi ha bisogno di far quattrini. Inoltrese non vogliamo screditare la scienzanon bisogna mai tagliare in erba il fieno del nostro contradditore.

Giacomodeponendo di tanto in tanto la pennadava fuocoalla pipa sulla fiamma della candelatirava tre o quattro boccate di fumocolpensiero perduto in ariadietro i fantasmi della meditazionementre gli parevadi stare a sentire lo stormir delle fogliescosse dai soffi intermittenti delvento.

Riscontrava un testo greco di Aristotilee come allosvoltare d'un angolo di casas'imbatteva nella soave immagine dell'avvocatoBrognolicoin casa del quale doveva ritrovarsi al mattino per addivenire colmugnaio e col signore della Rivalta a una transazione oquanto menoa unrespiro che permettesse a lui e a suo padre di prendere cognizione dello statodelle cose.

Il mugnaio aveva qualche giorno prima fatta una brutta scenaanche a Battista sulla piazza d'Imbersagoe n'era nato un putiferio da nondire. Battistacorto in dialetticama solido in altri argomentiminacciava dirispondere alla sua manierache non era la più conciliante. Anche la Lisas'era lasciata trascinare a un pettegolezzo indecente colla Fiorenza sullasoglia dell'osteriadove le due ragazze avevano perduto un pezzo di lingua. Ilbisogno che fa gli uomini cattivifa brutte le donne. Bisognava impedire che daun male limitato non nascessero pubblici scandaliaspre responsabilità e fieririmorsi; e a chi toccava di aver giudizio se non si moveva il sapiente di casa?A che cosa serve la sapienza stampatase non vale almeno come cerotto su undito tagliato? Questi brutti pensieri venivano a mescolarsi e a sovrapporsi alleargomentazioni della sua tesine confondevano i sensi e i segnine storcevanole intenzioni piú nobilidando alle conclusioni del filosofo idealista quasiun'intonazione di amara corbellatura.

Trovando a un certo punto citato in una nota Parmenideegliche pure aveva scritto di suo pugno questo nome sulla cartarimase lí collapenna in aria quasi in procinto d'esclamare anche lui sul far di don Abbondio: -Parmenide? chi era costui? un mugnaio? e che mi può giovare Parmenide nei mieibisogni? che m'importa di lui? come ho potuto perdere il mio tempo a occuparmidei fatti suoimentre l'oste della Fraschetta divorava il mio pane e l'usuraiodella Rivalta ipotecava la mia casa?

Sentendosi un poco opprimere da queste riflessioni aprí lafinestra in cerca d'aria e stetteappoggiato al davanzalea strologare ilcielo e la luna. Le nubi mosse e sollevate dal soffio eguale e sostenutodell'aria andavano a poco a poco allargandosi e come lacerandosi intorno aldisco luminosodi cui riflettevano i placidi splendori con lucide fosforescenzemetalliche. Dagli strappiper dir cosidi quella fascia vagante di nebbiaquasi all'invito di una silenziosa volontàuscivano spazi aperti d'un serenopurissimoche parlava d'una pace alta e intangibiledi cui qualcuno mette nelcuore umano il mesto desiderio.

Dalla vignetta immersa nell'oscurità uscivano bisbigli difoglie scosse dal vento e fuggevoli fischi di scoiattoli che corrono su per ipergolati.

Di care e lunghe memorie era popolata quella vignettacosífolta di verde dov'egli era cresciuto fanciullodove aveva imparato ad amare ea soffrire. Ogni angolo gli diceva qualche cosa di Celestina; ogni foglia parevabisbigliare di Celestina. Quante volte l'aveva portata sulle spallequando nonera che una bimbaall'ombra dei pergolati! In quel frondoso frassinocheriempiva coll'ampio ombrello di foglie lo sfondo del cielos'eran fabbricatauna loro villetta aereanascosta tra i ramie vi avevano ingannato insiememolte ore dei pomeriggi estiviappollaiati come due tortorein mezzo alrumoroso stridore delle cicale. Cento volte avevano aperta una botteguccia nellevecchie botti della tinaia e vi avevano invitato i ragazzetti del vicinato acomperar nòccioli di peschepatate e carote affettatesacchetti di fagiolinichicche e dolciumi rubati dalle tasche della povera zia Marianna. Nel fienilesopra le stalledi cui vedeva sporgere nel chiarore della luna i ciuffiarruffatila piccina si era addormentata molte volte sulla sua spallaprimache lo zio prete mettesse in campo la questione della vocazione e del postogratuito nel Seminario vescovile.

E quante lagrime vergognose e segrete il povero pretinotornando a casa nelle vacanzeaveva versato nell'erba folta e nelle frasche delgrano turcoquandonon ben persuaso ancora della voce di Diosi facevapeccato e scrupolo d'ogni passo che egli movesse per cercare la bambinad'ogniparola allegra che gli scappasse dal cuore ancora inconsapevole di quel chefosse amore! Seguirono poi i giorni del combattimentodurante i quali l'animasua fu come dilaniata da misteriose apprensionida strazi paurosi che nessunoseppe né leggerené indovinare; ma le piante della vignetta conoscevano tuttaquesta storia dell'amoroso contrasto e glie la ripetevano ora con bisbigli digioia. Vinta la gran battagliarestituito il collare del chierico allo ziopreteera tornato con altre idee; la veste nera cedette il posto alla camiciarossa dei garibaldino durante la guerra del sessantaseie alla camicia delsoldato era successa una giubba un po' logora di professore di grammatica.Perfino il buon Dio del modesto altarino di casa era andato via via crescendonella sua testa e nel suo cuore e cresceva oggi ancora fino a travalicare iconfini del conoscibile; tutto s'era mutato fuori e dentro di lui; maquell'amore no. Esso gli parlava nel cuore colla salda sicurezza dell'innocenza.

Tante immaginitante ombre di pensieri e di coseevanescentiuscendo dai pergolativenivano a consolare la memoria del filosofoe lo cullavano in una soave tenerezza... quando una voce aspra come una segarimbombò nell'aria:

- Giacomo Lanzavecchiascrivi la sentenza di tuo padre.

Sporse il capo a cercar nella corte e riconobbe l'ombra delpàche contro il suo costume s'era attardato fuori di casa. Capí che il pàaveva inaffiato un po' troppo i suoi fastidi.

- Dove siete? che fate lí? - gli gridò dalla finestra.

- Giacomo Lanzavecchiaascolta la voce di tuo padre - tornòa gridare il vecchioche gesticolava come un attore tragico.

- Venite in casa.

- Prendi la penna del filosofo - seguitò l'altromovendosiper la corte come se recitasse veramente su un palcoscenico. - A tuo padre nonresta piú che la nuda terra. Tutto è perduto tranne l'onore. Gli hanno portatavia la casala terrala robal'anima. La morte e l'inferno ai tremendivigliacchi!

Nel tono rauco con cui il vecchio pà imprecava contro ildestinoGiacomo vide tutto lo squarcio di quella pover'anima.

- State zitto- gli disse - non svegliate la mamma; oravengo io dabbasso.

- Ohiche vi ha preso stanottepà? questa volta non èBattistella che dondola... - gridò un'altra voce dalla finestra presso ilgranaio.

- Rispetta tuo padrelasagnone - rimproverò Giacomochericonobbe la voce di Battista.

- Tutu... - muggí il fratello con parola convulsa - tu fail professore a casa tua e quando avrai finito di mangiare il pane a... a... a...

E lo sbattimento villano dell'impannata coprí il resto delleparole.

- Non avete vergognapà? - gridò anche la Lisamettendofuori da un finestrino una testa fasciata come un dito malato.

- Figliuolinessuna lega coi traditori. Un Lanzavecchia nonsi deve vendere né per centoné per duecento. Prendi la penna dellafilosofiaGiacomoe stampa anche questo: la morte e l'inferno ai tremendivigliacchi!

Il vecchio esaltatoafferrata colle due mani la catena chestava legata alla corda del pozzoin preda alla frenesia dell'animo sconvoltocominciò a battere sulla pietra colla violenza fanatica d'un santo che flagellaun demonio. E a ogni colpo ripeteva disperatamente:

- Nessuna alleanza... la morte e l'inferno...

Blitzche dormiva nella stallasi risvegliò spaventato ecominciò ad abbaiare dietro l'uscio.

In quel furioso esercizio del battere si sarebbe detto che ilvecchio fornaciaio cercasse uno sfogo alle sue forze compressealla suacolleraalla sua sovraeccitazione; ma i figliche sapevano come di solitoandavano a finire queste frenesie (Mauro aveva avuto in sua vita qualche attaccoepilettico)senza por tempo in mezzoscesero in fretta le scalecoi lumi inmanoe furono intorno al disgraziatoche già colla bava alla bocca sirotolava nella polvere in preda a spaventevoli convulsioni.

La povera Santinache dormiva su brutti pensierisaltò dalletto e si fece incontro sulla scalapallida e come estenuata nella sua cuffiainvocando i nomi di Gesúdi Giuseppe e di Maria. Accorse anche Angiolino apiedi nudie tutti insieme sollevarono il corpo pesante del pàche sidibatteva con stanchezzaGiacomo e Battista sorreggendolo per le spalle e perle bracciala Lisa e Angiolino per le gambeeportatolo a gran fatica su perla stretta della piccola scalalo distesero sul letto. Caduto l'accessoepiletticoil viso da infiammato e gonfio divenne subitamente biancofloscio;la bocca si irrigidí in un sorriso che restò fisso in una smorfia sardonica ebeffarda; il corpo divenne duro come un tronco. Gli occhi gonfiati dallacongestione fecero capire che un gran male scombussolava la vita; ma per quantisforzi egli cercasse di farele labbra non poterono mandar fuori che dei suonirotti. Era l'apoplessia.

Mauro rimase sei o sette giorni in quello statospegnendosia poco a poco senza parolesenza gemiti...

Il dottor Brandatichiamato in frettatentò tutti i mezzie fece capire che soltanto un miracolo può risuscitare un morto. Per Giacomo eper i suoi fu una settimana di ansiosa e tormentosa agoniadurante la qualenessuno osò pensare ad altre cose che non fosse l'assistenza al malato.

Quando Giacomo si accostava al lettogli occhi del morentesi facevano piú teneri ed espressivicome se cercassero di penetrare e diparlare all'anima. Il figlio cercava di farsi interprete dei pensieri del padreeseguendo i suggerimenti di quegli sguardi carezzevoliandava dicendo:

- Sípàvoi avete sempre lavorato con onestàcongiustiziacon timor di Dioe Dio ve ne renderà merito. - Oppure: - Abbiatepazienzaperdonate a chi vi ha fatto del male. Il vostro nome è nelle nostremani. Voi ci lasciate grandi e robustie non ci manca la buona volontà...

Il vecchio moribondo si lasciava consolare da queste paroleche gli venivano dal suo Giacomo. Gli occhi pieni di pianto pareva rispondere: -Tu sei stato la mia consolazionetu sarai la mia gloria. Tu devi stampare inqualche libro la storia dei tradimenti di cui fu vittima tuo padre.

Il signor curatoche conosceva da trent'anni la coscienzadel galantuomosomministrò gli ultimi sacramenti e benedisse l'agonia. MauroLanzavecchia cadde in letargo e morí tranquillola vigilia stessa del giornoin cui la Gazzetta del Commercio stampava il suo fallimento.

 

VII

 

 

ALL'OMBRA DELLE PIANTE

 

ALCUNI giorni dopo la morte del povero Mauroil conteLorenzo con un biglietto pregava Giacomo Lanzavecchia di lasciarsi vedere inun'ora tra la colazione e il pranzoavendo a fargli una proposta di grandeimportanza. Nella dolorosa circostanza della malattia e della morte del vecchiofornaciaioi signori del palazzo avevano dimostrato alla famiglia una cosígentile e pietosa sollecitudine che Giacomo sentí il dovere e il bisogno divederlidi ringraziarlie di udire nello stesso tempo una parola che non fosseuna volgare consolazione.

Mutò i vestitiche in quei giorni di trambusto non si eraquasi tolti di dossoedetta una parola alla mammache rincantucciata incucina non faceva che piangere e sospirareprese a salire lentamente il ripidosentieroche dalle Fornaci va al palazzo del Ronchetto per la piú corta.

Quantunque fossimo oltre la metà di settembrefaceva ancoraun bel caldo: e dalla strada sassosa e dal muro del giardino riverberava unavampa cosí ardenteche Giacomo provò un vero refrigerio quandovalicata lasoglia della cancellatasi trovò nel fitto delle belle piantenella dolcefreschezza dell'ombraper quei silenziosi viali a lui noti checome le ore deisignori disoccupatinon hanno mai fretta di arrivare alla mèta.

Il contrasto tra il disordinela disperazionele angosciedella sua povera casa in babilonia e l'ordinela compostezzala pace eleganteche circondavano la dimora di questi signoririchiamò al pensiero del filosofol'osservazione alquanto vieta e volgare: che il male e il bene non sondistribuiti con molto giudizio sulla terra. I suoi dolori non gli permiseroquesta volta d'arrivare fino alla conclusione che anche le case dei ricchipossono essere l'albergo di dolori inenarrabili. Quando ci duole un ditotuttii mali del mondo ci picchian dentro; e non solo ci sembra che il nostro malevada a urtare in tutti gli spigolima facciamo del nostro dito malato il centrodel dolore universale. Era naturale e compatibile adunque che anche Giacomoportasse un po' d'invidia a questa brava gentea cuioltre ai beni materialidella vita e al fascino della ricchezza e del nomenon mancavano i meriti dellavirtúdella rassegnazione che dà la fedee i conforti che derivano dallebuone opere; com'era naturale che venisse a cercare all'ombra di questafelicità e di questa paceun po' di riposo. Sentendo scoccare le due eparendogli ancora troppo prestopensò di mettersi a sedere su una panchina chel'invitò presso un folto cespuglio di oscuri evonimiper dar tempo al conte difinire il solito sonnellinoche aiutava mirabilmente a smaltire il peso dellacolazione. Senza questo breve viaggetto ai campi Elisidon Lorenzoche allatavola soleva cercare volentieri le piccole compiacenze del sensonon avrebbepotuto ritrovare il suo appetito fresco per l'ora del pranzoe una voluttà dimenosoleva direparodiando Sterneè un filo strappato alla già esile tramadella vita.

Giacomogirando gli occhi intorno nella fresca oscurità diquel gran verde che lo circondavasentí veramente quasi un senso di freschezzainsinuarsi e diffondersi nel suo spirito eccitato da troppe violenze.

Il giardinopiantato dal conte vecchio secondo lo stiledetto ingleseche simula con arte felice la spontaneità della natura alpestreè ricco di macchie selvose che il tempo ha rese foltenasconde molti oscurirecessida cui escono anche nei piú grandi calori quasi un continuo tremito difreschezza e un bisbiglio continuo di uccelli. In mezzo alle macchie scure delleconiferetra cui luccicano con verde piú chiaro le magnolie e gli alloricosteggiando l'orlo delle praterie aperte al solegirano i viali larghiplacidisenza un ingombrosecondando le ondulate varietà del clivoritorcendosi in sé stessiintrecciandosidiramandosi in stradicciuole e insentieruzzi quasi selvaticiche ti menano a luoghi perdutia grotte umide disegreti stillicidia finte rovinea segregate solitudiniove dorme dacinquant'anni tra l'edera e il muschio una gelida ninfa di sasso. Dove i vialisi incrocianoè bello vedere per diverse porte aprirsi di qua il gran verdepiú in là un pezzo della valle coll'Addache striscia e luccica in bassoaltrove un fianco del palazzoche domina colla torricciuola imbandierata sulfondo del cieloora verso un tempietto di marmoche si specchia in unverdognolo stagnoora verso alcune creste del Resegoneche l'arte ha saputotirar nella corniceo su un gruppo pittoresco d'alberi secolarichemascherando il muro di cintadànno a chi passeggia l'illusione d'una selvagrandiosalontana da ogni consorzioquali dovevano esser le primitive selveche accoglievano gli uomini erranti.

Giacomocome si è dettoconosceva tutti i segreti diquesto paradiso terrestrech'egli aveva cominciato a frequentare da ragazzo ederain certa qual guisacresciuto con lui: talché poteva considerarlo un pococome suoper quel diritto di possesso moraleche abbiamo su tutto ciò a cuiè attaccata una parte della nostra fanciullezza.

Quando viveva ancora la vecchia contessamadre di donLorenzoGiacomo era solito salir tutte le mattine a servir la messache sicelebrava nella cappella del palazzo. Strada facendonell'attraversare ilgiardinola sua festa era di andar per le macchiea ritrovare le traccie deinidi degli usignuoli e dei capineriche in primavera facevano nei boschetti unaorchestra. Fu appunto per la sua docilità di carattereper il suoraccoglimento religiosoper il suo viso delicato sotto i riccioli spessi di uncolor quasi d'oroper la sua speciale devozione alla Madonnache donnaMatildedetta ancora oggi la contessa vecchiaformò l'idea che si potessecavare da Giacomino un buon ministro del Signore e nello stesso tempo un buoncappellano per la casa. Se ne parlò a don Angeloche persuase Mauro a nonlasciar scappare una cosí bella occasione. Il pàche aveva imparato dai suoivecchi a ricevere tutto quel che veniva dal Ronchetto come una benedizionenonseppe dir di no: la mamma vide subito il vescovo nel suo figliuolo; e Giacomo fuvestito da prete. Nelle vacanze tornò sempre a servir la messa in palazzofinché visse donna Matildee quandomorta questacominciò a comandare donnaCristinail chierichetto non cessò d'essere considerato come un figliuolodella casa; anzisiccome don Giacinto cresceva un po' pigro e sventatolacontessina pensò di servirsi di Giacomo per dargli un compagno buonostudiosoche gli si imponesse colla serietà del carattere. Toccò dunque al pretinol'incarico d'accompagnare il continonon solo alla messa tutte le mattine allaMadonna del Boscoe di esercitarlo nel leggere e nello scriverema gli fucompagno nella caccia colla civettalo seguiva al "Roccolo" di donAndreao nelle escursioni ch'egli volesse fare nei dintorni. Allo spuntaredell'albatutte le mattine di bel tempoera lí sotto le finestre di donGiacinto a tirare sassolini nei vetricolle gabbiette e le canne del vischiosulle spallefinché il piccolo poltrone si risolveva a cacciar le gambe dalletto. Uscivano insieme a correre nei prati umidi dell'Addaa tendere neiboschetti di nocciuoli insidie e trappole ai passeri e ai fringuellifinché lafameche si risvegliava presto negli stomachi digiunifaceva levare i cartoccidella colazione. Molte volte il contino cedeva il suo pollo fritto e lo spicchiodel suo pasticcio per gustar la polenta fredda e il caciolino del compagno; maqualche altra volta l'umore dell'eccellenzina non era molto trattabile. Perquanto Giacomo avesse qualche anno di piú e vestisse da pretei vizi el'orgoglio dei sangue si ribellavano non di rado agli ordini e alla dottrinettadel pedagogoche mammà mandava per far la spia; e piú d'una volta all'ombradelle siepi di sambucoe negli aridi fondi dei ghiaietitra il nobile spavaldoe prepotentee il giovine poveroche sentiva fin d'allora la forza della suaaristocrazia moraleerano corse amare parole e qualche cosa di più solido. Ungiorno don Giacintovedendo di non poter spuntarlaminacciò di ammazzare ilsuo chierichetto con un tremendo coltellaccioche aveva levato dal cassettodella cucina; e da quel dí Giacomo non ne volle piú sapere. L'uno fu messo incollegio presso i Gesuitil'altro partí per gli studi di teologiae non sividero piúse non a brevi intervallicome due uomini che camminano in sensoinversosi voltano e si rivedono di tanto in tanto sempre piú confusi e semprepiú rimpicciolitifinché l'uno non sa piú nulla dell'altro.

Giacomonel tiepido silenzio di quel caldo pomeriggio disettembrenel riandare col pensiero in modo saltuario e confuso a questememorie d'altri tempiricordava il giornoin cui era venuto a dichiarare adonna Cristina che la sua coscienza non gli permetteva piú di vestir l'abitoecclesiastico. Fu una grande battagliala piú terribile battaglia de' suoivent'annidi cui le piante del giardino eran state non insensibili testimoni.Oh se avessero potuto parlaree dir quante lagrime egli avesse sparso neidolorosi istanti del suo combattimentoquando invocava inutilmente da Dio ilcoraggio d'una risoluzione che avrebbe suscitata una tempesta! Quasi vicino atoccare la mètadopo aver goduto per dodici anni i benefici in una casa cheaveva pagata sempre la sua pensione e sollevata la sua famiglia da tutte lespesedopo aver ridestate molte speranze nei professorinei compagninelcuore dei parentiche vedevano già in lui il difensore della chiesaegli eraarrivato al punto scabroso di dover rinnegare tutte queste speranze e tutti queibenefici. Il doloroso segreto non era ancora uscito dal suo cuorema sentivaquesta necessità cresceregiganteggiaresospingere la sua coscienza.

Per quanto rumorosa e aspra potesse essere la meravigliadella gentetuttavia qualunque rimprovero gli doveva sembrare piú sopportabiledi fronte al rimorso di commettere un tradimento sull'altare di Dio. Dopo avercercato inutilmente vicino a sé un amico o un confidente discretochel'aiutasse a essere sincerofu quasi per un istintivo consiglio del cuore chesi lasciò condurre a confessare il suo tormento a donna Cristina. La scena gliera ancor viva davanti agli occhi. La contessa l'aveva fatto chiamare perconsegnarglisecondo era sua abitudinealcune piccole elemosine da distribuireai vecchi piú poveri. Era una domenica piovosa. Essa portava ancora il luttoper la morte recente di donna Matilde. Gli parlò di Giacintogli mostrò unabibbia illustrata del Dorélo pregò di scegliere alcuni versetti d'un salmoadatti per una miniaturaementre essa parlava e si moveva nella luce blandadella finestrail cuore di Giacomo batteva d'un'insolita commozione. Collelacrime agli occhiegli cominciò a parlare: e la buona signora lo lasciòdirelo lasciò piangere un pezzolo compatígli parlò da buona madre eprese sopra di sé l'impegno di persuadere il contelo zio pretei parenti. -Lei potrà far del bene lo stesso e anche di piú- gli aveva detto - e sonpersuasa che i Magnenzio non avranno mai a pentirsi d'aver incoraggiato il suoingegno e la sua volontà.

Da quel giorno Giacomo aveva avuto per donna Cristina unsentimento di illimitata gratitudinequasi di venerazionee avrebbe voluto chesi presentasse una grande occasione per dimostrarle che i benefici di casaMagnenzio non erano caduti a nutrire un ingrato. A lei aveva piú tardiconfessato il suo amore e le sue idee per Celestinaprovando nel rivelare allagentildonna il dolce segreto del suo cuore il sollievo stesso che aveva provatoqualche anno prima a piangere davanti a lei.

Dolci memorieche tornavano a consolarlo in questi nuovifrangenti in cui era venuto a cadere! E fu per godere piú a lungo dellafreschezzadirò cosídi questi pensieri che invece di procedere pel viale dimezzoche va diritto all'ingresso del palazzopiegò pel piccolo vialedettodei carpiniper una lunga allea di queste pianteche il gusto architettonicodel vecchio conte Massimiliano aveva fatto ritagliare a foggia di portici conarcatedisposte intorno a un obelisco in una piazzuola desertache parevapreparata per un minuetto di fate.

Quando fu giunto presso l'obeliscos'imbatté in Celestinache usciva dal viale della serra con un gran mazzo di fiori freschi da metterein tavola. Appena essa vide il giovanetrasalícercò sfuggirglima non fupiú a tempo.

***

 

- Sei tu? - le disse lentamente Giacomosenza quasi alzaregli occhi - la povera mamma ha cercato piú volte di te.

- Povero zio...! - mormorò Celestina; e come se in quellacompassione cercasse un pretesto per liberarsi da una grande sofferenzache leriempiva il cuore di lagrimeportandosi frettolosamente l'angolo del grembialeal visopianse in modo cosí dirotto che mosse Giacomo a piangere e aconfortarla.

- Tu gli volevi benelo soe lui te ne ha sempre voluto ate come una sua figliuola. Ma chi sa che egli non sia uscito dalletribolazioni...

- Oh síoh sí! - ripeté la ragazza senza levare ilgrembiale dagli occhiacconsentendo con forza.

- Tocca ora a noi aver del coraggio - disse Giacomo collavoce insinuante e tenerache gli usciva naturalequando una forte emozioneagitava il suo spirito. E alzando una manovolle asciugare egli stesso colgrembiale gli occhi della giovaneche voltò via il volto e rimase comeintimidita davanti a lui. - Tocca a noinon è vero Celestina? Quest'anno erotornato con molte speranze. Credevo proprio che sarebbe stato l'anno buono dicoronare il nostro amorema Dio non vuole: pazienza! Sarei un cattivofigliuolose pensassi a me in questi momenti cosí dolorosiin cui sento cheresto solo alla testa della mia povera famiglia. Nol'avvenire è troppo scuroe prevedo che dovrò rinunciare a molte altre speranze.

Celestina fece uno sforzo per prendere la parolamasoffocata da una grande angosciaportò il palmo della mano alla gota e ve latenne con uno sforzo rigido e pesantecome se cercasse con quell'atto dienergia di sorreggere la testa. Un lampo di disperazione balenò nel suosguardoma Giacomo non se ne accorse. Era uno de' suoi difetti d'andar troppovagando nelle idee generali anche quando la realtà lo menava in mezzo alleortiche. Continuando sempre con sommesso tono di dolcezzamentre andavagiocherellando coi coralli della collana ch'essa aveva al colloseguitò comese parlasse a sé stesso:

- Non ho amato che te nella mia vitalo sainon potreiessere di nessun'altra. Anche tu mi hai voluto bene e me ne vuoivero? - Eglila interrogava col suo sguardo affettuosoche penetrava nelle radici del cuore.- No? non me ne vuoi piú? - insistette con un sorriso carezzevolepassandoleggermente la mano sui neri e lisci capelli della ragazza.

- SentiteGiacomo... - proruppe finalmente la fanciulla conuna voce lacerata da un dolore sordo e crudele. - È un pezzo che volevoparlarvi di questa cosae forse è bene che ve ne parli ora per sempre. Voi nondovete piú pensare a me.

- Perché io non devo piú pensare a te? - chiese senzarancore Giacomoche prevedeva questi nuovi scrupoli in un'anima delicata.

- Perché io non son degna di voi... - E prima ch'egli avessetempo di protestareritrovando nell'eccitazione del suo sentimento la forza chenessuna autorità esterna avrebbe saputo darleseguitò con tono egualequasifreddoma convintosenza togliere lo sguardo dai fioriche andavasbadatamente sfogliando con le dita: - Penso che la Madonna vi abbia mandatooggi in un momento di doloreperché io trovi il coraggio di dirvi quel chedevo dirvi. Forse è meglio che questo vostro pensiero non si compia mai. Voinon siete piú quello d'una volta.

- Perché «Frulin»io non sono piú quello d'una volta? -disse Giacomoevocando un piccolo soprannome che il pàper far prestoavevainventato per lei quando era venuta in casa: e mise in questa voce senza sensouna tale dolcezza allegra e canzonatoria che Celestina impallidí come seagonizzasseun velo nero le offuscò gli occhie fattasi a un tratto sdegnosae dura:

- AscoltateGiacomo - gli disse aggrottando le ciglia. -Quando è nata questa nostra affezione eravamo due ragazzie non si potevasapere dove si sarebbe finiti. Povero voipoveretta ioci siam voluti benesenza capire cosa volesse dire volersi bene. Il tempo non è passato allo stessomodo per noi due: io sono ancora la povera ignorante di una voltamentre voiavete fatta molta stradae ne dovrete fare molta ancora. Sento come tuttiparlano di voi: avete stampato anche dei librie ne stamperete ancora; ma perandare avanti avete bisogno di essere liberodi non dover trascinare una poveracontadinache sarà sempre per voi un peso morto. Se io potessi essere lavostra serva... ma vostra moglie è un'altra cosa... Avete bisogno di unaragazza che vi possa seguire e capire... In questa buona casa vedete che non mimanca nulla: e poise devo dirvi tuttoda qualche tempo sento una voce che michiama.

- Che cosa ti dice questa voce «Frulin»? - seguitòGiacomosempre sul medesimo tono di chi non vuol pigliare le cose sul serio.

- Alcune monache cappuccineche vengono spesso al palazzoper la questua e che rimasero qualche volta a dormiremi hanno parlato di quelche soffrono le povere morette in Africa e vorrebbero che io andassi con loro.Poiché non posso essere vostravoglio essere di Dio. Che cosa voleteGiacomo- continuò con un singultocome se si sforzasse di reprimere un'amarezzarigurgitante. - Mi pare di essere già stata per voi una cattiva tentazione quelgiorno che lasciaste di studiare da pretecon molto dispiacere dei vostrispecialmente dello zio preteche dopo d'allora mi ha sempre chiamato undiavolo...

Giacomo non poté nascondere un sorriso di compiacenza aquesta antica facezia dello zio pretee avrebbe voluto cominciare a parlar lui;ma la ragazzatrascinata dalla foga appassionata del suo pensieronon lolasciò dire:

- Non voglio ora essere il vostro infernodopo essere statala vostra tentazione. Lasciatemi andare per il mio destino e voi andate per ilvostro. Troverete cento buone ragazze migliori di mecon istruzionecon doteche vi permetteranno di studiare con meno stentiche sapranno capire quello chescriveteche vi faranno onore in società...

Giunta a questo puntocome chi arriva sfinita dopo una grancorsa sulla cima erta d'un montele mancò tutt'a un tratto la lena.

Un terribile impeto chevenendo dallo stomaco minacciò disoffocarlala fece andare indietro di qualche passo: ma la volontà fu ancorapiú forte del patimento. Non volendo piangeresi portò alle labbra una coccadel grembiuleche prese a morderementre cercava intorno a sé cogli occhi searrivava qualcuno a liberarla.

- Chi mi ha parlato già di queste monache cappuccine e diquesta voce che chiama? - prese a dire Giacomo con flemmatica bonomia: - Credola contessauna volta: non ho capito ben con quale intenzionese non fu permettere alla prova anche la mia vocazione per te...

Da quel fino psicologo che credeva d'essereGiacomo avrebbevoluto aggiungere che queste titubanze e questi scrupoli nel suo «Frulin» nonsolo non lo persuadevanoma erano per lui una ragione di piú per voler benealla sua tentazione e al suo diavolo. Di donne dotte ormai ne son piene ledispense; mentre una donna semplice e sincera non c'è scienza che la possafabbricarese non la fabbrica la mamma natura. E avrebbe voluto aggiungeresefosse stato il caso fare una lezione in quel sitoche quanto piú gli uominisono analiticicomplicatifoderati di saperetanto piú cercano di riposarela testa sul seno d'un amore semplice e naturaleche li aiuti a essere semplicie naturali. I piú occulti misteri si svelano nelle anime più ingenuementregli spiriti superbi e raffazzonati non sentono piú se non quel che il loroorgoglio permette di sentire. E all'uomo moderno non mancherebbe che questadisgrazia per essere il piú disgraziato degli animalivale a direchedopoaver guastato molte cose belle per il capriccio di voler vedere come son fatteavesse a guastare anche l'amoreriducendolo a un dialogo tra un filosofo e unadonna cogli occhiali.

Questoripetoavrebbe voluto dire Giacomo Lanzavecchiaauna santarella piena di titubanze e di scrupoli inutili. Ma avrebbe «Frulin»penetrato lo spirito della sua sottile psicologia? Si limitò a castigarla condue schiaffettisoggiungendo:

- Avremo tempo di parlar di queste faccende con piú comodo.Ora ho troppe cose per la testa. È in casa la contessa?

Celestina accennò di sí col capo.

- Vorrei domandarle che ti lasciasse venire tre o quattrogiorni alle Fornaci a far compagnia alla povera mammache non ha piú la forzadi reggersi. Mentre io vado dal contedille che desidero parlarle... e... e...(girando il braccio intorno alla vita della ragazzala trasse un poco a sépremendo le labbra a lungo nel fitto de' suoi capelli) e di' alle monache che iltuo moretto da salvare l'hai trovato da un pezzo.

Giacomo se ne andò pel viale dei carpininon volendo piúfar attendere il contee lasciò Celestina irrigidita in tutto il corpocogliocchi aridi e fissicol cuore inerteinduritacome una statua. Quando ilgiovane scomparve dietro la casa del fattorevenendo a un tratto a mancare inlei la forza artificiale che l'aveva sorretta finorail suo corpo si sfasciòe cadde sul margine dell'erbacolla faccia rivolta alla terraurlando nelsilenzio di quella verde solitudine:

- MadonnaMadonnaMadonnafatemi morire!

 

 

VIII

 

 

IL VIL METALLO DI CARTA

 

In una buona iscrizione - disse il conte Lorenzo con classicagravità - non solo è compenetrata la storia e la filosofia della storiamac'è lo spirito stesso dell'umanitàche palpita nel sasso. Sicuro che i sassibisogna saperli scrivere e saperli leggerese nodi sassi n'è pieno il lettodell'Adda...

Don Lorenzoche in mezzo alle piú gravi questioni sapevacon nativa arguzia far sorridere anche le cose seriesi rallegrò egli stessoall'idea dello sterminato numero di ciottoloni che l'Adda trascina nel suocorsopiù adatti per lapidare i guastamestieri che non per celebrare levirtuose azioni degli uomini. Mosse due o tre passi traballanti e molli nellospazio che stava tra lo scrittoio e la massiccia libreria di moganoaprí leimposte dei basamenti e mostrò a Giacomo tutto il prezioso materiale della suagrande raccolta d'iscrizioni sacre e profaneaccumulate in una serie dicinquantaquattro grosse cartelleuna bazzeccola di cinque o sei mila fogliettiscrittiche era peccato tanto il buttarli sul fuococome il lasciarli in predaai topi e alle tarme.

- E non sono qui tutte... A Cremona ne avrò raccolte aquest'ora un'altra ventina di cartelleche comprendono la serie delleiscrizioni funerarie; ma prima che questa raccolta sia compiutalallèla…-disse agitando le due mani floscie in ariaper far capire che la strada eralunga.

Questa raccoltacomprendente la XXXVII seriedovevaradunare tutte le iscrizioni dei cimiteridelle criptenon esclusi i cenotafie le erme votivesenza trascurarne unaanche dei piú remoti villaggi dimontagnadivise e suddivise per mandamenticapoluoghicomunifrazioniinmodo da formare nel loro complesso un «Novum Corpus inscriptionum italicarum»pari a quello che il Mommsen fece per l'epigrafia latina. Si trattava (e inquesta sua aspirazione don Lorenzo era veramente encomiabile) di prevenire ildesiderio e la curiosità dei posteri.

- Non è egli vero - diceva spesso - chese Varrone avessepensato a raccogliere lui le iscrizioni del suo tempoavrebbe risparmiato a noil'incomodo di cercarle? Sicuro che non è impresa da pigliarsi a gabboe io hoquesto mio cuore benedetto che mi travaglia e non mi lascia sempre lavorarequando voglio. Ecco perché vi ho fatto chiamarecaro Giacomo. Sapete quantastima abbiam sempre avuta per voi.

- La sua famigliasignor contefu sempre troppo buona versodi me - disse Giacomo con commozione sincera.

- Coi Lanzavecchia delle Fornaci siamo da un pezzo buonivicini e non c'è mai stata ombra di dissidio fra noi. Ha fatto male il poveroMauro a morir cosí presto. Pareva il ritratto della salutepovero omaccione!Per me è un brutto avvisoperché siam lí lí cogli annie i cardinalidicono a Romamuoiono sempre a due per volta. Ci pensavo anche stanotte a quelpover'uomoese permettevi farò sentire quattro righe d'una iscrizionecheavrei preparato per la sua croce.

- Il signor conte onora un galantuomo...

- Non solo questoma ho voluto darmi il gusto di riprodurreun carattere. Non vorrei portar nottole ad Atenee voi farete di quel mioesercizio quel conto che vorrete; quel che importa è che l'epigrafia non restisempre nelle mani di questi benedetti curatiche guasterebbero il Santissimo.Dopo il Giordaniche fu quel gran maestro che sapetenon si vede piú unaiscrizione tollerabile. Ma parleremo con più agio anche di questo un'altravolta; ora desidero sapere da voi che cosa si potrebbe fare di questo granmateriale di quasi trentamila iscrizionifra lunghe e corteche rappresentanoper me il lavoro paziente di trent'anni. Credete che valga la pena di stamparle?la contessa dice di síe alle volte le donne hanno piú di noi il senso finodella convenienza; ma se si stampanole esigenze scientifiche vorrebbero che sicompilasse un indice e forse meglio ancora due indiciuno per i nomil'altroper le cose... ese ce ne fosse un terzo in ordine cronologicotanto meglio:ma voi mi capiteGiacomoche per far tre indici di trentamila iscrizionilallèlanon basterebbero gli anni di Matusalem.

Il conte raggrinzò la faccia a un riso lungo e silenziosoche gli fece raccogliere in un ciuffo le grosse sopracciglia grigiebiancheggianti e colorí la sua bella faccia di galantuomo sotto il berretto d'astracanda cui scappavan due altri ciuffi di capelli brizzolati irti come lesine.

Giacomomesso nella necessità di dover dare una rispostacortesetenne un pezzo gli occhi fissi sulla superficie e sul volume di quelmuro di carta scrittadi cuia parte le esagerazioniriconosceva il meritostoricoe più ancora il merito morale di chi aveva voluto con quell'opera dipazienza guadagnarsi il suo posto in paradiso.

- Sicuro - disse finalmentefissando gli occhi ora sulconteora sulle cartelle. - Sicuro che sarebbe un peccato non cavar da questotesoro un costrutto.

- Non pare anche a voi che un buon index nominum potrebbeportare un bel contributo alla onomatologia italiana?

- Senza dubbio - riconobbe di buon grado Giacomo.

- Non è lavoro che si possa fare né in un anno né in due;ma non è il tempo che manchi alla pazienza. Ne parlavo anche ieri sera collamia Cristinachecoll'intuito pronto delle donnemi ha detto: Perché non neparli al Lanzavecchia? egli potrebbe aiutarti. È giovanee diligentee glipuò far piacere di trovare un’occupazione tranquilla che gli permetta distare a casa sua. S'intende che ci dovremmo intendere da buoni amici. Quel chevi dàper esempioil collegio di Celanave lo potrei dare anch'ioper treper quattro annifin che è necessario: e vi darò anche di piúquando siincominciasse la stampa del primo foglioin proporzione della fatica e deimeriti. Cosí avreste il vantaggio morale di restare quest'inverno a casa vostrae di attendere anche alla vostra famiglia. Di tanto in tanto potrei fare unascappatina per consigliarmi con voiequando si tornerà al Ronchetto per ilraccolto dei bozzolisi potrà dar principio alla pubblicazione d'una primapuntata. Che ve ne pare?

Prima che Giacomo avesse il tempo di metter fuori unarisposta degna di lui e del conteuna voce interna gli disse che questaproposta era un'abile e delicata insidia della contessache voleva fargli unbeneficio senza umiliar il suo amor proprio: e nella schiettezza della primaimpressione provò verso la buona signora un nuovo palpito di gratitudine. Lacontessache conosceva le angustie della sua casa e le segrete aspirazioni delsuo cuoregli offriva con un gentile artifizio un mezzo onorevole perprovvedere degnamente alle une e alle altre; e nello stesso tempo veniva ainfondere uno spirito di vita in un materiale sepoltosu cui si era logoratainutilmente l'energia podagrosa del povero conte.

- La proposta che il signor conte mi fa - riprese a dire conun tremito di contentezza - è di quelle che lusingano l'amor proprio d'un uomoe ancheposso direla golosità d'uno studioso. Ma non so se il còmpito siafatto per le mie spalle.

- Non è il caso di citare il quid valeant humericaroGiacomo. Duecento lire al meseper dueper treper quattro annifin chesarà necessariofin che vi piaceràè la mia proposta: e tocca a meringraziar voiche mi cavate da questo sepolcro. È sempre stato il mio sognodi lasciar qualche cosache mi ricordasse a' miei figliquando sarò fattopolvere di pomice. E poiché sento che vostro padre vi ha lasciato in qualcheimbarazzod'accordo con Cristinanon solo vi prego d'accettare questa nostrapropostama speriamo che non vorrete rifiutare fin d'ora una piccolaanticipazione sul vostro lavoro.

Nel dir queste parole il conte tirò fuori da un volume delForcelliniche aveva sulla scrivaniauna grossa busta di carta sigillata e siavanzò verso Giacomocheritirandosi verso il murocercava di schermirsi.Don Lorenzo lo spinse bel bello nell'angolo tra la libreria e la stufaesollevando il pesante dizionarioandò ad appoggiarlo allo stomaco del giovaneLanzavecchiamentre seguitava a dire colla sua quasi infantile bonarietà:

- Non capite che è tutta una nostra furberia? se voiaccettate questo denaronon ci scappate piú.

E senza aspettare una rispostail conte insaccò la bustagonfia nel taschinodove Giacomo soleva nascondere la peppinetta.

- Se non volete accettare per voiaccettate per i bisognidella vostra mamma. Io voglio che possiate dare a questo lavoro tutto il vostrotempoe tutto l'animo vostro; né dovete immaginarvi che vi si voglia farl'elemosina. A chi volete che affidi questa enorme faticase non siete voicheda molti anni considero come un figliuolo della casa? Non spererò mai cheGiacinto abbia a pubblicare le mie opere postume. Povero Giacintone! - Il conteritornava pian piano a ricollocare il primo volume del Forcellini accanto alsecondosenza smettere di ripetere: - Povero Giacintone! piú grande amico deicavalli che dei libri. Avrei dovuto chiamarlo alla grecaFilippo o Ippofilo...Mi ha scritto ieri una cartolina da Roma tutta piena di parole tenere e senzaerrori di ortografia. È a lui che voglio dedicarese campo abbastanzaquestapubblicazionea cui intendo premettere un «Discorso preliminare intorno agliUffici della Nobiltà nel presente tempo»che mi sta sul tavolino da parecchianni e non aspetta che un'ultima spinta...

Fabrizioil vecchio cameriere particolare del contecomparve in quel mentre sull'uscio:

- La signora contessa prega il signor Giacomoprima d'andarviadi passare un istante da lei.

- Dite invece alla signora contessa che l'aspettiamo qui -soggiunse il conte: e fatto un cenno a Giacomolo trasse nel vano della porta avetriche dava sul giardinodoveaffievolendo colla voce la importanza dellacosagli disse: - Eccovi le due righe di epigrafe che avrei scritte per quelpovero uomo... Voi sapete da insegnarmenema la qualità dell'uomo presentavaquesta volta qualche difficoltà stuzzicante. Imbalsamare gli illustripersonaggi è mestier facile; ci arriva anche il sacrestano. Il punctum èdi saper far vivere nel sasso un uomo modestoun fabbricatore di mattoni: quiti voglioGiovannino! non si può mica mettere sul marmo la locuzione:Fabbricatore di mattoni... e tanto meno quello sguajato (sgua-j-a-tocollacodacon vostro permesso) epiteto di fornaciajoe tanto meno fornaciaio coll’icorto. Ergocome ce la caviamo? il latino dà fornacatorche nonha continuità nel volgare: meglio sarebbe calcariusma calcario puòindurre nel volgo ambiguità e far pensare a ricalcarecalcocalcagno. Pliniomi dà un buon laterariorum fornacatorvale a dire cuocitore dilateriziima c'è pericolo che si cada nell'astrusomentre il bellocome ilsoleè tutto nella chiarezza. Quando poi si tratta di stile epigraficoilbello è tutto nell'evidenza...

Donna Cristina entrò ad interrompere la dotta esposizionenella quale il conte si rianimava già tutto come un anatrinochedopo unlungo tempo di polvere e di siccitàsenta tuonare in cielo e subito dopo vedel'acqua traboccare dai fossatelli.

Era la prima volta che la contessa rivedeva Giacomodopo lamorte di Mauro Lanzavecchia: e il giovane attribuí l'animazione dolentequasipaurosacon cui gli tese la manoa un sentimento di commiserazione e di fedeleamicizia.

- Giacomo non ci dice di no- cominciò a riferire il conte- anzi la cosa è fatta. Io gli dicevo poc'anzi quel che mi dicevi tu ieri sera;è un piacere e un servizio reciprocoche ci facciamo. I vecchi hanno bisognodei giovani e i giovani hanno bisogno dei vecchi.

- Signora contessa- prese a dire Giacomo con un'intonazionecosí profonda che per poco non rasentava il pianto - non è la prima volta cheio provo la bontà e la generosità illuminata di questa casa ese qualche cosami trattiene dal dire subito di síè il dubbio ch'io non sappia degnamentecorrispondere. Ringrazio il signor conteringrazio leidonna Cristina... - Enon sapendo piú continuare davanti alla forte commozionestese le mani aquesti suoi due benefattorifissando gli occhi sulla luce della finestra.

- Offrendole questa tenue anticipazionenon intendiamo diumiliare il suo coraggiocaro Giacomoma solamente di metterla in grado dicompiere piú bene il suo dovere di figlio amoroso e di studioso. Non è undonoma un prestitoche vogliamo assicurare alla sua attività.

La contessa disse tutto ciò con un accento quasi sforzatocome se ogni parola le cagionasse un tormento.

- E poiGiacomo potrà ancherestando alle Fornacidare unocchiata a questa nostra gente. Il fattore è vecchio e comincia a far capirepoco quello che dicecome un filosofo anche lui... - Il conteche per aver bendigerita la colazione era in vena d'allegriaseguitò a battere una solfaleggiera sulle spalle del filosofo che aveva davanti - Finché non torni a casadal servizio militare Bogella il giovine non farà male un'occhiata intelligentealla casa. Anche questi libri avrebbero bisogno d'un buon repulistima se iservitori ci mettono zampeaddio categorie...

Don Lorenzoin questo istanteper non so quale successionedi ideesi ricordò di non aver ancor preso il suo caffè delle tre. Eglisoleva fare la sua prima colazione alle sette con un brodo liscioo con uncaffè all'ovoo con una tazza di cioccolata che Fabrizio gli portava incameraa seconda delle esigenze dello stomaco. In cucina e nelle sue adiacenzegiudicavano subito dell'umore del padrone dalla chicchera sporca che tornavaindietro. Brodo liscio significava sempre pranzo mal digeritonotte inquietagiornata torbidabrontolamenti a tavolapiatti di ritornorimproveri alcuocoaccessi di palpitazionesgomento della contessalacrime dellecameriere. Quel doversi mettere a tavola senza voglia di mangiare era per ilconte una mortificazione insopportabilequasi un vivere senza speranzacomeavere un bel libro in manoscritto benestampato benee non vederci. Permantenere il buon equilibrio dello stomacoche pei ricchi è la base dellafelicitàcome pei poveri si vuole che sia il ventredon Lorenzo faceva granconto sul suo caffè caldo delle treanch'esso un piccolo piacere della vitache Orazioil classico gaudentenon aveva conosciutouna vera nettareabevandache avrebbe potuto ispirare a Virgilio un poemetto didascalico sul tipodelle «Georgiche». Nei primi ardori giovaniliquasi tutti ci sentiamo inqualche parte di noi stessi un poco poetidon Lorenzo aveva ben carezzatal'idea d'una Coltivazione del caffè in versi scioltisull'esempio delpoemetto che l'Arici consacrò alla Coltivazione degli olivi; e lequattro parti eran già distribuite con una varietà di scene e di episodicheandavano dai torridi campi del Guatemala all'Ottagono della Galleria e al caffèBiffi di Milano; ma la difficoltà inaudita d'introdurre in versi rispettabilicerte parolecome chicchera e macininone aveva a piú ripresestancate le mani. Dopo averne pubblicato un mezzo canto sull'«Annuario degliAgiati di Rovereto» continuò a berlo il suo nèttarema lasciò stare leMuseche non potevano ispirare quel che non avevano mai provato.

Mentre Fabrizio serviva il caffè nelle belle chicchere diporcellanaGiacomo espose nettamente alla contessa il desiderio di avere alleFornaci per alcuni giornila Celestinain aiuto alla povera mamma.

- È impossibile... - scattò a dire la contessa collaistintiva prepitazione di chi si difende da un improvviso assalto; ma poi percorreggere sé stessa e per distruggere l'impressione che doveva produrre unacosí recisa risposta: - Cioènon per dir di no- soggiunse con umilespiegazione: - in un altro momento non avrei fatto ostacolo; ma in questi giorniaspetto le mie cognate di Buttinigoavremo gente a pranzo... insomma se me lalasciate...

- Che cara figliuola questa vostra Celestina! - disse ilconteche cominciava a gustare col naso il profumo del suo caffè - la mi piacecon quel suo fare allegro e villereccioche mi ricorda la Nencia di Barberino.Quando mi sento di cattivo umore o lo stomaco impastatola faccio cantare: Valàvillan... e mi pare di bere una tazza d'acqua fresca del fonte d'Ippocrene.Birbone il filosofo! - sentenziò socchiudendo gli occhietti maliziosimentreindicava col cucchialino alla contessa l'amico Giacomoche stava prendendo ilsuo caffè in piedi con un contegno imbarazzatocolla testa accesa da una noningrata commozione. - Birbone il filosofoin filosofialui diceio sonospiritualistahegelianotrascendentale ese non vi disturbaanche intinto dipanteistico spinosismo; ma in amore cerco il materiale e il palpabile. Questiidealisti son piú birboni degli altrive': a noi dànno le pennema l'oca sela mangiano loro...

Mentre il contefatto rubicondo dal piacereinterno edesternorideva cogli occhicolla pelle del naso e col cucchialinoil volto didonna Cristinapallidissimosi fissò sui vetri della finestra in unarigidezza piú severa che dolente.

Il conte che aveva la bocca buonacontinuò:

- Solamentecaro Giacomoprocurate che queste signore nonve la guastinocol loro Sacro Cuore. È diventata una esagerazione questo SacroCuore di Gesú. Pare che non si possa esser buoni cattolicise non si fannosmanie per queste francioserie. Adesso bisogna che anche la divozione ci vengadi Francia insieme alla moda dei cappellini. Oggi «Sacré-Coeur»domani «Ravachol»...

Il conteche aveva colla Francia una vecchia ruggine perquel che aveva letto dei tempi del Terrorenon poteva perdonarle la continua edeleteria influenzache il libro francese esercita sul modo di scrivere deinostri giornalisti e dei nostri stessi autorinon escluso quel benedetto donAlessandroche in questa faccenda dello scrivere ha avuto dei grossi torti.

- Francioserie di linguafrancioserie di cappellinifrancioserie di Madonne e di Sacri Cuoria furia di francioserie ci sveglieremouna bella mattina con una bomba sotto il letto. Io son vecchio ormaio almenospero che questo balzano di cuore mi farà morire a tempo: ma voiGiacomomisaprete dire... cioè non verrete a dirmeloperché sarò mortoma viaccorgerete che gusto sarà questo vostro Socialismo.

- Non è miosignor conte... - obbiettò sorridendo Giacomo.

- Non è vostroma è figlio della vostra filosofia dallemaniche larghe. Ve ne accorgereteve ne accorgerete. Speriamo che per queltempo io abbia finito di mangiare la mia galantina e di prendere il mio caffè.Mi rincresce per il mio Ippofiloper Filipponee per quell'angelo che suona ilcembalo di là.

Il conte tacque per ascoltare alcune battute di una sonatinadi Beethoven che donna Enrichetta eseguiva con una garrula agilità. Le noteentrarono e risonarono nello studiocome il trillo gaio d'un canarino. La lucetiepida del pomeriggiopassando per le finestrediffondevasi sugli scaffalisulle splendide rilegature dei librisui vasi di porcellanasulle cornici deiquadrisulle stoffe damascate delle poltrone in una festa tranquilla di colorie di formein mezzo a cui apriva le braccia un mite crocifisso d'avoriobiancheggiante su un drappo rosso ricamato in oro dalle mani della contessa esormontato dallo stemma di casa.

 

Duemila lire!

Giacomonel ritornare alle Fornaci per la bella strada chegira dietro il «Roccolo» di don Andreanon fece che pensare a questa offertache gli avrebbe permesso di lasciare per qualche tempo l'insegnamento e dirimanere alle Fornaci a dirigere la liquidazione e gli accomodamenti della suacasa.

Duemila lire!

S'egli tornava indietro col pensiero fino alle prime memoriedella vitanon ricordava d'aver posseduto maitutto in una voltauna sommacosí grossa e venerandané di aver mai pensatoin mezzo alle ipotesi dellapossibilitàa quel che si può fare con due mila lire in mano. Gli era nota laforza del sole e anche quella dell'intelligenza umanache sa predire leeclissi: ma della potenza dinamica del denarose aveva un'opinione confusaperquel che si può vedere guardandosi in gironon ne aveva mai provata lasensazione immediata del possessosensazione che gli metteva in corpo unaspecie di vanagloriosa ebbrezza.

Gli pareva che con due mila lire un uomoche non fosse statone' casi suoidovesse realizzare un tal patrimonio di compiacenze e di cosefelici che a descriverle bene non sarebbero bastate due mila pagine d'un belformato Le Monnier.

Bastava dire che in grazia di quei quattro foglietti dacinquecentochiusi in una busta di cartaegli avrebbe potuto sposare e vivereun anno lautamente con Celestina in quattro camerette imbiancate di frescotraquattro mobili profumati di vernice fresca: un anno di paradisomezzo in terrae mezzo in cielodi cui non sapeva supporre le deliziesenza provare dellevertigini quasi mortali. E faceva conto che restasse ancora il margine per unacinquantina di libri tra vecchi e nuovichea furia di farsi desiderareinutilmenteeran diventati anch'essi una specie di amoroso tormento. A Bergamoaveva veduto esposto in una bottega un vestito intero di un panno grigio-ferroper sessantacinque lire: c'era da far la figura di un signorone. Per men diquaranta lire un suo collegapiú disgraziato di luigli aveva offerto unorologio d'oroche avrebbe potuto diventare uno splendido anello con un rubinoun simbolo lucente che parlasse alla santarella d'un cuore vivocoronato dispinecome quello del buon Gesú. E tutto questo per duemila miserabili lireper molto menocioèdi quel che costa un cavallo! Il denaro non è l'ideamacompera i padroni dell'idea. Misteriosa calamitaattira la simpatie degliuominidi cui consolida il lavoro e la forzacome il raggio del sole siconsolida nei frutti della terra. Il denaro è la volontà del mondo fattametalloè la forza quasi divina della materiache il cieco volgo prosternatoadora; e peggio per chi non ci crede! Le porte d'oro del piacere non siapriranno agli empi. Se non che le benedette duemila lire non erano per lui cheuna goccia di rugiada al sole. L'avvocato Brognolico aveva parlato chiaro. Sisarebbe tentato un concordato coi creditorichenon potendo continuare essi afabbricare mattoniforse avrebbero potuto nel loro interesse venire a unaintelligenza coi Lanzavecchiache da padroni di casa dovevano rimanervi comeservitori degli altri. Alla povera mamma doveva parer brusca questa sentenzaepiú brusca alla Lisacon quel suo carattere indocile e caparbio! Battistadoveva per ora e forse per sempre rinunciare alla sua Fiorenzala quale nonaveva servito che di specchietto per tirare gli allocchi nelle reti del sorFrancesco della Fraschettaun gran positivista anche lui! e anche Angiolinoaveva finito di divertirsi colle sue trappole ai topi e cogli archetti agliuccelli. In quanto al sor Giacomoil gran fabbricatore e negoziante di nebbiacome aveva già detto: Cara Celestinaaddio... poteva aggiungere anche: Addiofilosofia! I creditorigli avvocatiil curatoreil giudicenon potendobattere un morto e avendo bisogno di un vivo che potesse risponderevenivano acercare e a tormentare luiche aveva studiato e perfino stampato dei libri.

Camminando per la bella strada del soleGiacomo cosíparlava all'ombra suache gli scivolava di sotto i piedi: - Intanto bisogna cheti metta nelle mani d'un uomo praticoche ti consigli e ti mostri fin dove èdover tuo riconoscere gl'impegni di tuo padre. Un sapiente della tua forza è unpulcino nella stoppa in questi affari; tutti sistemi di filosofia presi insiemenon pagano un soldo di pane. In queste angustie le profferte di casa Magnenzio eil soccorso pronto di questi buoni signori sono la mano di Dioe tu nonpotresti rifiutare senza esporti al biasimo di altezzosodi superbo e disconsiderato. Non è elemosinabensí una onesta anticipazioneche potrairestituire con largo interesse in altrettanto lavoro; ma fosse anchel'elemosinail respingerla quando viene fatta a questo modosarebbe piú unascontrosità che un atto dignitoso. Si fa del bene anche col lasciarlo fare aglialtrie il saper ricevere non è merito piú comune che il saper dare. Se sitoglie ai signori ogni occasione d'esser utili al prossimonon si sa perchéDio li metta al mondo. Anche la ricchezza finirebbe col diventare un'illusionese non giovasse a diminuire i mali del mondomentre nelle mani dei buoni e deigenerosi la ricchezza è la vicaria della Provvidenza in terra.

Tra questi pensieri giunse in vista delle Fornaci. Blitzquando riconobbe il padronegli mosse incontro a fargli festa con un grandimenare di coda. Giacomo gli strinse il musolo guardò negli occhiemettendogli vicina al naso la busta suggellata:

- Indovina - gli disse - che cosa c'è qua dentro. - Esiccome il cane ignorante non sapeva che odore avesse il denaroGiacomo glibatté la busta sul nasodicendogli: - Questo è l'Assolutoasinaccio!

 

 

IX

 

 

ANGOSCIE MATERNE

 

Donna Cristina giunse alla villa di donna Fulvia di Brenoverso le trecome aveva scritto.

Quantunque donna Fulvia fosse di alcuni anni piú giovanelaloro amiciziache risaliva fino ai tempi del collegioconservava tutta lafreschezza d'una simpatia d'anime sorelle. Entrambe erano state educate dalledame inglesi di Lodidove avevano lasciata una memoria molto diversafruttodel temperamento molto diverso del loro carattereche gli anni e la praticadella vita avevano forse potuto modificare ma non cambiare. Quanto donnaCristina era inclinata ai pensieri alti e alla compostezza della vita moralealtrettanto la Breno amava prendere la vita da' suoi lati meno tristi e menodidatticispingendosi non di rado fin dove l'allegria si confonde collaspensieratezza. Altabrunaasciuttadal suo viso magrotutto profiloe piúancora dagli occhi di falco spirava una tale noncuranza per le cose monotone diquaggiù che le stesse afflizioni non osavanosto per direaccostarsiquasitemessero di non essere prese sul serio. Maritata a quello spirito freddo eprudente di don Lodovico di Brenoche fu per molte legislature il deputatoindispensabile del suo collegioaveva trovato nelle molte relazioni politichedi suo marito e nel suo salotto di Roma l'acqua chiarache cercava il pesce perguazzare. Non aveva avuto figliuoli e non se ne lamentava: e per quanto lacronaca dicesse chetra una legislatura e l'altra di suo maritoavesse trovatoil tempo di cedere a qualche tentazionenon aveva mai abusato né di sé stessané degli amici.

Pare che in certi momenti di contrizione le avesse giovatol'assistenza della piú santa delle sue amichela qualecome soleva fare incollegio amava esercitare sulla fantasia sbrigliata della Fulvia un'azionecorrettivadolce e maternache aveva sul diavolino di casa di Breno un poterespirituale non privo di fascino. E dall'altra parte un po' per simpatiaun po’per forza di contrastodonna Cristina si lasciava volentieri trascinare acercare nella Fulvia un segno di quelle ribellioni di spirito e un sapore ditutte le dissipazioniche essa aveva severamente proibite a sé stessa. Ildiavolo ha il suo fascino anche lui sull'anima dei santi. Ora si vedevano diradoanche per riguardi politici. Per quanto il di Breno fosse un cavourianoall'acqua santatuttavia nella questione di Romaquel suo accettaresenza unarestrizionei cosí detti «fatti compiuti» non poteva essere il programma nédei San Zenoné di monsignor vescovoche aspirava a far carrierané dellaclientela pia e clericaleche dava e riceveva forza da questi nomi.

Questa differenza politica non impediva che le persone sistimassero reciprocamente per le loro virtú e che le signore si scrivesserospesso e si ritrovassero volontieri tutte le volte che una circostanza rendevail ritrovarsi necessario o piacevole.

La missione spirituale di donna Cristina sull'anima ribelledell'amica non era ancora finitaquando donna Fulvia (fu verso la metà disettembre) ricevette una letterina di Cristina con queste parole: «Ho bisognodel tuo consiglio e del tuo aiuto per una tremenda disgraziache minaccia lamia povera famiglia. Verrò giovedí verso le tre: procura di essere libera. Nonlasciar capir nulla a tuo marito di ciò che ti scrivoe pregaprega per me».

«Che mai può essere accaduto?» continuò per due o tregiorni a molinare nel suo capo donna Fulvíache aveva sempre avuto bisogno chepregassero gli altri per lei. E quantunque il sospetto corresse subito aGiacintodi cui si sapevano certe sue nuove e poco gloriose imprese con unaprincipessa romanapure aspettò con ansiosa incertezza e con viva trepidazionequesta annunciata visita di Cristina.

Giacinto non era a' suoi primi spropositie mai la madreaveva scritto con tono cosí lugubre! Che don Lorenzoquel gran traviatoavesse fatto un torto a sua moglie? o che ci fosse ordine di arrestarlo persospetto d'anarchismo? Per fortuna don Lodovico da una settimana era a Romarelatore di una commissione del catastoe quindi fu possibile mantenere ilsegreto cosí gelosamente imposto: altrimenti sarebbe stato un chiedere troppoalle forze di una povera donna.

Non c'è nulla che avvilisca tanto i fattiquanto il nonpoter parlare con chi si vuole e quando si vuole.

- Ebbeneche cosa è accadutomadre santa? - esclamòquando ebbe fatta sedere la contessa nel suo gabinetto bianco ed ebbe chiusa ladoppia porta che metteva verso il salone. - Tu hai una faccia malatamia cara!Forse don Lorenzo...

Donna Cristina si affrettò a rispondere di no con un fortediniego dei capo: ma non poté parlar subitoperche si sentiva la gola piena dilagrime. Siccome era fuggitasi può direda casa sua per cercare un rifugiodove potesse liberamente dar corso a questa sua opprimente passioneal primosfogo ch'ella fece per parlareruppe in un pianto cosí sfrenato che la poveraFulvia rimase fredda e come allibita.

- Che cosa c'è? - domandò di nuovo con una voce che sentivale lagrime. Eafferrate le mani della desolata donnase le tirò a sése lepose sui ginocchiaspettando in silenzio che quel gran fiume di doloretraboccasse tutto. Quando l'amica poté ricuperare la padronanza di séfuancora la Fulvia cheinsinuandosil'aiutò a parlare: - È per Giacinto chepiangi? C'è ancora qualche novità? non è bastato farlo traslocare a Caserta?è ancora per colpa di quella principessa maritata?

- Peggiopeggioquanto di peggio si può immaginare -proruppe la Magnenzio con una forza quasi di protesta.

- O Dios'egli fosse morto!...

- Peggio ancora! E doveva toccare proprio a me.

Ecoprendosi il viso colle due manisoggiunse:

- O Signorevoi sapete che io non ho mancato al mio dovere.Ah che castigoche castigo tremendo!

- Raccontami - sussurrò la di Brenofacendosi più vicina egirando un braccio intorno alla vita della compagna. Dopo aver inghiottitiamaramente i suoi singhiozzidonna Cristina riprese a dire: - Sai che ho incasa una povera ragazzaquella Celestina...

- Ho presente.

- Già fin da questa primaveraquando Giacinto fu a casa inlicenza per alcuni giornimi sono accorta che le usava qualche confidenza; masiccome la ragazza è onesta e ha il cuore occupatonon ho creduto che ci fossepericolo. Ma il mese scorsoquando Giacinto venne a casa per le corse di Erbacredette di tormentarla ancorae non pensònon pensò il disgraziato che ciperdeva tutti.

- Scusa- fece la Fulvia un po' accigliata - fin dove devopensare?

- Pensa tutto quel che di peggio può accadere.

- Tu dici che la ragazza è onesta...

- Sí. Una notte che tornò al Ronchetto alquanto alteratodalla festa... me l'ha confessato lui... non sanon si ricorda come siaavvenuto... trovò aperta la stanza... la ragazza dormiva. Ah che disonore perla mia casa! - tornò a gemerefremendo con una irritazione mal repressacheinaspriva la sua voce in singhiozzi rauchi e poderosi.

- Povera me! - balbettò donna Fulviache dal suo posto dispettatrice poté abbracciare con uno sguardo tutte le conseguenze che un passofalso di questa natura poteva trascinare con sé. - Non era questo il momentopovera me... - E dopo un istante di riflessione soggiunse lentamente: - L'haisaputo da lui?

- Entrò lui stesso la mattina nella mia stanza a confessarmituttoin ginocchionella stretta del letto. Che vale il piangere e ilpentirsiquando il male è senza rimedio? Se mi avesse cacciato un coltello nelcuoreper me era lo stesso. Egli crede ancora che io sia per trovare unaccomodamento: ma che posso fare? c'è da impazzirevedi. Se quel pover'uomoche ha già il cuore malatoviene a conoscere questo scandalomi resta sulcolpo. Un Magnenziocapisciun nome come il nostroche ha una tradizionesecolare di onestà! E i parenti? e mio zio monsignore? Se il popolos'impadronisce di questo scandalose i nostri nemici vogliono servirsene comedi un'arme per combattere noi e il partito ben pensantese monsignore viene asapere... O Dioio perdo la testa solo a pensarci... - E come se veramente unaconvulsa vertigine la rovesciassela povera contessa si lasciò andare collatesta sui ginocchi di Fulvia e riprese a piangere in un modo contagioso.

- Certo che è grossa... - mormorò l'amica - e anche per lasua carrierase aveva un po' d'ambizionenon gli gioverà. E per maggiordisgrazia siamo alla vigilia delle elezioni generalinelle quali i partiti diquesti nostri collegi combatteranno una fiera battaglia. Di Breno dice che ilgoverno massonico tende a spazzarci via tutti quanti. Non era proprio ilmomento... - cosí andava ripetendo donna Fulviacome se parlasse a sé stessamentre il pianto straziante della povera disperata strappava anche a lei lelagrime dagli occhi. - Comunquela calma è il primo rimedio. Non è il primocaso e pur troppo non sarà nemmeno l'ultimo. La gioventú ha i suoiinconvenienti. In casa nostra è accadutoanni faqualche cosa di simile; mail povero papà con un poco di denaro ha messo tutto a dormire. Vediamohaparenti questa tua cara innocentina?

- È orfanama ha qualche parente.

- Bisognerebbe sapere che gente è.

- È buona genteincapace di approfittare di unasventura.

- Se si offrisse una dote alla ragazza?

- Fulviache cosa dici? ti pare?

- Giàil tuo Giacinto non può mica sposarla.

Donna Cristinaabbassando la testaacconsentí con unsospiro.

- Nemmeno monsignor vescovo potrebbe pretendere tanto. Eallora non vi resta che di offrire un altro genere di risarcimento. Hai dettoche la ragazza aveva già il cuore impegnato con qualcuno? Non si potrebbepersuadere questo qualcuno ad accettare una ventina di mille lire? il poveropapà nel caso di Costanzase l'è cavata con meno: perchéviatu sei buonae fai bene a credere all'innocenza; ma ritieni pure che in questi nostri paesile ragazzepiú furbe del diavolosanno rappresentare a meraviglia la parte divittima. Alle volte anche i parenti si mettono della partita e fan presto adavere buon giuoco in mano. No? non credi che sia possibile persuadere Menelao aripigliarsi la sua belle Helene? Che uomo è questo Renzo Tramaglino? Uncontadino? un operaio?

A queste domande cosí incalzanti e taglientidonna CristinaMagnenzio non seppe rispondere che con uno sguardo freddo e dolentein cui sileggeva tutta la grande desolazione del suo cuore. Alla curiosità di Fulviaessa avrebbe dovuto opporre un nomeche non osava pronunciarecome se temessedi evocare tra loro un terribile giustiziere. Mai la bontà e la giustizia d'unuomo avevano parlato con tanta forza alla sua coscienza! e come se provasse insé stessa l'offesa atroce che si recava all'assentecon un atto di nobilerisolutezzaprotestò:

- Noquesto è impossibile!

- E allora bisogna raccomandarsi alla ragazza e farseneseè possibileuna alleata. Se ti vuol benese non è una cattiva leggeronasesente il suo statocapirà che non ha a guadagnar nulla da uno scandalo.Procurate di allontanarladi metterla per qualche tempo in un sito sicuro e dilasciare a lei l'incarico di persuadere il suo Tramaglino a voltarsi da un'altraparte. Questa gente non sta poi a far della psicologia troppo sottilecome sifarebbe tra noi. Per loro tutte le donne son donnee le ragazze dicono che unpapa val l'altro. Se vuoi posso aiutarti. La sorella della mia maestra di pianoè direttrice d'una Casa a Trevigliouna specie di rifugioche ricoveraappunto questi peccatidove c'è anche un ospedale sotto la sorveglianza dellesuore.

- Potrò io persuadere la povera creatura a rinunciare al suoidealea lasciar la casaa rinchiudersi in un ospizio? tu non sai la battagliache io combatto da un mese in qua. Sífinora ho potuto far tacere la ragazzacolle carezzecolle promessecolle preghierecon tutto ciò che soltanto ilcuore d'una madre sa trovare in queste disperate circostanze; ma vedo chel'impresa è piú forte di me. Celestina oggi promette che non farà nullachenon dirà nullache andrà dove voglio ioche non penserà piú al suopassatoche mi vuol beneche accetta la volontà di Dio; ma non arriva ildomani e me la vedo tornar davanti tutta cambiata. Non dorme quasi piúnonmangia quasi piú; di notte scende dal lettoattraversa il corridoio e viene apiangere nella mia stanzasi strappa i capellidice che il diavolo la battecon una catena...

- Taci! - pregò donna Fulviaimpallidendocon vocespaventatarabbrividendo nelle spalle.

- VediFulviadove siamo? - domandò con lamento straziantela povera contessabattendo forte le ciglia e cercando di attaccarsi alle manidell'amica come se avesse avuto bisogno di chi la tenesse su. - Vedi che cosahanno fatto della tua povera Cristina? Il Signore non mi ascolta piúilSignore mi ha abbandonata.

- Nonopovero angelonon dir cosi. - proruppe la diBrenocompassionandolae sorpresa in fondo all'animo di dover fare verso unatal donna la parte di madre consolatrice. - Tu hai troppi meritiperché ilSignore ti debba abbandonare. Sono tribolazioni che ti manda per provare la tuavirtú. Vedo tutta la gravità del caso e trovo che non c'è tempo da perdere.È necessarioassolutamente necessarioevitare questo scandaloche darebbe inostri nomi in bocca ai framassoniche non aspettano che un pretesto per darfuoco alle mine. Lodovico dice che quest'anno la lotta amministrativa saràcombattuta con accanimentoperché il governoche è tutto nelle mani deiprogressistivuol rompere la crosta clericale e moderata e sbarazzare ilterreno per le prossime elezioni politiche. Converrà quindi fare unconcentramento di forze dei vari partiti conservatori contro la falange abissinadei sovvertitoridei radicalidei massonidei socialistie di tutti quelliche amano pescar nel torbido. Siamo dunque interessati a difenderci e a ripararei punti deboli della fortezza. Vuoi che io ne parli a Lodovico? Può essere checolla sua influenza morale arrivi a tempo a scongiurare il pericolo. E se vedròil tuo Giacintogli farò una predica coi fiocchi. Noblesse obligespecialmenteluiche può contare sublimi trionfi. Ragazzacci! - aggiunseaggrottando leciglia la bella magracome se indagasse un mistero: - È un'altra conseguenzadi questo sordido sportche hanno messo di moda. On s'encanailleecco!

Rimasero d'accordo che Fulviasenza mettere fuori per ilmomento i nomiavrebbe sottoposto il problema alla saggezza politica di donLodovicoche in questo giuoco di elezioni e di partiti politici aveva sul bancola sua persona e la sua candidatura. L'esperienza insegna che in politicabisogna giovarsi specialmente dei peccati degli altri; e sarebbe stata una bellasorpresa che per il capriccio di un giovinotto ubbriaco fosse andato sommerso illavoro paziente di dieci o dodici anni di candidatura incontrastata. La diBrenochenon avendo figliuoliamava anche leialla sua maniera alquantonervosala politicache le permetteva di passar l'inverno a Romanon eradonna da dormire in pace su questo peccato di Giacinto come aveva dormito sempresui suoi.

 

X

 

 

UN PRANZO POCO ALLEGRO

 

 

Il compleanno della contessina cadeva ai venticinque disettembree in quest'occasione i signori del Ronchetto solevano invitare leautorità minori del paese e dei dintornicome sarebbe a dire il pretinorettore dei Santuarioil segretario Balsaminoil maestro della banda e qualcheparente. Giacomonella sua qualità di professore campestrecome solevadefinirsinon poteva mancare. Quest'anno avrebbe avuto una buona scusa peresimersi: ma donna Enrichetta mostrò d'averne un cosí gran dispiacere ch'eglinon osò dir di no.

- VeniteGiacomoun po' di distrazione non fa male - glidisse il conte. - Saremo quasi in famiglia e potremo discorrere un poco dellenostre faccende. Di quel mio Discorso preliminare mi sono venute diecipaginette che non sono il diavolo: ma la materia mi cresce nelle manitantesono le cose che si possono dire intorno ai doveri della nobiltà nel presentetempo: voi potrete consigliarmi a togliere il troppo e il vano.

Questo pranzo del compleanno di donna Enrichetta erasecondol'espressione del conteuna semplice messa piana. La gran messa cantata coirivestiti e con musica aveva luogo in agostoil giorno di San Lorenzocoll'intervento del prevostodel sindacodel dottore e del buon canonicoOstinelli di Cornoun amico fidato della contessaun po' romanticoun po'rosminianomanzoniano perdutoma non privo di coltura e di finezza. I pretinon impedivano che anche il padrone di casa pontificassee l'una e l'altravoltasul testopiú antico che sacrodel post mortem nulla voluptas...

Giacomoche dopo il nuovo beneficio si sentiva legato aquesta cara famiglia ancor piú di primae che per la contessina aveva il cuoredebole del padre protettorenel mandarle un'edizioncina diamante di Dantel'accompagnò con un sonetto da lungo tempo promessoche gli uscí spontaneo inmezzo alle tribolazionicome un fiore da un mucchio di sassi.

Fu la cara bambina che gli venne incontro saltando sullaterrazza. Quantunque non compisse in quel giorno che i quattordici annilapersona lunga e slanciatala ricchezza fluente de' suoi capelli d'orocheportava appena raccolti in due nastri dietro le spallela spigliatezza un po'nervosa di un temperamento eccitabile le davan l'aria precoce d'una donnina.

Essa gli stese la mano e lo ringraziò del regalodelsonettod'esser venuto; ma Giacomo capí che c'era in aria un piccolotemporale. La contessina aveva gli occhi rossi. Frequenti erano le burrascheunpo' per colpa della fanciullachecome una foglia sensitivas'irritava a ogniminimo toccoun po' per colpa della mammache del bene aveva un concettotroppo geometrico e mettevasenza accorgersinel comando piú voce che nonfosse necessaria.

La dolce e poetica pigrizia dell'età giovanileche amatanto sedere all'ombra dei propri pensieriera troppe volte e troppobruscamente disturbata dal rigido programma materno e dall'orario di ferro dimiss Haynesun orariochevisto a due passi dall'uscioove l'inchiodavanoquattro spillipareva la gratella del martirio che mettono in mano a sanLorenzo. La messa alle seila colazione alle setteil francese alle ottol'inglese alle noveil piano alle diecila seconda colazione e il passeggiodalle undici a un'orae poi da capo il pianoil francesel'ingleseun po'd'italianoche si riduceva a una lettura di storia greca e romana; e questo dallunedí al sabatotranne qualche ora del giovedí consacrata alla spiegazionedel catechismo. La lezione di Giacomo non era segnata nella gratellama avevaluogo quando la contessa poteva disporre del suo tempo per assistervi; e piúche una lezioneera un vago discorrere sulle bellezze dei poeti e sui caratterigenerali dell'arte.

Dante era il testo unicoda cui il maestro sapeva cavare gliargomenti della sua conversazionealla quale prendeva parteper sua istruzionee per amore alle ideeanche la contessa. Giacomoche aveva anche lui moltipeccati di fantastica pigrizia sulla coscienzasoleva intervenirecoll'autorità del filosofo educatore in queste non infrequenti disarmoniepedagogiche tra la figlia e la madreequando parlava luila ragione erasempre a vantaggio di donna Enrichetta. - Creda purecontessache l'orario èuna dura necessitàcome ci vuole una scala per andar al piano di sopra; ma nonè escluso che un uccellino possa arrivare anche piú in alto senza far lascala. I meriti del rosario non sono nei grani infilatima nella spontaneitàdell'anima che lo recita. Si faccia pure un orario per la regola del conventoma ricordiamoci che noi accontenteremo la natura tutte le volte chec'ingegneremo di violarlo.

Per miss Hayneschedopo essere stata maestra alla madrecominciava a invecchiare nelle consuetudiniqueste idee del signor Lanzavecchiaeran semplicemente eresie d'uomo di mondoche non crede agli orari colla stessafacilità con cui non crede a qualche cosa di piú sacro e di piúindiscutibile. Buona come un angelofiniva però col cedere anch'essa qualchevoltae lasciava che Enrichetta svolazzasse in giardino in qualche oradestinata ai verbi irregolari.

- Gli occhi rossi in un giorno come questo? è un po' troppo.Che cosa è accaduto? - chiese il professore.

Enrichetta si contorse un pocoe lottando tra il bisogno dipiangere e l'orgoglio di non mostrarsi una sciocchinaraccontò che mammàl'aveva poco prima allontanata dalla camera con una parola cattiva.

- Non è la prima volta che usa con me questi modi. Immaginaforse che vada di sopra a far la spia. La spia di che? Vuol piú bene alla suaCelestina che a me.

- Certe cose non si dicono e non si pensano nemmen per burlasignorina.

- Nonoè cosí. Da un mese questa è diventata la casadei misteri.

- Se anche ci fosseroè naturale che le ragazze non abbianoa conoscere tutto. Ci sono i dispiaceri dei piccoli e quelli dei grandi. Quandosarà mammina anche leivedrà che non si può sempre essere di buon umore.Viadonna Enrichettaci tenga allegrimi faccia vedere i suoi regali.

Giacomo prese sotto il braccio quello della fanciulla e sifece condurre da lei nel salottino di studiodove su una tavola stavano espostii molti regali e i molti mazzi di fioriche amiche e parenti avevano mandatoper la fausta circostanza.

Essa cominciò con voce piú consolata a farne laspiegazione. Il bel vaso di Sèvres l'aveva spedito il nonno da Bergamo; lasplendida Madonna in miniatura era un regalo della zia monaca di Monza. C'era untagliacarte d'avorio della zia Adelasia e un libro della zia Gesumina diButtinigo. Il babbo aveva offerto alla sua Enrichetta il «Lessico della infimae corrotta italianità»; la mamma una collana di perle; miss Haynes un albuminglese di ricami e d'iniziali; e perfin Fabrizioquel povero vecchio diFabrizioaveva voluto farsi avanti con una scatoletta incrostata diconchigliette e di lumachelle.

- Soltanto il mio illustrissimo fratello ufficiale non si èricordato della sua Enrichetta. Tutto occupato a conquistar l'Africa...

- Che c'entra l'Africa?

- Non sa che vogliono mandarlo in Africa? Al babbo però nonsi deve dire.

- A qualche cosa serve anche l'Africa - pensò in cuor suoGiacomo; manon potendo parlare di queste cose alla fanciullasi limitò adomandare se la mamma era a parte di questo segreto.

- La mamma lo sa. Gliel'ha scritto il generale Pianinostroparente. Tra la mamma e il generale corre da qualche tempo un gran carteggiomaio non devo saper nulla. Io non conto per nulla in questa casa.

- Sia buonaecco la mamma... - fece Giacomovedendo entrarela contessa.

Questanell'incontrarsi repentinamente con luiebbe ancoraun piccolo scatto nervosoche cercò di reprimerestendendogli la manomentregli diceva:

- Bravola ringrazio d'essere venuto... - Poivolgendosiverso un alto specchioche occupava una paretemettendosi le mani nei capellicome se avesse bisogno di accomodare uno spilionecontinuò con un tono dinaturale noncuranza: - Celestina è un poco ammalatatanto che l'ho obbligata amettersi in letto. Ieri ha voluto stirare colle finestre chiusee s'è buscatoun forte mal di testa con qualche nausea di stomaco. Se può dormirepasseràtutto... - Emutando a un tratto il discorsosorse a domandare senza voltarsi:- ConosceGiacomole mie cognate di Buttinigo?

- Credo di essermi trovato con loro un'altra volta.

- Sono a pranzo con noi. - E per l'inquieto bisognochesentivadi non rimanere troppo in una cosa solacon altra voce chiamò: -Enrichetta.

- Mammà - esclamò la fanciullacorrendo ansiosa verso dilei. La contessa le ravviò il vestitino bianco ecarezzandola sui capelliledisse sottovoce: - Sai che non voglio essere disturbata senza necessità.

- Scusamammà - disse la bambinaa cui gli occhisplendevano di commozione.

- Accompagna il signor professore in sala e fa lepresentazioni. - Quando Giacomo e la fanciulla ebbero lasciato il salottinodonna Cristina si strinse le tempie nelle manisocchiuse gli occhie pregòcon un mormorio di affanno mortale: - Signoresostenetemi!

 

Verso le seifu servito il pranzo nel severo salotto paratodi cuoioche due grandi e massiccie credenziere intagliate nel grosso stile delseicento arredavano su due lati. La tavola era splendente di argenterie e dicristalli finissimisui quali si riverberava la luce rubiconda del giornochemoriva dietro la piccola pineta del giardino. Fabrizio e un altro servitore piúgiovinenella sobria livrea color tabacco coi paramani bianchiservivano conprecisione in un raccoglimento quasi religiosorecando grandi piatti d'argentocesellati colle iniziali e cogli stemmi delle due famiglie.

La contessa pareva aver ricuperata tutta la sua forza dispirito.

Seduta a capo della tavolaesposta al caldo bagliore deltramontola sua bella testa di matrona ancor giovane spiccava sul fondo brunodella paretealleggeritaper dir cosídalla luce fuggente dei brillantichepopolavano i suoi capellidalla nebbia dei pizzi candidissimi e da un palloremarmoreo del voltosoffuso con insolita civetteria da un roseo velo di cipria.Indossava elegantemente un vestito di piccolo velluto amarantocol bustoegualesul quale ripiegavasi a guisa di collare un ampio risvolto di pizzo diFiandra. Al collounico ornamentoera un filare di perleuna delle qualigrossa quasi come una nocciuolaspiccava in mezzo al color fulvo di quei famosicapelliche formavano l'ambizione di Celestina.

I giorni d'invito erano per la giovane cameriera giorni dipalpiti e di trepidazione. A Celestina la contessa rappresentava quanto di piúbellodi piú elegantedi piú ideale possa prendere la figura di una donnasulla terra; e se c'era pericolo che ella potesse soffrire in qualche confrontocon altre signorele precauzionile curele trepidazioni non avevano maifine. La ragazza la faceva passare tuttafilo per filodalla punta dellescarpe alla punta dei capellie dopo averla aggiustataritoccataadoratal'accompagnava fin sull'uscio della salastando dietro il battente adassaporare il trionfocome se una parte di merito andasse a lei.

Questa volta la povera Celestina non aveva potutoaccompagnare la sua signora. Una piccola e fiera battaglia era stata combattutatra lor due nelle stanze superioridove miss Haynesla vecchia istitutriceera rimasta di guardia per impedire che la ragazza facesse uno sproposito. DonnaCristinanella signorile acconciaturasorridendo agli invitatisi sforzava disostenere la conversazione colla consueta amabilitàprovocando essa stessa idiscorsiperché nessuno avesse a leggerle negli occhi il suo affanno; ma se ilcorpo era in salail suo cuore era rimasto confitto di fuori. Essa avrebbevoluto persuadere Celestina a lasciare il Ronchetto quietamentesenza farscenesotto un pretestoche si trova sempre; e assumeva sulla suaresponsabilità l'incarico di avvertirne Giacomo e di fargli parere questapartenza come una cosa naturale e provvisoria. La stessa di Breno si era offertadi ricevere la ragazza sotto la sua protezioneeor sí or nola poverina nepareva persuasa. Ma quanto piú si avvicinava il fatale momentonon sapevadistaccarsi dalla contessache nella sua tremenda disgrazia rappresentaval'unica àncora di salvezzal'ultima protezioneun testimonio della suainnocenzaun'amicauna mamma. Nelle mani degli altri essa sarebbe diventata dinessunooquel che è peggio ancorapreda di tutti: e in questo timorecomese sentisse di camminare verso un precipizioimpeti di fiera ribellionesuccedevano a freddi propositi di rassegnazioneripulse selvaggie a mitiacconsentimentilagrime sfrenate a lunghi silenzi di morto stupore.

Piú d'una volta la contessa aveva dovuto trattenerlastringerla nelle bracciabaciarla sugli occhibagnarle il viso di lagrimesupplicarla con parole umili e piccinesussurrate nelle orecchieperché nonavesse a gridar cosí fortea non richiamare l'attenzione della gente di casa;finché la Celestinacommossa da quel dolore non meno grande del suodebellatada quelle paroleche si accordavano alle suerammollita da quelle lagrimechesi mescolavano alle sueprometteva di esser savia e pazientedi lasciarsicondur viadi fare tutto quello che la signora contessa le avesse detto difare.

Con una di queste promessestrappata all'ultimo momento ericompensata col dono d'un bel rosario di madreperladonna Cristina era discesain mezzo a questi suoi familiaridopo aver soffocato con uno sforzo supremodella volontà le aspre inquietudini e le eccitazioni nervose sotto un amabile eridente contegnocome aveva fatto sparire la traccia delle lagrime e dellenotti mal dormite sotto il velo roseo della polvere profumata.

Questa straziantenecessariainsolita energia didissimulazionela povera martire l'attingeva al pensiero che in essa era lasalvezza della sua casacome il capitano valoroso sa che dal suo contegno fermoe sicuro nel fitto della battagila può dipendere la sorte della giornatacampale.

 

Insieme ai padroni e alla padroncina di casa sedevanocomes'è dettointorno alla tavola il segretario Balsaminoil maestro della bandadon Iginiopretino giovane e delicatoe le due zie di Buttinigosorelle didon Lorenzodonna Adelasia e donna Gesuminacontesse Magnenziodue dameattempatenon prive di barbatonde e piccolette come due gomitolivestitetutte e due colla stessa severità quasi monacale di seta nera; ma si capiva daimolti anelli e dall'astuccio degli occhiali che si aveva a che fare con due damee non con due monache.

Erano sempre vissute zitellenon credo per avversione alsanto matrimonio. Donna Adelasia aveva amatosul tramonto della sua giovinezzaun uomo di quarantacinque anniche la voleva sposare; ma il povero marcheseCaccianinoproprio quindici giorni prima del fausto avvenimentocadde dacavallo e restò sul colpo. Da allora la meno brutta delle Magnenzioconsiderandosi come vedovanon fece che coltivare le meste memorie.

Donna Gesuminaanima di bambina in un corpo poco sviluppatoera invecchiata senz'accorgersi nella sua innocenzavivendo un giorno dopol'altro per quasi sessant'annidi amarettidi caramelle di gommadi rosolidi novene e di santi e pudibondi sgomenti per tutto ciò che leggeva suigiornali o che sentiva raccontare intorno agli oltraggi che si recanocontinuamente alla Chiesa e al cuore del Sommo Pontefice.

Vivevano sole in quel loro casone di Buttinigoma nonrifuggivano dal mondoal quale cercavano non mal volontieri gli argomenti discandalo e le occasioni per deplorare la decadenza dei buoni costumi. Noninsensibili al fasto e alle decorose tradizioni della famigliaportavano aspasso l'antica nobiltà in un carrozzone foderato di stoffa color guscio dicastagnache aveva sulla portiera i due terribili draghi colle fauci aperteuna diavoleria araldica da far venire la tremarella alla Convenzione. Aproposito di questa spaventosa impresa un canonico Ildefonso Magnenzio avevascritta una dissertazione storicapubblicata a Bergamo l'anno 1653nella qualesi tira in ballo perfino Berengario Iper dimostrare che Magnenzio deriva da magnarcorruzione di manducareche in certi incontri storici può essereanche sinonimo di divorare. Comunque siaquelle gran bocche aperterappresentavanoper le due dame e per il Rebecchinoloro cocchiere e factotumuna gloriosa tradizionealla quale era attaccato qualche milione di patrimonioche sarebbe andato a cadere in bocca a don Giacintounico erede maschio di unaprosapia quasi millenaria.

In quest'unico rampollocom'è facile immaginarele duevergini dame riponevano le loro femminili e aristocratiche compiacenzeamandoin luinon solo il passato illustreche sarebbe rifiorito in luima tutti ifigliuoliche esse non avevano potuto avere.

Il giovinotto era bellobianco di carnagionecoi baffettibiondispigliatospiritosoamabilenon imminchionito nei libri come suopadresapeva essere a suo tempo e luogo ardito e prepotente; insomma le zie diButtinigo vi trovavano tutti i saporilo sovvenivano di nascosto di denarolocompassionavano come una vittima di un sistema educativo irragionevole epurinchinandosi alle intenzioni di donna Cristina loro cognatasi permettevano diosservare sommessamente tra loro che i nobili non vengono al mondo per istudiarela filosofia e per incretinire sulle lapidicome faceva il loro fratelloantiquario. Giacinto capí prestoprima ancora di mettere un pelo di barbachele due buone zie di Buttinigo eran da coltivare come due buone vigne. Con untantino di ipocrisiache in francese si dice savoir fairecoll'esagerarei suoi stessi sentimenti di buon credentecol fingere qualche straordinariamortificazione in quaresimacol racconto ameno di tutte le storielle galantiche correvano negli aristocratici salottiil ragazzoa furia di soddisfarnegli istinti materni e la disoccupata curiositàs'era fatto delle due zie duepotenti alleatesempre pronte a dargli ragionea difenderlo contro lesofisticherie di mammàa fornirgli sottomano i mezzi di pagarsi qualchescappuccio.

Né la contessa poteva da parte sua contraddirle sempreeper un giusto riguardo a don Lorenzoche sopra ogni cosa amava la pace el'armoniae anche per un riguardo ai due draghi e all'annesso patrimonio. Ilgiorno cheper isfuggire ai pedagoghi di mammàil bel giovinotto si presentòalle zie nella chiara divisa di Piacenza cavalleriacogli stivaloni allascudieracollo spadone al fiancocoi kolbach di pelo sulla sua bella testa dibiondo Apolloper poco le due zitelle non isvennero di consolazione. Lo feceropasseggiare in su e in giú per il salonevollero sentire il tin tin deglispronisfoderarono esse stesse la terribile spada e gli regalarono subito centolire ciascuna per le sigarette. A turbare la gioia di questo trionfo vennel'ordine del Ministeroche destinava il giovane soldato a Roma; maconsultatesi con quel brav'uomo del prevosto di Trezzole due apostolichezitelle cercarono di riparare l'offesa involontaria che un Magnenzio recava alcuore del Santo Padrecoll'incaricare lui stesso di versare cinquecento lirealla cassa dell'Obolo di san Pietro. Giacinto ritirò da un chierico una polizzaper cinque lirevi aggiunse di sua mano un paio di zerie giocò le altrequattrocentonovantacinque al faraone. Il diavolocom'era dover suolo aiutò elo fece vincere.

 

 

***

Don Lorenzoda buon umanistafece onore alla tavolaspecialmente a un manicaretto di pasta frolla imbottito di tartufiche Orazionon aveva potuto mettere in asclepiadei. Egli era in vena di celiaree per ilgusto che gli dava ogni bella compagniae per l'appetitoche per fortuna nonguastava questa volta l'opera del cuoco. Giacinto gli aveva scritta ancora unacartolinamica malepovero Ippofilotranne la smania di togliere l'acca allevoci dei verbo avereche l'hanno sempre avuta.

- Son novità di quei signori toscaniche si possonocompatire in un giovinotto; ma di questo passo non le paredon Iginioche sivada diritti all'anarchia ortografica?

Il pretino timidoche stava attento a non commettere erroridi convenienzasi scossedètte una lavatina asciutta alle manile apersecome se celebrasse all'altareefacendosi rosso in visorispose:

- Sicurosignor contel'acca ci vuole.

- Togli l'acca di quataglia di là la coda ai beneficjamaleficjal bojaleva un t a Cattolico e a Catterinache è come levare unacostola a una di queste signore... e poi che cosa resta dell'italiano di Dantedel Petrarca e del Boccaccio? che ne pensa il nostro egregio Balsamino a secretis...?

- Eccose mi permetteio le diròsignor conte - risposecol solito rustico coraggio il segretario comunaleche non dubitava mai dellaforza delle sue arguzie d'uomo semplice: - Se permetteio per me preferisco ilsuo vin di barolosignor conte... - e lanciata la bombarise moltosperandoche gli altri facessero lo stesso; ma un freddo silenzio gli fece capire chequesta volta la bomba gli era scoppiata in mano.

Donna Adelasiaper aiutare il povero pretinoche parevaquasi asfissiato dalla suggezione e dalla presenza delle signorevolle sapereda lui che cosa fossero le quaranta proposizioni di Antonio Rosminiche il Papaaveva riprovate e messe all'indice come ereticali. Il poverinochetuttooccupato a confessare le donnenon aveva tempo di leggeredopo aver lavate contre o quattro fregatine nell'aria le sue piccole manise la cavò col dire:

- Vededonna Adelasia? Il Rosmini è un panteista.

- Ho visto! - soggiunse col suo fare alquanto torbido lamaggiore delle due zitelle; e volgendosi a Fabrizioche si avanzava coi piattochiese collo stesso grado di curiosità:

- E questa che roba è?

- Questo è zampone di Modenacontessa - disse Fabrizio.

- C'è qualche altroche pencola verso il panteismo -intonò il conte colla bocca fatta morbida da una soave pasta di patatealzandoun dito minaccioso verso Giacomoche sedeva all'altro capo della tavolatra lacontessa e donna Enrichetta.

- Dice a meconte? - domandò Giacomofingendo di noncapire.

- Noi sappiamo leggere fra le righeGiovannino!...

- Pianopiano: lei mi fa una terribile accusa davanti alSanto Uffizio - soggiunse Giacomoridendo e accennando coll'occhio a donIginio.

- Zitto làsor filosofo: bene intendenti pauca.Solamente guardate quel che fatesignori idealisti - aggiunse don Lorenzo coipomelli accesialzando il tono della canzone; poitenendo sollevato sullaforchetta un boccone di quel ghiotto zampone di Modenache aspetta ancora ilsuo poetacontinuò: - Guardategiovanottiche a furia di scassinare iprincipjnon vi manchi la terra sotto i piedi. I tempi son grossi di ariecattive e una cattiva filosofia è sempre la staffetta d'una cattiva repubblicaL'abbiam visto in Francia ai tempi della Rivoluzionequando sul posto d'ognialtare abbattuto il buon popolo innalzò una ghigliottina. Che ne pensa la miadilettissima consorteche oggi mi par piú malinconica del solitoquantunqueciò non guasti la sua casta bellezza?

La contessa si scosse da' suoi pensieri e si sforzò disorridere; poivolendo mostrare che prendeva parte ai discorsi dei convitatichiese al maestro della banda qualche notizia su un certo contrasto nato tra lafabbriceria e il Consiglio comunale... a proposito d'un funerale.

- La signora contessa sa che la nostra banda non ha opinionipolitiche - disse il maestroun ex-tromba dell'esercitoa cui faceva bene ilvino di Piemonte. - La musica è un'artee l'arte dev'essere superiore alleopinioni. Si trattava d'un reduce garibaldinoe io domando se si potevarifiutare di sonar l’inno di Garibaldi.

- L'inno di Garibaldi in luogo sacro... - entrò a dire ilconte simulando un santissimo orrore per un cosí grosso sacrilegio. - Che nedicedon Iginio?

- Ecco... - provò a dire il pretinofacendosi rosso per losforzo - poiché Sua Eminenza il nostro vescovo ha proibito ai parroci...

- Che cosa ha proibito? - gridò il maestroche in questabenedetta questione degli inni patriottici s'era piú volte asciugata la gola. -Con qual diritto può proibire un vescovo la manifestazione d'un sentimentopatriottico?

- Fin che durerà questo dissidio... - s'arrischiòd'aggiungere il pretinosostenuto dalla coscienza del suo dovere.

- Ma mi faccia il piaceredon Iginio! - strepitò ilmaestrocon gusto infinito del conte che si divertiva ad aizzarli l'un control'altro parendogli di assistere all'epilogo dell'antica lotta delle Investiture.- Se lei avesse visto il fuoco come l'abbiam visto noi a San MartinoaPalestroa Custozasaprebbe che certi sentimenti non si smorzano nemmeno conl'acqua santa...

- Questa è buonaGiovannino!. - approvò il contepicchiando sulla tavola il calice del suo vin bianco dolce; estrizzando gliocchietti verso Giacomostava per citare un verso di Orazio quandosul caldofrastuono della discussione dei piatti e delle posaterisonò un grido acuto espaventatoche parve un grido di donnaa cui tenne dietro un forte sbattere diusci e un correre confuso di gente.

- Che cosa c'è? misericordia! correte a vedere. Chi si èfatto male? - confusamente esclamarono i convitati.

- Sapete che questi spaventi mi fan malebenedetto Iddio...- balbettò il conteche rimase lí colla forchetta in aria e col bocconeinfilzato.

La contessa era subito scomparsama rientrava poco dopo conFabrizio a dire che non c'era nulla di grave. La donna di guardaroba era cadutasulla scala con una catinella in manoma tutto era finito con molto spaventoecol danno della stoviglia.

- Meno malemasanto Iddiostate attenti a non procurarmidi questi spaventiche guastano la digestione. Sapete che son mezzo malato e ilcuore mi salta per niente. Par sempre la casa del diavolo. Un po' di riguardoper bacco! Mi versi un altro dito di vinomaestro. Bevete tuttifatemicoraggio.

Tutti bevetteroper obbedienzaalla salute del signor contee alla felicità di donna Enrichetta.

Donna Cristinachedurante il pranzoera statacontinuamente col cuore sollevatoal primo grido di quella disgraziata erascattata in piediin preda a una violenza nervosaera corsa di fuorie giunseappena in tempo ad arrestare sul pianerottolo Celestinache mezzo svestitacoicapelli in disordine sciolti sulle spallecolla faccia stravoltasi dibattevanelle braccia di miss Haynes.

La contessacol tono severo e autorevole che sapeva prenderequando il caso richiedeval'afferrò per un bracciola trasse con sé per ilcorridoio buio della foresteriala chiuse nella sua stanzettadove Celestinas'inginocchiò:

- Nocontessami perdoni- pregava - sarò buona. Mipareva che volesse pigliarmi.

- Chi? chi ti perseguita?

- Il diavolo.

- Tu non mi vuoi piú bene.

- Le voglio benesignora. Lei è la mia mamma. Ma c'èproprio un diavolo che mi tormenta.

- Sei malatacapisci? Senti come abbrucia questa poveratesta. Torna a letto. Non sai che ci farai morirese non obbedisci?

- Giacomo è qui. Lasci che gli dica tutto.

- Tu non gli dirai nullaperché io non lo permetterò.Guarda che so essere anche cattiva. Ti farò chiudere in una stanza... Vieniinvochiamo insieme la Madonna dei dolori...

Celestinapassata la crisidette in un pianto dirottosilasciò collocare sul letto e promise di essere savia e obbediente. La contessachiuse l'uscio a chiave e lasciò miss Haynes in sentinella. Tutto questoaccadde nel minor tempo che occorre per raccontarloin una specie di furiosascaramucciaa cui le due infelici creature andavano da qualche tempoabituandosi. La contessanon solo si meravigliava di saper vincere e domare lasua vittimama una meraviglia piú alta sorgeva nell'animo suo alla prova dellasua forzache mai avrebbe immaginato di possederne tanta; una forza morale enervosache sapeva ardire e nascondersicheoltre a insegnarle le astuzie delvincere e del resisterele manteneva sul viso quasi una maschera sorridente. Enon eravamo che alle prime scaramuccie d'una tremenda battaglia! Sarebbe bastataquesta forza il giorno che avesse dovuto affrontare il grosso del nemico? nonvedeva né il quandoné il dove questa battaglia si sarebbe combattuta; masesi raccoglieva un istantele pareva di sentire non molto lontano un muggitod'una moltitudine di mali selvagginon mai immaginatidavanti ai quali ilmorireil morir subitole compariva una liberazione.

 

 

XI

 

ANCHE I BUONI SONO FURBI

 

In una letterascritta verso gli ultimi di settembreGiacomo mi discorreva ancora delle sue idee e delle sue speranze per l'avvenire:

«Non ho osato respingere il beneficioche mi offrironoquesti miei vecchi benefattori - scriveva - e non me ne pento. Intanto chiprocura all'amico l'occasione di essere utile gli procura uno dei piú delicatipiacerie io sento che il saper ben accogliere un beneficio è un riconoscerenel miglior modo che la bontà esiste nel mondo. Malasciando questesottigliezze che farebbero riderese le dicessil'oste della Fraschettaècerto che io ho potuto ottenere una moratoria (dico giusto)placare i creditoripiú ferocidestar della fiducia in questo signore della Rivaltache si èofferto di mettere un puntello sotto il tetto di questa povera casa crollante.Il povero pà dormirà meno male sotto la terra. Sento che questa è la stradadel dovere e procuro di batterla senza discussioni. La necessità ha questo dibuonoche non lascia tempo alle esitanze: o correre o cadere. Questo signorMangano della Rivalta di cui ti parloe che io considero come la causaprincipale della nostra rovinaè venuto a trovarmi con un viso umile ecompuntos'è sprofondato in inchini e in giustificazionisforzandosi didimostrarmi che non aveva nessuna colpa nel disastroche a mio padre voleva ungran beneche di me ha una stima immensache soltanto le tristi circostanzehanno potuto congiurare contro un galantuomo; eper provarmi che la sua non èun'amicizia di sole parolemi offrí di ritirare lui tutti i crediti che glialtri possano vantare verso di noie di unire le sue forze alle nostre percontinuare nell'azienda delle Fornacichea parer suopotrebbero avere ungrande avvenirequando si rinnovassero i metodi di produzione e ci fosse unabuona testa direttiva.

«Che l'ex-impresario abbia a cercare anche questa volta ilsuo vantaggioè chiaro come il sole; manel suo vantaggionon si può negareche non vi sia un utile e una sicurezza anche per noi. I miei fratellise vaquest'accordometterebbero le bracciae l'ometto della Rivalta il grandeingegno che Dio gli ha dato per far quattrini. La casa resterebbe cosíassicurata a queste povere donnechealla sola idea di andar raminghe per ilmondo (e dove si andrebbe?)si lascierebbero morire di spavento. Questo signorMangano trova che io non manco d'un certo bernoccolo per gli affarie da unasettimana in qua mi ronza intornoperché persuada la contessa a cedergli uncerto campo e una cascinadetta la Colomberain corrispondenza di alcunecambialette di don Giacinto cadute nelle sue mani. È un tasto doloroso chedovrò toccare alla contessa: ma non è la prima e non sarà l'ultima volta. Edeccoticaro trapeziocome un filosofo idealistaquasi trascendentalepuòtrasformarsisenza ch'egli se ne accorgain un mediatore di affari e in unfabbricatore di tegole. Ovidio non ha prevista questa metamorfosi». E finiva lalettera con questa notizia: «Celestina è stata poco bene in questi giorni conuna piccola minaccia di tifoche pare scongiurata. Essa ha trovato nellacontessa una madre amorosache me la farà guarire».

 

Giacomo era tanto lontano dall'immaginare il terribiledisastro della sua vita e dal supporre nella gente oscure intenzioni che nonesitò a trattare direttamente per incarico della contessa questa faccenduoladelle cambiali di don Giacintorecandosi egli stesso una bella mattina diottobre a far visita al signorotto della Rivalta.

L'edificioche portava il nome di Rivaltaavrebbe quasipotuto aspirare all'onore di palazzose non fosse stato il deplorevoleabbandonoin cui da cinquant'anni in qua lo avevano lasciato i molti e cattivipadroniche se l'erano barattato. Di fuori conservava ancora le traccie e lafisionomia dello stile pesante del seicento per il suo portone a grossi dadi dipietrasovraccaricato da un enorme mascherotto di sassoe per due vecchiecolonnette mal sagomate messe davantiche reggevano ancora qualche rugginosopezzo di catena; ma l'erba cresceva tra i ciottoli del grossolano selciatospuntava dalle screpolature delle sconnesse cornicile gelosie si sgretolavanonei loro vecchi telaidopo aver lasciata l'ultima vernice come una allumacaturalungo le pareti delle muragliee le macchie s'incontravanoscendendocoll'umidità che saliva dalla cortecome sparse ombre di desolati fantasmi. Ilcaseggiato signoriledopo aver servito per alcuni anni ad uso di filatoioeracadutoin conseguenza d'un fallimentonelle mani rapaci di questo signorIgnazioun ex-impresario teatraleintraprenditore di affari indecisisovventore riconosciuto di denaro al prossimoche tra le molte trappole avevapiantata qui la famosa sega a vapore. La sega non lavorava piú per mancanzadiremo cosídi combustibile; ma il sottile affarista lavorava sempre anche albuiostendendo i suoi fili invisibili per un circuito di venti o trenta migliaa tutti gl'ingenuia tutti i discolia tutti gli allucinatia tutti icredenti e miscredenti della fortuna.

Mauro Lanzavecchia era stato uno degli ingenui. Siccomequesto signor Ignazioricco ormai del suoera oggi molto meno bisognoso di faraffariaveva sugli altri suoi pari il vantaggio di poter aspettare le buoneoccasionile quali non si maritano che agli uomini pazienti. E ciò spiega comemolti buoni figliuoli di famiglie oneste lo preferissero agli altri esosispeculatori di mestiereche non mirano che a guadagnar presto. Don Giacintol'avevaper esempiosempre trovato un uomo ragionevolee in certe occasioniquasi generoso. La stessa educazione dell'uomoche aveva molto viaggiato etrattata la compagnia variopinta degli artistioltre a dargli il tratto civilee correttonon gli permetteva di mostrarsi sordidamente avido e taccagnocomesi mostrano gli strozzini di seconda qualità. Dacché cominciava a invecchiaree a schiudere la mentecome soleva direai casti pensieri della tombail suoprimo pensiero non era tanto di far quattrino da quattrinoquanto di collocareonestamente la sua Norma a una persona onestache facesse onore al suo denaro.Un galantuomo è anche lui un buon capitale nel mondoquando sia ben impiegato;e nessuno sa meglio apprezzare la rendita che fruttano le modeste virtú di unuomo onestoquanto colui che si è trovato qualche volta nelle condizioni dinon poter esserlo. Questo pensiero non era estraneo al desiderioche lospingeva ad accostarsi al giovine Lanzavecchiaa mostrarglisi ragionevoledociletransigentemigliore della sua famadisposto ad accogliere una buonapropostaa rendere un buon servizioa ripararese pareva necessarioun tortoo una ingiustiziaa rimetterci del suopiuttosto che passare agli occhi delsor Giacomo come un aguzzino bramoso del sangue altrui. E in questo suodesiderio era tanto piú lodevole in quanto chea sentirloavrebbe potutomaritare la sua Norma a fior di banchieri ricchi sfondati ese avesse volutofarne una contessa o una marchesa. Duecento mila lire pronte e il resto a babbomortocol tempo che fapossono indorare le vecchie coronechesenza losplendore del metallonessuno le vuole piú nemmeno per insegna d'osteria.Invecese Giacomo Lanzavecchia si fosse fatto avanti col fallimento in una manoe il suo diploma nell'altral'amoroso padre l'avrebbe preferito a un principenon una voltama quante volte il caratterel'intelligenzail sapereil nomesuperano i titoli oziosi.

Giacomo andò alla Rivalta col denaro e coll'autorizzazionedi ritirare le cambialiche don Giacinto aveva rilasciate a favore di alcunisuoi compagni di studio. Dal piazzaletto della vecchia villa si dominava un grantratto della valle e del corso dell'Adda. Il Ronchetto col suo fastoso palazzobiancheggiava nel verde folto del giardino; piú sotto era il Santuario; e piúin basso ancora le Fornacicon due vecchi camini lunghi e affumicaticollavecchia casa dal tetto bistortodai pioventi cascanti anneriti dal tempocoiriquadri dei mattoni rossiche spiccavano sugli spazi giallognoli esposti alsole dove gli operai lavorano a modellare la terra nelle formeall'ombra di ungraticcio di foglie secche. Dall'alto si poteva scorgere anche un tratto delmuricciuoloche chiude il camposanto.

Giacomo si soffermò un istante a riassumerecon un'occhiatapensosala storia della sua povera casae provò un senso quasi d'orgogliodavanti alla riflessione che la filosofiausata benepuò servire a qualchecosa. Se i creditori non erano piombati come uno stormo di avvoltoi sulla suacasase i suoi fratelli avevano lavoro e sua madre un letto e un boccone dipaneil merito stavolta era stato dei mangialibri. La stima lungamentecoltivata aveva fruttato il credito; e il credito aveva disarmata l'avarizia.«Anche i buoni son furbi» - finí col conchiudere in cuor suomentrecoll'occhio andava a cercare tra le sessanta finestre di casa Magnenzio unacerta finestra verso ponentea cui soleva mandare le sue giaculatorie. Era lastanza di Celestina. La trovòl'ultima sopra le serrevi si fermò unistanteericordando che «Frulin» era malataun senso di oscura tristezzapassò come una nuvola nell'animo suo. Un grande abbaiamento di cani lo feceuscire dai suoi pensieri. Si mosse e andò a battere al portone chiuso.

Al rimbomboche rispose di dentrosi raddoppiò lo sguaiatoabbaiamentoin mezzo a cui risonò la voce poco armoniosa d'una donnachesgridava le bestieinviandole all'inferno.

Il catenaccio interno cigolò un pezzo negli anellisi apríuno sportelloe comparve la figura poco pulita d'una vecchia servachecollemaniche rimboccate fin sopra ai gomitidava maledizioni con un padellino aquattro o cinque botoli grassiringhiosi che si avanzavano.

- È leisor Giacomo? venga avanti.

- C'è il signor Ignazio? - domandò Giacomo alla donnanella quale riconobbe una certa Serafinache aveva servito molto tempo inpalazzo. Si voleva che l'avessero mandata via per poca fedeltà. Sui passi delladonnaattraversò una corte d'apparenza signorilema forse d'aria ancor piùumida e tetra che non fosse di fuori.

- Sora Norma - chiamò la serva.

Una bella voce di contralto rispose con un gorgheggio:

- Chi mi chiama?

Ed ecco subito dopo comparire sull'uscio della sala unaflorida ragazzadal portamento soldatescocoi capelli scomposti sopra ungiubboncello rosso fiammante ornato di alamari d'oro come una divisa unghereseche si teneva in braccio una cagnolina appena natacolla tenerezza con cui siporterebbe una bimba a battezzare. Gli occhi grandi e neri come quelli dellefamose odalische ebbero un lampo di gioia. Tirandosi accosto l'usciosenzaperò nascondere la bella e arruffata testa di zingarala signorina Norma siscusò di non essere presentabilee pregò il signor Lanzavecchia di passarenello studio di papà.

Il signor Ignaziocon indosso una vestaglia da camera afiorami rossi su fondo giallocon un berretto da cavallerizzo in una manostese l'altra mano al caro visitatoresi sprofondò in cerimonieche avevanoun non so che di frettoloso e di agitatoechiesto perdono per il grandisordinefece sedere Giacomo in uno stanzino pieno di vecchi mobilidiquadridi suppellettili prezioseche gli davano l'aspetto d'una bottega dirigattiere.

L'ex-impresariomagrosecconervosocol viso volpino dicerti uomini d'affarisi mostrò d'una cortesia infinitaprofondendosi incomplimentiche il suo accento triestino rendeva ancora piú morbidi. QuandoGiacomo fece l'atto di levare il portafogli di tascanon volle assolutamentené riceverené vedere il denaro:

- Dica alla signora contessa che non intendo far speculazionisulla inesperienza di un giovinotto allegro. Don Giacinto ha firmato per glialtried è giusto che gli usi qualche riguardo; io sono pronto a rinnovarequesti piccoli effettiche possono valere molto meno di quel che dicono. Speroinvece che la signora contessa vorrà accontentare quel mio modesto desiderioche lei sacaro signor Giacomoe vorrà cedermi quel pezzo di campo dellaColombera a cui faccio la corte da un pezzo. Questa Rivalta è un cimiterocomevedee il mio sogno è di finire i miei giorni al sole. Lei deve assolutamenteaiutarmi in questa faccenda.

- Casa Magnenzio non usa a vendere e non so come potròpersuadere la contessa...

- Lei può moltooralo sappiamo; e sappiamo anche che puòchiedere quel che vuole a quei signori.

- Sono un magro mediatore - tornò a dire il buon uomo.

- Lei è piú filosofo di tuttimi lasci diree noidobbiamo fare della strada insieme. Ora le presenterò mia figlia... - Edirizzandosi coi suo passetto scivolante verso l'usciochiamò due o tre volte:- Normavieni un po’ qua. - E poi gridò verso la cucina: - Porta il caffèSerafina... - E poiché Norma si faceva alquanto aspettareegli tornò asedersi davanti al giovinepose confidenzialmente le mani ossute e lunghe suiginocchi di luiedopo aver battuto tre o quattro colpetti confidenzialipassò la mano sul filo di due baffetti sottilitinti e tirati aguzzi comepunteruoli: - Che piacere che provocaro professoredi stringere con lei unpo' d'amicizia. Io non sono né un letteratoné un protettore di letteratimaso giudicare gli uomini e li peso per il loro valore. Lei è un uomoche andràmolto avantie per la strada maestra. Noi poveri affaristiche siamo costrettia rimestare negli straccinon sempre le mani vanno dove si vorrebbe. La scienzainvece è una cosa astratta e pulita; non soloma la scienza oggi è la sola egenuina aristocrazia possibile di fronte a questi contini e marchesiniche nonvalgono piú della porcellana rotta. Il mondooggiè di chi pensa e di chilavora. VieniNorma - dissealzandosi di nuovoandando incontro alla figliache entrava col vassoio del caffè. - Conosci il professor Lanzavecchia? è unfilosofoche è stato anche garibaldino. La penna e la spadaecco uno stemmache mi piace.

Giacomo si alzòs'inchinò alla signorinache nelfrattempo aveva dato un colpo di pettine alla chioma selvaggiae accettò ilcaffèch'essa gli versò lentamente da un cuccumino tignosostando in piedicome un gendarme davanti a luicarezzandolo cogli occhi neri e morbidi come ilvellutofino al punto di costringere il bravo giovinotto ad abbassare i suoisul piattello.

- Questo è il mio gioiellodirò anch'io come la madre deiGracchi - esclamò l'orgoglioso padrestringendo con affettuosa dimestichezzanelle dita la gota rubiconda della ragazza - esiccome non ho che lei al mondoposso dire che questa è la mia vita. Essa è nata in America da madre spagnuola.Non è forse un bel pezzo d'andalusa? Avrebbe voluto studiare il canto anche leicome sua madreche è mortapoverinadi febbre gialla: ma ioche conosco ilmestieraccioglielo proibisco. Quando si hanno duecentomila lire di dotesipuò fare qualche cosa di meglio che non andare a scopare i palcoscenici collegonnelle.

- Sposerò un principe russo - uscí a dire la bella creaturacon tono lieto e scioccherello.

- Che principe d'Egitto! sposerai l'uomo che ti piaceràemi darai dei nipotiniai quali voglio lasciare qualche cosaperché tuo padrenon ha ancora eseguiti tutti i pezzi del suo programma.

Si parlò di molte altre cose alla venturafin che Giacomosentendosi avviluppato in quell'aria come da invisibili ragnatelecon un attod'energiache sapeva trovare nei momenti decisivialzandosi repentinamentetagliò corto col dire:

- Bisogna che io veda subito il ragioniere Riboni e lo mandiqui a definire la faccenda di queste cambiali. La signora contessa desidera cheil conte non ne sappia nulla...

- So rispettare tutte le delicatezze - disse il padrone dicasa con un fare umile umile. - Io spero che il signor Giacomo vorrà favorirmiqualche altra volta. Abbiamo di là una piccola raccolta di monete antichecheforse potranno interessarla. Norma sa distinguere benissimo un Nerone da unDiocleziano. Sento dire che anche il conte Magnenzio è un mezzo antiquario. Loincoraggie me lo conduca qualche volta. Troverà prezzidirò cosídifallimento. Normaaccompagna il signor professore...

E dopo avere stretta la mano di Giacomo nelle sue discheletro viventes'inchinò per l'ultima voltachiuse l'usciolasciando chela ragazza accompagnasse il giovane a vedere la raccolta delle medaglie antiche.Ma Giacomoche possedeva la sua psicologia e sapeva servirsenemostrò diavere una grande premurapromise che sarebbe tornato con piú comodo erinnovati i suoi rispetti alla signorinasi avviò verso il portone seguito daibotoliche mostrarono colle loro giravolte e con certi mugolii di tenerezza disaper anch'essi apprezzare la filosofia.

Quando Giacomo fu di fuoricorse a un tratto per la bellastrada al solecolla contentezza del topolino che fugge da una trappola troppogrande per il suo piccolo corpo. Che il signor Ignazio volesse bene a sua figliae lavorasse per accrescerle la doteche Normala figlia della spagnuolaavesse due magnifici occhi e un fare procace di baiaderaeran cose naturaliche stavan bene al loro posto; il punto difficile cominciava nel voler trovarequel tal uomo rispettabileche servisse di errata corrige alle cattivespeculazioni del suocero e cheinsieme a una bella ragazza spettinatasirassegnasse a sposare una ricchezza racimolata nei due emisferi a furia dibaratti e di usura. Sollevando lo sguardo alla finestra della sua Celestinal'ultima sopra le serreche splendeva nella luce del solegli parve diguardare in un angolo del paradiso.

 

XII

 

 

LE DUE DAME DI BUTTINIGO

 

Da Caserta intanto seguitavano ad arrivare lettere afflitte ecommoventi di Giacinto a mammànelle quali il giovane non cessava dalconfessarsi colpevolepentitospaventatoinorridito della sua cattiva azionein ansia continuain preda ai piú acerbi rimorsi; egli sperava sempre che labuona mammà avrebbe saputo trovare qualche onesta riparazioneche lo salvassedal rendere i conti e da uno scandalo. Se mammà lo trovava questo rimedioegliprometteva di metter giudizio davverodi non toccar piú una cartadi nonveder piú un bicchieredi lasciare le cattive compagniedi abbandonare anchela carriera militarese era necessarioper darsi tutto a una vita diraccoglimento e di studio. E finí col suggerire il nome delle buone zie diButtinigoche piú di tutti dovevano sentir compassione di luie che avrebberosaputo procurargli i mezzi di spegnere il fuocoprima che appiccasse l'incendioalla casa.

Le buone risposte si facevano invece molto aspettare. Lacontessa esitava a mettere altre persone a parte di un segretoche già siconosceva da troppi. Oltre a miss Haynes e a Fabriziodei quali non avrebbepotuto far senzaessa aveva già dovuto parlarne a Fulvia di Breno e lasciareche questa ne parlasse a suo marito. Per un segretoche essa avrebbe volutoseppellire cento braccia sotto la terraeran già troppo quattro personecondannate a tacere. Dal parlarne alle pie cognate di Buttinigo la trattenevaoltre al naturale sentimento di confusione e di rispettoun piú amarorisentimento verso sé stessasto per direun senso di orgoglio e di dispettoquasi sdegnasse della sua sventuranon solo il rimproveroma la stessacompassione di quelle illustri ragazzone. Donna Adelasia e donna Gesuminacheavevano sempre biasimato il sistema rigido e autoritario con cui la loro nobilecognata credeva di ben educare un discendente di casa Magnenzionon avrebberosaputonon dico rallegrarsiche proprio non era del casoma trattenersi dalvantarsi d'aver avuto ragione. Il risultato parlava chiaro. Il latinoil grecoil tedescol'inglesela storia e la geografia e tutta la quintessenza delsapere voluta introdurre per forza in un corpo vivocome si schiacciano ivolumi in uno scaffale strettonon avevano impedito che Giacinto scivolassesulla prima buccia di cocomero. Per una madreche si teneva in continuecorrispondenze pedagogiche col canonico Ostinellida una partee col signorLanzavecchiadall'altrae che consultava perfin dei libri inglesiviailrisultato non poteva essere piú desolante. Donna Cristinapiú di ogni cosa almondotemeva le grandi ragioni delle anime piccine; e nella sua superioritàmorale le temeva senza aver la forza di disprezzarle. Avrebbe potuto alla suavolta rimproverare le pie dame di aver voluto con arti e seduzioni segretetogliere autorità e rispetto all'opera educativa della madre; ma che le giovavaormai il discutere sopra le ragioni e sopra le responsabilità? il castigoc'erae grande e terribile per tutti.

Quando Giacinto seppe che donna Fulvia di Breno erainteressata a fargli del benele scrisse una lunga lettera piena di suppliche edi tenerezze. L'antica amiciziache legava donna Fulvia a mammàavevaabituato il giovine conte a considerare la di Breno come una persona dellafamigliaalla quale si possono fare le confidenzeche a una madre e a unasorella non si fanno: la chiamavaper vezzola ziettae si voleva che avesseavuto per lei una poetica scalmana negli anni della prima fioritura giovanilequando gli occhi del ragazzo cercano nella donna un'esperienza matura e nonbarcollante.

«Dica a mammà» le scriveva «che è interesse suo einteresse di tutto il casato di non dare a questo fattofin troppo naturaleun'importanza maggiore di quella che ha. Dal momento che non posso sposarlaunacamerieratanto fa che mi risparmi le noie d'un processo e dei possibiliricatti. Se non bastano quattrodia ottodia diecipaghi fin dove ènecessarioe mi salvi dalle scomuniche dello zio monsignorepel quale io nonsono già in troppo odore di santità. Se tarda troppoci sarà chi avrà tuttol'interesse a speculare su questo momento d'oblioe ne uscirà uno chiarivarida teatro diurno. C'è a Bergamo un giornalucolo radico-massonico tre voltefallitoche mi darebbe volentieri in pasto alle belve per rifarsi d'una certadisdettache gli ho inflitta l'anno scorsoquando ci fui di guarnigione unmese. Si figuri con che gusto questi va-nu-pieds piglian le occasioni perfar guerra al nobilume e al clericalume! Quindi piú presto si tagliapiúpresto si provvede anche alla gloria di Dio. Dica e ripeta a mammà chese mitirano in una seccaturase mi obbliganoputa casocome dice il canonicoOstinellia lasciare il serviziovado in Africa e non mi lascio piú vederecome un esploratore qualunque».

Donna Fulvia rispondevasempre in nome di mammàche loscoglio pericoloso era la paura di un certo cuginoche vantava dei dirittisulla ragazza. E Giacintodi rimando:

«Credo di ricordarmi questo cuginoese la memoria nonm'ingannanon mi pare uomo da amare gli scandali. Non so fin dove si possaarrivare con luiperché da un pezzo l'ho perduto di vista; mase il signorLanzavecchia è ancora quel buon figliuolo che mangiava i miei pasticci ai tempidella nonnanon può essere né un mangiapretiné un fanatico divoratore diaristocratici. Non ha egli studiato coi frutti d'un nostro beneficioecclesiastico? non ha rosicchiato per molti anni il nostro pane? Se è vero chevuol bene alla ragazza che gusto deve avere di metterla in piazza? dica di mequel che mi merito; non sarei lontano dall'offrirgli delle scuse e anche dellesoddisfazioni; si badi soltanto a non fare di lui un terribile alleato deinostri nemici. Insommalevatemi da queste angustieche mi fanno patire le penedell'inferno. In certi momenti mi prende una tale disperazione e un tale orroredi me chese non fosse la fede del soprannaturalemi farei saltare le cervellacon un colpo di pistola».

Eran queste frasaccieche non lasciavano dormire mammà. NeiSan Zeno non era sconosciuta questa tendenza a esaltarsi e a ricorrere a rimedidisperati. Essa per la prima si risentiva di questa disposizione di razza incerti momentiin cui le pareva che il sangue le facesse scoppiare la testacheil cuore le saltasse fuori dal pettoche la terra le mancasse sotto ai piediche cento fantasmi la inseguissero. La sua stessa incapacità a scegliere unpiano di battaglia era forse un'altra prova di un temperamento che si lasciavaeccitare troppo presto e si logorava in dolorose incertezze. Ogni rumore eradiventato per lei una cagione di sgomentotalché bastava che vedesse spuntaredal viale il Camillo della posta colla sacca delle lettereper provare un tuffodel sangueun angustioso rammollimento del suo povero cuore.

Finalmente una mattina (verso la metà di ottobre)parendoleche ogni risoluzione fosse migliore di quell'atroce agoniaordinò la carrozzae andò a trovare le due sante di Buttinigo.

Era una giornata piovigginosa con sparso nell'aria un primobrivido invernale.

Infossata nell'angolo della carrozzacogli occhi fissi alfinestrinopassò in mezzo alle casedavanti alle siepilungo i filari deigelsiall'orlo delle vaste e brune campagne già umide di guazzasenza vedernullatranne il suo dolorechecome spina velenosatrafiggeva la sua vita.

Dopo quasi un'ora e mezzo di viaggio per le strademalinconiche e fangoseche correvano verso la pianurala carrozza voltò nellungo viale di robinieche mena alla villa delle due contesse.

Queste abitavano nell'antichissima casache le aveva vistenascere e che probabilmentese Dio teneva conto dei loro meritile avrebbeviste morire. In quel loro palazzone senza architetturadai muri livididallecento persiane chiusecolor brodopassavano le loro giornate d'estate ed'inverno in una beata agiatezzarallegrando la vita con modeste opere dibeneficenzacoi pettegolezzi del villaggio e delle anticamerecol tarocco ecolle tazze di camomilla.

Vestivano sempre in modo eguale come due moschecon anticaeleganza e con quel decoro che non escludeva i pizzigli anelliibraccialettienelle giornate caldeperfino un po' di trasparenzachelasciava vedere la carnagione bianca e ben conservata delle loro braccia e dellespalle rotondette. Per diritto di patronato esercitavano una tal qualesupremazia sulle quattro monache dette della Noceche un Magnenzio dei secoloXVII aveva dotate coll'obbligo di soccorrere dieci orfanelle. Queste piereligiosechedopo il Signore e la Madonna e i Santiveneravano donnaAdelasia e donna Gesumina quasi come il Papasentivano l'obbligo di coscienzadi tenerle regolarmente informatenon solo di tutte le indulgenze che vannoattaccate alle vigilieai tridui e alle novenema anche del bene e del maleche si diceva di tutti i preti per un circuito di dieci miglia all’intorno. L’arcasantacioè il carrozzone foderato di stoffa color castagna colle frangiebianchedondolante sulle ampie mollecoi passamani guarniti di fiocchicoiterribili draghi azzuffantisi sulle portiereusciva ab ímmemorabili duevolte per settimanatempo permettendoogni martedí e ogni sabatoaffidatoalla prudenza di Rebecchinoinvecchiato anche lui come una castagna secca nellalivreache gli faceva un guscio troppo largo. Al martedí uscivano dalla partedel boscofacevano una piccola sosta alla Madonninadove scendevano a salutareMaria Santissimacomperavano dodici biscotti freschi alla bottega del Caminadae col trotto sempre uguale dei due pesanti cavalli ritornavano a casa dallaparte del molino. Al sabato la carrozza usciva dalla parte del molino e allora ibiscotti li comperavano prima di salutare Maria Santissima.

Donna Gesuminanella sua vecchia innocenza molto benconservatariconosceva volentieri nella sorella maggioreche era statafidanzata tre mesi al povero marchese Caccianinol'autorità d'interloquire inmolte cose delicateche sfuggono all'inesperienza d'una zitella; e per partesuadonna Adelasiamentre si sentiva lusingata da questa affezione rispettosae sottomessaparlando della vecchia ragazzausava un tono di dolcecompatimentocome si fa coi bimbi che hanno bisogno di protezione. Quantunquefacessero la vita in comunesi alzassero alla stessa orabevessero emangiassero insieme nello stesso salotto e discutessero insieme col Rebecchinosu quel che si aveva a preparare in occasione degli inviti straordinaripureera tale la deferenza di donna Gesumina per donna Adelasia chesenzaaccorgersivedevapensava e parlava colla volontà della sorella; fin al puntochese questa sentivasi la bocca amara o una trafitta in una gambaparevaanche a lei d'aver la bocca amara e la gamba indolenzita. Questa fusione di dueanime e di due corpiconsolidata da cinquant'anni di vita comuneera diventatacosí intima e omogenea che le due vite non facevano piú che un metallo soloil qualetoccatodava un suono soloperché le vibrazioni dell'una nonpotevano essere che le vibrazioni dell'altra. Non era possibileper esempioche una cioccolata avesse fatto peso all'una e non all'altra; o che l'unasentisse il bisogno di prendere due dita di magnesia calcinatasenza che questobisogno non ci fosse anche dall'altra parte. Se non oggiavrebbe fatto benedomani.

Le due signore stavano nel gran salone a pian terreno versola corteche serve di galleria ai ritratti degli illustri antenatidovepassavano gran parte delle loro tranquille giornate. Donna Gesuminaper romperela tetraggine del temporipeteva sul pianoforte le vecchie variazioni sul«Carnevale di Venezia»ch'era stato il suo piccolo trionfo all'Accademiafinale nel Collegio delle dame inglesila bellezza di quarant'anni fa; quandodonna Adelasia che ricamava a un telaio presso la vetriatasorseimprovvisamente a dire:

- Guarda un po'Gesuminachi arriva con questo tempo.

La carrozza di donna Cristina entrava in quel momento nelcortile sotto una pioggia fitta.

Le due dameche non aspettavano anima viva in un giorno comequelloquando ebbero riconosciuto nella signora eleganteche discendevalabella figura della loro cognatamandarono una esclamazione sola:

- Che cosa può essere accaduto?

E ancora piú si sgomentarono quandodal passo incertodalpalloredall'affanno con cui la contessa entrò in salacapirono che qualchecosa di grosso era nell'aria.

- Donna Cristinacon questo tempo? non è mica successa unadisgrazia...

Donna Adelasia invitò la parente a prendere postonell'angolo a destradove essa soleva ricevere il lunedí e il mercoledí.Donna Gesumina riceveva ogni giovedí nell'angolo a sinistra. Le piccoledifferenze d'opinione e di metodo potevano far nascere delle diffidenzemascomparivano nel gran rispetto che le due dame avevano per la virtú di donnaCristina di San Zenonipote d'un vescovouna delle piú specchiate signoredella buona nobiltà; e quand'anche maggiori e piú crude fossero state le lorodiffidenzesarebbero scomparse allo stesso modo nel cerimoniale largo eospitalecon cui le vecchie dame continuavano le tradizioni della casa con quelbel decoro che va cedendo il postopur troppoa un borghesismo senzaelevatezza e quasi senza dignità.

Le tre signoredopo aver ben osservato che le porte fosserochiuserimasero una mezz'ora in vivo e segreto colloquio. Quando la contessaebbe esposto il casoche l'aveva condotta a Buttinigocon quella delicatezzadi parole che il rispetto a sé stessa e alla religione delle parenti esigevatornò a piangere cosí amaramente da far temere una crisi di nervi. DonnaAdelasia afferrò subito la gravità della disgrazia e sospirò una breveorazione; edopo aver congiunte le mani due o tre volte in atto di scongiurovedendo che la contessa era in procinto di perdere le forzesi mosselevòcolle mani tremanti da uno stipo intarsiato la boccetta dell'acqua di cedroneriempí tre bicchierini di cristalloe insistette perché ne bevesse anche laGesumina.

- O Madonna beatae ci sarebbe forse già il carro davantiai buoi? - chiese la maggiore delle due sorelle.

Donna Gesuminache nella sua semplicità di spirito nonpoteva entrare in tutta la gravità di questi buoi e di questo carrovolendocon una frase interrompere quel pianto nervosoche le straziava il cuoreprovò a dire:

- Non si potrebbe intanto far fare una bella novena allaMadonna?

- Tacitaci - rimproverò con fare tra il burbero e ilcompassionevole la sorella maggioreaccompagnando le parole con un gesto chepareva dire:

- Ci vuol altro che novene adesso!

Gesumina capí che non era il suo postoe si ritirò indisparte per permettere alle due dame di parlar piú liberamente.

- Se Giacinto fosse un servitore - riprese donna Adelasiainterpretando il lungo silenzio della contessa come una confessione - se fosseil figlio d'un fattoreo che so io? un esercenteun professionistail suodovereanche davanti alla nostra santa religionesarebbe di sposare laragazzacoûte qui coûte.-. Chi è causa del suo mal pianga sé stessohadetto Metastasio; ma nella sua condizione sociale il caso è piú difficile: unconte non può mica sposare una cameriera.

- SicuroMadonna benedetta! - fece dal suo cantuccio donnaGesuminache cominciava a capire qualche cosa.

- Noi abbiamo dei doveri non solo verso i vivima ancheverso i morti e verso quelli che verranno. Per la colpa d'un povero ragazzochesarà stato tirato nelle tentazioninon si possono sacrificare le tradizioni eil decoro di due antichissime famiglie. Non si scherza! Che cosa dirà monsignorvescovo e nostra cugina monaca...?

- Che ora voglion nominare superiora! - completò Gesuminache pareva un'anima smarrita nello spazio vuoto del salone.

- Ci sono doveri e doverinon è verodonna Cristina? -insinuò donna Adelasia.

- Ho io mancato al dovere di madre? - uscí a dire conappassionata tristezza la contessaa cui la parola dovere risvegliò quasinell'animo un acerbo risentimento. - Fu appunto per educare mio figlio asentimenti elevati di virtú e di dignità che ho combattuto tutta la vita. Lanobiltà ha i suoi doverisídonna Adelasia; ma nessun dovere si compie benese manca la forza morale e l'educazione della mente. Se qualche volta ho potutosembrare rigorosa verso questo disgraziatoera per tentare di sottrarlo contutte le mie forze alla decadenza fatale che ci perseguita e al contagio deglioziosi suoi pari. Sono stata troppo superba e Dio mi ha castigata.

Il tono dolorosonon privo di dignitàcol quale donnaCristina pronunciò queste parolesgomentò non poco le due vecchie zitellecheincapaci di entrare colle loro piccole cuffie in un concetto superioresiaffrettarono a chiedere mille perdonidimostrando che ci doveva essere statoqualche malinteso nelle parole.

- Io non ho dettocara contessache qualcuno abbia mancatoal suo dovere. Parlavo dei doveri del nostro ceto...

- Che cosa si può fare per salvare Giacinto? - chiese lamadrestendendo la mano in segno di pace a donna Adelasia.

I progetti messi innanzi e discussi furono molti. Primad'ogni cosabisognava fare in modo che il conte non ne sapesse nullaperchénelle condizioni precarie della sua salutesarebbe stato come un dargli unapugnalata. Non meno necessario era di tener celato il disonore della casa amonsignor vescovo e a tutti i San Zenoche avrebbero potuto disinteressarsi delpovero ragazzo e danneggiare col suo anche l'avvenire di Enrichetta. Infine laprudenza voleva che la ragazza fosse allontanata subitocon un bel pretestodalla casadove la sua presenza diventava sempre più pericolosa e occasione discandalo; e poiché un pretesto lo si trova facilmentesarebbero venute essestesse al Ronchetto a chiedere la ragazza in prestito per qualche tempo collascusa di farsi aiutare a finire un certo padiglione di setache avevanopromesso all'altare della Madonna per la prossima festa del centenario. Anziper semplificare di piú l'impresa e per non suscitare inutili discorsialprossimo martedí l'avrebbero aspettata alla Madonnina della Nocedovesarebbero andate colla carrozza a prenderla.

E rimasero in quest'accordo.

 

 

XIII

 

DUE POVERE ANIME

 

 

La vita della povera Celestinadopo l'impensata tempestaincui era naufragata la sua felicità e la sua innocenzasi sarebbe potutasomigliare alla continuazione d'un inquietointerminabile sogno.

Quello sforzo che la sua coscienza aveva fatto la nottefatale per afferrare la realtà del suo patimentoper liberarsi dall'incubodai lacci della sonnolenzadurava ancora eperdurandosi trasformava in unospasimo moralein cui si sentiva avviluppata come in una rete tagliente.

Un senso di doloroso stupore intorpidiva i suoi movimenti ela rendeva più che sonnambulacieca e sorda davanti alle cose e alle personeche la circondavano. Se non che di tratto in tratto un pensiero piú vivoguizzando come un lampo sinistro nell'oscurità degli altririschiaravamomentaneamente tutto l'orrore dell'abisso in cui l'avevano gettatae alloraerano gridi straziantiche uscivano dalle tenebre del suo cuore a invocareaiuto e misericordia.

In questo stato l'aveva trovata la contessa quella mattinacheuscendo dalla sua stanza dopo la confessione di Giacintoera corsaprimaancora che albeggiassea cercarla nella sua cameretta; e ve la trovò coiginocchi a terraquasi svenutacolla testa sepolta nelle coltricolle maniintirizzite dentro i capelli. Solamente la caritàla tenerezzale lagrimelesupplicazionile promesse e le lusinghe della povera signora poteronoridestarla dal profondo terrore e salvarla da un repentino impeto didisperazioneche in quel primo momento la spinse verso la finestra.

A poco a poco la sua riflessioneguidata da una mente piúforte della sua a giudicare del suo statola paura di uno scandalo pubblicolavergogna di sé stessalo stordimento stesso di tutti i suoi sensigiovarono atrattenerla per qualche tempo in un riserboche diede tempo alla contessa dipreparare le prime difese. Nelle braccia della povera signoracolla testaappoggiata al suo pettonel quale versò fiumi di lagrimesentí a poco a pocovenir meno molti istinti di ribellione. Molti gridi morirono sotto la pressioned'una mano leggierach'essa era solita baciare con amore. La povera servettasentí troppe volte battere vicino al suo un altro cuoreil cuore della madrenon meno agitato e spaventato del suoe non ebbe la forza d'imprecaredimalediredi chiedere vendetta. Si lasciò intenerirericadendocome perdesiderio di riposoin un assopimentoche non arrivava fino a uno stato didimenticanza. Allora ciò che era accaduto non le pareva piú accaduto;sottentrava una tenue illusione che il sogno affannoso potesse da un momentoall'altro rompersi e finire; mostravasi la Celestina naturale degli altrigiornie poteva nella sua intera illusione illudere gli altri. Seguendol'incanto d'una dolce ipotesipensava non essere possibile che in casa di cosíbravi e buoni signori avessero potuto farle un cosí gran male. Perchél'avrebbero ingannata e presa dentro a una rete? la contessa non era quellasanta e cara signora che essa venerava come la Madonna? e donna Enrichetta nonaveva dell'angelo perfino il profilo? e quel buon contecosí alla mano e cosípopolarepoteva essere complice di un tanto delitto? era dunque proprio veroche avessero abusato cosí slealmente della sua buona fede?

Tra queste consolazioniche essa spremeva dal suo pensiero eche somministrava a sè stessa come un calmanteche dà un minuto di sonno e dioblioper un subitaneo ritorno di sovraeccitazioni fisichesi risvegliavano leacri sensazioni del supplizio. Nella brutale rivelazione di un misterochenessun amore aveva abbellitoche nessuna benedizione aveva santificatoma nelquale essa era piombata come dal buio della notte in un braciere ardentetuttala sua vita era rimasta sconvolta e disorganizzata. Un tal disastro avrebbepotuto essere l'agonia d'ogni altra creaturama per leiper lei che amava unaltro uomo...

Non poteva fermarsi un attimo sul pensiero di Giacomonéudir pronunziare il suo nomené prevederne il sopraggiungeresenza sentiretutto il suo sangue andare dal cuore alla testa e dalla testa al cuore come untorrente di fuoco. L'impulso era di correre da lui e dirgli tuttosubito: magli avrebbe piantato un coltello nel cuore. Avrebbe egli creduto alla suainnocenza? non era meglio seppellirsi viva piuttosto che andargli davanti cosíindegna? A questo suo povero Giacomo essa si sentiva legata da un'anticapromessache non aveva mai avuto bisogno di essere pronunciata. Quando avessecominciato il suo cuore ad appartenergli non avrebbe saputo dire. Forse erasempre stato suo.

Raccolta bambinella in casa dello zio Mauroera cresciutacon Giacomoaccanto a Giacomoall'ombra suaquasi sui suoi ginocchicome unapiccola rosa innestata sul tronco d'una quercia. La casal'aiala vignettalaloggetta erano stati il loro regno comune per tutto il tempo che Giacomo stettepresso i suoi. A lei non era parso di perderlo nemmeno quando tutti le dicevanoscherzandoche lui sarebbe diventato un vescovo. Nessuno meno di lei si erameravigliata quandobuttata la veste nera alle orticheGiacomo ricomparveancora libero della sua volontà. Tutto questo era nel giro naturale delle cose.- Per me - gli disse quel giorno che le tornò davanti non piú prete - per metu saresti sempre stato il mio padrone e io la tua serva.

Essa aveva allora poco piú di quattordici anni; ma quandoqualche anno doposcoppiò la guerrae il cugino partí con Garibaldioh!allora aveva cominciato a capire che l'amore è un patimento. Durante tutto iltempo della disgraziata campagnafurono per lei giorni e notti d'angoscieinesprimibili. Il suo cuore sentí tutte le fucilateche potevano uccidere ilsuo povero Giacomo. Finalmente egli scrisse che sarebbe ritornatoe ritornòveramentepiú bello nella bella camicia rossa del garibaldinoche non fossestato maicol viso abbronzatocolla barba cosí lungache non osò piúdargli del tu. Non poté piú guardarlo senza arrossirefuggiva davanti a luiper una inesplicabile paura; le fucilate continuarono nel suo cuore anche aguerra finita; e nel parlargli col «voi» metteva in questo pronome nuovo unsentimento nuovo di rispetto e di venerazionecome se cercasse di sostenere inuna parola piú larga e piú sostenuta la gran gioia che traboccava da tutte leparti. Che un giorno dovessero sposarsi era cosa tacitamente ammessa da loro eda tutti quelli che li conoscevano. Tutto si riduceva a una questione di tempo edi circostanze. Che cosa importava che fosse oggi o domani? Giacomo riprese astudiare nei libri latinie qualcuno assicurava che avrebbe col tempo dato allestampe qualche cosa di bello; ma allora non passò nemmeno per la mente a«Frulin» che il latino potesse guastare l'amore. Anche i sapienti hannobisognoe forse piú degli altriche qualcheduno voglia loro del bene. Cosíerano passati gli anni in una dolce aspettativafino al giorno che Giacomo leconsigliò di entrare al servizio della contessa per sollevare lo zio Mauro eper mettere in disparte un po' di corredo. Egli sperava in un certo premiopelquale lavorava sempre. Un anno ancora di pazienzae poi chi sa? Avevadiciott'anniquando la contessa la condusse nel Cremonese; e anche nella nuovacasa non tardò ad acquistare la benevolenza di tutti. Il cuor contentopienodi speranzadava alla sua soda bellezza di ragazzona campagnuolaun'affascinante espressione di giovialità. Al vecchio conte faceva allegriasoltanto a vederla passare col secchiello dell'acqua o col cesto dellabiancheria. Non abituata ai salamelecchi e al cerimoniale compassato deisignoriche hanno molto tempo vuoto da riempirequel suo andar per le liscequel suo parlar brianzuolo cosí prontocosí gustoso di proverbicon cuisapeva difendersi tanto dagli adoratori platonici in guanti come dalle tenerezzetroppo espansive dei servitoriaveva servito a rallegrare una casa che a moltipareva fin troppo imbottita di dottrina cristiana e di filologia. DonnaCristinavolendo raccogliere questa bellezza troppo vistosafiní col darel'ultimo tocco di pennello a un bel lavoro della natura: e fu appunto questabellezza cosí fiorenteresa affascinante dal grembiulino e dalla cuffiettaalla normannache colpí in pieno la fragilità di don Giacinto.

Aveva cominciato anche luidurante una breve licenzad'invernoa corteggiarla con qualche elegante facezia; ma chi bada a quel chedicono i signoriquando vogliono canzonare una povera ragazza? Una volta peròessa minacciò il giovine di dire tutto alla contessase non la lasciava stare;e per fortuna il signorino fu richiamato al reggimento. Venute le vacanzed'autunnodon Giacinto tornò due o tre volte all'assalto; ma di nuovo essa lopregò di non dare questo dispiacere alla signora. Fu durante il tempo dellecorse d'estateverso la fine d'agostoche tornato improvvisamente alRonchettodopo il celebre trionfo di Messalinache gli aveva fatto tracannareuna quantità enorme di sciampagnafu in un momento di vertigine e diesaltazione sensuale che il suo cattivo genio lo condusse a varcarenelsilenzio istigatore della notteuna sogliache avrebbe dovutoper il benesuodella sua mammadella sua casasprofondargli sotto ai piedi. La ragazzasnervata dal sonno della sua etàsi trovò nel maleprima che avesse tempo diaprire gli occhi.

Eran quasi passati due mesi da quell'ora terribiledue mesiin cui due povere donneavvicinate dallo stesso dolorecome possono soffriredue cuori trafitti dalla stessa spadavedevano avvicinarsi ora per oraminutoper minutoil giorno che avrebbero dovuto chiamar Giacomo a giudice di undelitto. Questa fatalità si poteva con cento artifici nascondere e ritardarema i giorni passavanopassavano le notti insonnie crescevano leresponsabilità insieme agli spaventi.

Donna Cristinache temeva la solitudine de' suoi pensierichiamava spesso di notte la ragazza nella sua camera (il conte per riguardo alsuo cuore dormiva abbasso accanto allo studio)e vegliando con leipregandoinsieme colle quattro mani legate dallo stesso rosariocogli occhi fissinell'immagine dell'Addoloratacercavano di prepararsi ad affrontare il terroredella loro situazione. Nell'ardore di quel tormentoche le consumavascomparivano le differenze sociali; nel proprio dolore ciascuna sentiva l'altrasi compassionavano come sorelle e si eccitavano a vicenda con isquisitesuggestioni. La raffinatezza di questa curamentre esauriva le forzedell'infermiera non era tale da infondere coraggio e quiete nella malata. Alcontrarioi momenti di inquietudine nervosa si facevan piú frequentipiúspesse tornavano le allucinazionile visionii terrori fatuiche facevanbalzare la ragazza dal letto e trasalire la contessa nel mezzo de' suoi sognitorbidi e posticci. Durante certe nottiin cui la povera vittima non potevachiudere occhiotoccava alla contessa scenderetrefin quattro voltedallettoattraversare il piccolo corridoioche divideva la sua stanza da quelladella ragazzainginocchiarsi ai piedi dell'altro lettopregare la sofferentedi non piangere piúdi non farsi sentire da Enrichettache dormiva pocolontanola carezzavale sussurrava orazioni e paroline di pacela segnavacolla crocele metteva sul petto un crocifisso o vecchie reliquie benedettefinché la stanchezza e il cloralio tornassero ad assopirla.

Qualche altra voltaentrando nella stanzettatrovava ladisgraziata seduta sul lettocolle mani morte sui ginocchiimmobile come lastatua della meditazioneinsensibile al freddosorda alla voce di chi lachiamavacon tutte le facoltà concentrate e ipnotizzate in una sola ideachesi condensava nell'oscurità: che cosa doveva dire al suo Giacomo?

Di mano in mano che si avvicinava il tempo di tornare aCremona (ritorno che avveniva sempre nell'estate di San Martino)la contessache vedeva la necessità di prendere una deliberazionecominciò a parlare allaragazza di queste sue buone parenti di Buttinigoche l'avrebbero ricevutavolentieri. «Il luogo è quasi un conventoquieto come una chiesafuori dagliocchi del mondo. Nella compagnia delle buone signoredue vere santee nellavicinanza delle monache della Noceavrebbe trovata la forza e la pazienza disopportare la sua disgraziainsieme ai balsami della religione e della carità.Cosí toglieva alla gente ogni occasione di sussurroe dava a lei più libertàdi preparare l'animo di Giacomo a ricevere il terribile colpo. Del bene se nepuò fare dappertutto e in ogni stato: e se il Signore teneva conto del suogrande sacrificiodoveva un giorno rimunerarla con qualche grazia particolare.Qualunque fossero i suoi bisogni e i suoi desideriavrebbe sempre trovato inlei una madre amorosa e riconoscente». E per dimostrarle che la sua compassionenon era fatta di sole parolele regalò e le mise al collo una preziosacrocetta di lapislazzuliche una sua amica aveva portato da Lourdes: l'obbligòad accettare una somma di denaro per far fronte ai bisogni e per accontentarequalche capriccio.

Con questo minuto lavoro di antiveggenzedi ingegnoseastuziedi raffinatezze femminiliche alla povera signoranon abituata agliartifici della simulazionecostavano notti intere di pensieri e di spasimileriusci di ridurre a poco a poco l'animo incolto e non indocile di Celestinasenon alla rassegnazione passivaa considerare almeno il suo stato con menotremitocon minore ribellione di spirito. Tutto il fascinoche una maggioreeducazione di spiritola forza della mente e gli splendori incantevoli dellaricchezza possono esercitare su una natura primitivaincapace di troppo lungheresistenzefu messo in opera dalla madre spaventatacolla rapida e sgomentatadestrezza che c'insegna e fuggire da un pericolo incalzante; arrivò fino a fartacerefino a respingere qualche rimorsoche il delicato senso dellarettitudine naturale e della carità andava sollevando. In questa tremendabattaglia donna Cristina Magnenzio sapeva d'aver in giuoco la vita e l'onore de'suoi figli; e senza aver mai letto i consigli del Machiavellipiú che ai modidel vincere badava a vincere presto.

La ragazza agli ultimi di ottobrenella sua integraignoranzanon sospettava ancora quel che non era piú un dubbio perl'esperienza della madre: per evitare che questa nuova coscienza le nascesse incasaprima che l'intimo mistero si annunciasse con qualche motola signora siaffrettò a sfruttare tutti i buoni propositi e le ultime debolezze dellavittima.

Celestinarimessasi da una lunga febbreche ne aveva scossae indebolita la volontàsi lasciò persuadere ad abbandonare la casa della suadisgraziasenza avvertirne Giacomo. Per rendere questa partenza piú naturaleuna mattina la contessa fece attaccare assai di buon'oraescesa conCelestinalasciò detto al conte che sarebbero tornate per l'ora dellacolazionedopo aver fatte certe loro divozioni alla Madonnina della Nocedovesi celebrava la festa centenaria. Partirono loro due sole con un tempo limpido efrescoche pareva un sorriso della natura. Tutta la strada quanto fu lungadalRonchetto alla Madonninanon si dissero che poche parole e a lunghi intervalli:il tumulto dei pensieri impediva di parlare. Quando ebbero passato l'Adda sultraghetto d'Imbersagoentrambe mandarono un piccolo sospiro e si strinsero lamano. Quel fiumeche restava indietrovoleva dire per la ragazza tutta la suabella vita perduta per sempre; per la signora invece una prima battaglia vinta.

- Addiopovero Giacomo... - fece la miseracon voce rottama senza piangere.

- Procura di essere buona e rispettosa verso queste signoreche hanno promesso di tenerti sotto la loro protezionee vedrai che il Signoreti ricompenserà... - Cosí cercò di consolarla la contessa con parolein cuisi sarebbe già potuto sentire un tono di minore angustia.

Al trotto serrato dei due cavalliche sentivano l'energiadel riposo e la sferza dell'aria mattutinala carrozzadopo aver risalita lariva sinistra dell'Addaprese a correre sulla strada provinciale di Bergamo.Celestina vide diminuire e restar indietro le note montagnee confondersi sottoil nuovo orizzonte la linea delle sue collineche andavano rimpicciolendosi inuna malinconica distanzamentre le campagne a destra e a sinistra della stradasi facevan pianeugualicosteggiate da piccole siepi polverosenon interrotteche dalle piante smozzicate dei gelsi. Traversarono borgate ignotequasi ancoradeserte in quell'ora mattutinadalle quali non usciva che il suono fuggente diqualche incudineo il rombo d'un filatoioche si accompagnava a una mestacantilena di lavoratricio l'abbaiare di un caneche uscito da un cascinaleinseguiva un tratto la carrozza; poi di nuovo ricominciava la strada bianca e sicontinuava a correre per luoghi sconosciutiche suscitavano nell'animosuperstizioso della giovine il sospetto che la menasserocome si diceaperdersi.

«Addiopovero Giacomo...» ripeteva in cuor suo a lontaniintervalliconcentrando in questo pietoso ritornello tutto quello che sentivadi soffrire e non era in grado di esprimere. E come se al rotolare delle ruoteche la menavan viasi svolgesse il filo delle sue memorie lontanele passavannegli occhi chiusi le Fornacila vignettalo zio Maurola zia Santinalestesse scontrosità un po' odiose della Lisache non la poteva vederema cheavrebbe avuto pietà di leise fosse andata a cercarle aiuto contro questimaliche la perseguitavano; ohpotevano menarla lontano trecento miglia eseppellire il suo corpo trenta braccia sotto la terra; il cuore non si sarebbemai mosso da quei siti.

Povero Giacomo! come avrebbe ricevuto il gran colpo? avrebbecreduto alla sua innocenza? Oh síma non avrebbe voluto piú rivederla. Nélei avrebbe osato piú tornargli davantimaidal momento che non poteva piúessere quella di prima. Oh gli assassini che cosa avevan fatto di lei! Soltantoa ripensare quel che avrebbe potuto essere per il suo Giacomoil cuore chepareva mortoridestavasi con impeto doloroso; lei sarebbe morta un'ora ol'altra per uno di questi schianti. E doveva questa vergogna toccare al piúsanto degli uominial suo Giacomoal suo angelo...

Osservava con occhio inerte le cose che passavano nella viadicendo di sí con un movimento automatico del capo tutte le volte che lacontessa rinnovava una raccomandazionementre il pensiero sprofondavasi con unsenso quasi di amara voluttà nell'immaginare quel che non poteva piú essere.

- Glielo dirà proprio che sono stata sorpresa? che sonoinnocente? - balzò una volta a direafferrando con improvviso ardimento lamano della signora.

- Te lo giuro - rispose questa con sincera franchezza.

- E gli dica che cerchi di perdonare anche lui... - soggiunsela poverinaumiliandosi di nuovo nell'angolo della carrozza.

Un brivido di commozione passò nel cuore di donna CristinaMagnenzio a quelle buone paroleche sollevavano un'anima semplice alle sublimialtezze della bontà e del perdonomentre un'altra anima vicina era in via digodereanzi pregustava già gli amari sapori dei male che trionfa. Socchiuseanch'essa gli occhi un istante per non vedere questa abbagliante seduzione diuna virtúche si eleva fino alla divina aristocrazia della bontà e delsacrificioe ricompensò la carità della giovine collo stringerle a lungo lamano ardente tra le sue mani inguantatecome se volesse con quel lungo contattocomunicarle la sua tenerezzae farle sentire con quell'atto materno tutta laforza di una promessa che non aveva parole per parlare. Col cuore immiseritocogli occhi immobili verso le siepidonna Cristina cercò di asciugarecon unbattere frequente delle palpebre nell'aria vivail velo di lagrime che lecoprí le pupille. Un dolore crudele e duro la strozzava alla gola e al petto.

Un quarto d'ora dopoGiosuè arrestò i cavalli sopra unpiazzaletto erboso ombreggiato da antichi plataniche stava davanti allavecchia chiesa della Madonnina. Il Rebecchino venne ad aprire la portiera.

- Siete qui? - chiese la contessa - chi c'è?

- Donna Adelasia aspetta in chiesa.

La contessa andò avantie aspettò Celestina sulla porta.Entrarono nella chiesetta tutta parata a festoncini bianchiazzurriconfrangie d'oromentre un prete stava celebrando la messa davanti a moltedonnicciole. Donna Adelasia dal suo banco riservato fece un segnoe si ritiròper lasciar loro il posto sulla predella. Celestina si trovò in mezzo alle duesignore nel momento che le quattro monache del coro intonavano un'orazioneflebile e lamentevolesu cui la voce grossa del prete correva col rumore d'uncarro in corsa. Celestina girò gli occhi intorno e si sentí una gran voglia digridare. Che avevano fatto di lei? che luogo era questo? che cosa dicevanoqueste voci lamentose?

La contessache in questo supremo istante non cessava maidal sorvegliarlavolle che sedesse e le passò con una soave carezza una manosui capelli. E quando sonò il campanello dell'elevazione la signora e lacamerierainginocchiate sulla stessa predellaaccostarono la testa a pregareinsieme fervorosamente. Quindi donna Cristina le disse piano:

- Non voglio far pensare male a casa. Ti lascio con donnaAdelasia. Verrò a trovarti prestoappena gli avrò parlato. Coraggio e fiducianel Signore...

Celestina strinse con la mano convulsa e irritata un lembodel vestito della contessaefissandola con occhio spaventatola supplicò direstare ancora. La signora aspettò ancora un istante: e quando donna Adelasiavoltò il viso dalla sua partele fece capire che il momento doloroso eravenuto. La vecchia dama circondò col braccio la vita della giovinecome sel'invitasse a ripetere una preghierae lasciò in tal modo alla contessa agiodi sciogliere il vestito dalle dita tenaci. Il corpo di Celestina quasi sisfasciò sul banco.

Donna Cristina uscí dal tiepore e dalla religiosa penombradella chiesuola nell'aria cruda e vivafece un segno quasi marziale col guantoa Giosuèche si accostò alla carrozza. Essa vi entròil Rebecchino chiusela portiera e i cavalli partirono a corsa. L'emozioneacerba come un rimorsole impediva di piangeree gli occhiquanto fu lungo il viaggiorestaronoimmobili in una stupefazione insensibilecoperti di un velo di lagrimecristallizzate.

 

 

XIV

 

 

LE PRIME SCARAMUCCE D'UNA GRANDE BATTAGLIA

 

 

Giacomodopo aver messo un po' di pace in casa e un po'd'ordine negli affariaveva da qualche tempo ripigliata la correzione del suolibro sull'Idealismoal quale stava per aggiungere una lunga nota sullavirtú educativa del doloresuggeritagli dalle malinconie delle ultimeesperienze. Facile a trovare nella ricchezza e nell'indulgenza del suo cuore lagiustificazione di quel che èsi lasciava di nuovo dolcemente trascinare a unconcetto roseo della vitapersuaso sempre piú che gli uominianche quelli chepassan per malvagisono cattivi piú per la loro insufficienza a comprendere ilbene che non per cattiva disposizione o per un odio dichiarato alla giustizia.Il dolore viene sempre a tempoquando gli errori e gl'inganni nostri sonmaturimaestro di logica moraleonesto giudice liquidatore nel gran fallimentodelle nostre presunzioni. «Soffrire è conosceree conoscere è perdonare. Lafilosofia senza la dolorosa esperienza potrà essere un bel cartonenon saràmai il libro della vita».

Questi concetti scaturivano ancora spontanei dalla sua pennamentre il sole nitido delle ultime giornate di ottobre entrava a illuminare lastanzuccia del filosofoche di tempo in tempo si moveva a cercare l'ispirazionee gli elementi del pensiero a due boccate di peppinettao andava aconsultare Blitzche sonnecchiava al sole sulla loggetta. Molte brighel'aspettavano dentro e fuori dell'uscioma non disperava di saper col tempo ecolla pazienza dipanare la matassa. Col signore della Rivaltache si era fattoraccoglitore unico di tutti i crediti del fallimentoaveva concretato unaffitto di sei annidietro il corrispettivo d'un proporzionale pagamentod'interessi. Ma Battistache avrebbe dovuto prendere la direzione dell'aziendaindispettito di non poter sposare la Fiorenzagiurava che non avrebbe piútoccato un mattone. Era difficile anche per un filosofo pacifico come Giacomofar entrare in quel testoneche i tempi non erano piú quelli di primachebisognava fare di necessità virtúrassegnarsi a lavorare per conto deglialtrie ringraziar Diose lasciava un tetto per dormire al coperto e un pezzodi pane tutti i giorni. Battistacoll'ostinazione delle teste dureche vedonoin tutto ciò che non capiscono una mancanza di rispetto alla loro ignoranza (ein questa fissazione poteva vantare un bel numero di compagni anche tra coloroche sanno leggere e scrivere)andava ripetendo che Giacomoil sapientonenonera un asinoperché mirava a stringere tutto nelle sue mani per far la partedel leone; perchédopo aver sempre vissuto alle spalle della famigliasenzamai sporcarsi le mani colla terraora la moglie voleva prendersela lui e farlavorare gli altri a mantenerla. A questi patti egli non ci stava. Gli desserola sua parteed egli se ne sarebbe andato fuori dei piedi. E per quanto Giacomosi martoriasse a dimostrargli coi registri alla mano che di parte da dividerenon ce n'era piú per nessunoBattista opponeva sempre quel sorriso tra ilfatuo e il sarcasticoche vuol dire: «A me non la si dà a bere!». Parlavaanche lui di voler ricorrere agli avvocatie intanto andava a cercarli tra ivillani i suoi avvocatitra i barcaiuoli della rivatra i fannullonidell'osteria.

Avendo una volta riscosso a insaputa di Giacomoun vecchiocredito da un cliente di Meratesi tenne le cento lire per séevestito coipanni della festapassò il lunedí sulla soglia della Fraschetta a biscantarecoi soldati coscritti e a dir peste dei filosofi intriganti. Tornò a casa colgrugno torvocol proposito violentocoll'occhio acceso dal vin cattivoepicchiando de' grandi colpi sulla tavolacominciò a gridare che voleva vederla cartacioè il testamento del pàperché era nel suo diritto di prendermogliecome tutti gli altrivoleva andar fuori di casa e lavorare per contosuo; e mille altre cose volevache Giacomo non gli poteva dare in nessunamaniera. E quando questiperduta la pazienzagli disse una volta chesevoleva proprio andarsenela porta era apertafu come dar fuoco a una bomba.Ferito nel suo dirittoacciecato dall'odioBattistadopo aver teso il pugnoin ariasi scagliò sul fratellourlando come un disperato:

- Ahper te e per la tua smorfia i denari ci sonobruttomangialibri: aspetta cane... - Ma la Lisache aveva ormai fatto l'orecchio aquesta musicasi cacciò in mezzo emenando le lunghe braccia simili a duemanichi di scopache giocassero di schermaalzò la voce stridula come unvecchio telaiolasciando cadere un tal diluvio di parole che i due uomini nonci sentirono piú. Stordí l'ubbriaconegli innaspò la vista con quelle suemani che non finivano mailo spinse fuori dell'uscioche chiuse con fracassofacendo tremare la casa dai fondamenti; e voltasi verso Giacomofece capireanche a lui ch'era tempo di finirla.

La povera mamma che ci poteva fare? Seduta nel cantuccio delcaminonon aveva gli occhi che per piangere e la voce che per sospirare. Dopola scomparsa del suo Mauroche in quarant'anni di matrimonio le aveva levataogni energia di pensare a qualche cosa la quale non fosse già stata pensata ecomandataora rimaneva lícome un orologioa cui sia stato tolto ilmeccanismoche puoi ancora far andare col dito; ma da sél'indice fermo sopraun'oranon si moverebbe in cent'anni. Dal dí che la discordia era entratanella sua casa insieme alla miseriaessa non aspettava che d'essere mandata viada un momento all'altro dai creditori. In ogni faccia nuovache comparissesull'usciocredeva di vedere un esattoreo un usciereo un nemicochevenisse a portar via l'ultima sedia; e non ci voleva che la parola autorevole diGiacomo per persuaderla a non lasciarsi morire di tristezza.

Ad onta di tutte queste tribolazioniGiacomo non disperavadi vincere la dura partita. Se quel bestione di Battista non voleva piúlavorareavrebbe lavorato lui in suo luogo. À la guerre comme à laguerre. Il dirigere una fornace e il far cuocere dei tegoli non è poi unmestiere piú arduo che l'inventare una spiegazione probabile del mondo.Qualcuno aveva già riconosciuto in lui il bernoccolo degli affarie veramentesenza ch'egli osasse insuperbire per questosentiva che a far meno male di chifa peggio non occorre un genio particolare. L'ingegno serve in ogni cosatrannequalche volta che a far dei libri. Col lume della retta osservazionecolprovvedere a tempocoll'ordine nelle piccole coseche sono i mattoni dellegrandiin men d'un mese poté raddrizzare il baracconeche suo padre avevalasciato molto sconquassato. Pacificato il mugnaio del Lavelloritirata unaricevuta definitiva dall'oste della Fraschetta (e in questi bisogni il denaroanticipato dai suoi benefattori del Ronchetto fu una vera provvidenza)accontentato qualche altro creditore più inquietoegli aveva visto ritornare apoco a poco gli antichi clienti e i carri carichi di materiale passare eripassare davanti alla casacome ne' tempi migliori. Dove egli avesse potutotrovare tanto credito e tanto denaro era per tutti un mistero. La gente sabenissimo che la scienza e la filosofia non hanno mai fatto farina; anzi coilibri si lavora sempre a perdita. Fu l'oste della Fraschetta il primo a scoprirel'arcano che il denaro veniva dal palazzo. Il sottocuoco l'aveva saputo daaltrio aveva vistooquel ch'è lo stessoaveva creduto di vedere. V’erachitra il dire e il non direlasciava capire qualche cosa di piúcome se laCelestinaquella furbonac'entrasse; tanto che Giacomo in questa faccendaaveva tutto quel che voleva avere. Per qualche altroall'incontroche sicredeva non meno bene informatoGiacomo Lanzavecchia aveva stretta una lega conquel bel mobile della Rivaltache sarebbe stato felicissimo di dargli la Normain moglie. Si arrivò fino a far credere che Giacomo fosse l'amante della bellacontessae allorasi capiscesi fa presto a pagare i debiti...

Il nostro filosofo era troppo occupato nelle cose vere perandar dietro alle verosimilicon cui si fabbrica la storia del mondo. Nonpensava nemmeno che la gente potesse occuparsi de' fatti suoi. Se gli affaricamminavanoil merito in parte l'attribuiva a séin parte alla fiducia cheispirava la sua onestà e il suo buon volere.

Lasciò dunque che Battista andasse in cerca dei suoiavvocaticollocò Angiolino alla direzione delle fornaciritenendo per sél'amministrazionee scrisse allo zio prete a Celana che per il nuovo annoscolastico credeva piú utile rinunciare al posto del collegio per attendereall'azienda. Tutte le mattine si recava egli stesso sul lavoroincoraggiava ivecchi operainei quali trovò buone disposizioni d'animo e i confortidell'esperienza. Se il caso richiedevanon si faceva scrupolo di mettersi eglistesso in maniche di camicia e di dare una mano a caricare un centinaio dimattonicoi piedi nella polverecolla polvere nella gola. Una volta che unronzino stentò a levar le ruote d'un carro dai solchil'autore dell'Idealismodell'avvenire non si vergognò di attaccarsi alle stanghe e di gridareanche lui uh uhper indurre nell'animale quel grado di emozione volitivapercui non era bastata la frusta.

- Leisor Giacomse mi lascia dire- osservò un giorno ilManettail piú vecchio dei lavoranti - lei fa fin troppo dopo tutto quel cheha studiato. Si guasterà la scrittura.

Questa povera genteche aveva visto da vicino il pericolo direstare senza panein un paese dove ai bisogni della disoccupazione non siprovvede sempre facilmentedimostrava verso el sor Giacom una stima eun'affezione particolarecome merita chi ci salva dagli stenti e dalla fame. Lapovera gente non va a cercare da che parte le caschi il panené chi l'abbiacotto: el sor Giacom aveva fatto il miracolo di far rivivere le fornaci;viva la faccia del sor Giacom!

Una sera dei primi di novembreGiacomo incontrò presso lastrada di Sabbione il signor Ignazio della Rivaltachevenendogli incontrotutto cerimoniosogli disse:

- Ho parlato col ragioniere Ribonie forse non siamo lontanidall'intenderci intorno a quel fondo della Colombera; ma anche il Riboni diceche una sua parolasignor Giacomoalla contessa potrebbe rendere la cosa comefatta.

- Una mia parola... - chiese Giacomo meravigliato.

- Il Riboni sa che la contessa a lei non dice mai di no.

- Viaè un po' troppo! - soggiunserespingendoscherzosamente questa graziosa malignità.

- Eh! lei è piú filosofo di quel che pare- ribadíl'ometto della Rivaltastringendolo amorosamente sui fianchi e guardandolosottecchi con cipiglio compunto: - lei sa spennacchiare le suo galline senzafarle strillare. Coraggio: s'intende chese l'affare si faognuno avrà la suaprovvigione. Se poi si persuadesse quel buon uomo del conte a sbarazzarmi lacasa da quei vecchi imperatori romanison disposto a dare al mediatore il ventiper cento sul prezzo.

- Oh che mi piglia per un sensale costui? - ruminò tra séil figlio di Mauro Lanzavecchia - e che cosa pensaquando dice ch'io sospennacchiare le mie galline? - Ma forse avrebbe dimenticate anche queste parolesetornando qualche giorno dopo da Brivionon si fosse trovato faccia a facciacon Brandatiil dottoreche scendeva dall'aver visto un malato alla cascinaBruschetta.

Con Brandati erano stati compagni all'Università di Paviaper quanto possono essere compagni due studenti di facoltà diverseuno deiquali amipiú che i libriil fiasco e la compagnia allegra. Giovine ditemperamento robusto e gran mangiatore al cospetto della terrapiù che alogorarsi sui cadaveriil Brandati aveva portato da Padovasua patriaungrande amore per le donne e per le brighe politiche in favore della repubblicach'egli intendeva come un'istituzionein cui si avesse a venir spesso allemanifinché non fosse schiacciato l'ultimo cappello a cilindro. Bonario etenero di cuore come una donnapassata la sbornia repubblicanaaveva messamolt'acqua nel suo vinoe ottenuta una laurea a Maceratacercava colladiligenzacolla caritàcon una intuizione naturaledi supplire alle lacunedella scienza; anzi ai contadini era simpaticoe gli volevano benenon tantoper il suo saperequanto per l'arte ingegnosa con cui sapeva farne senza.

Appena il dottore vide venir Lanzavecchiafece un movimentocome se cercasse una scappatoia a destra o a sinistra; maessendo la stradettachiusa tra due muricciuoli e senza uscitavenne avanti e finse d'avere una granpremura di andare a casa. Camminando nel fossatello di scolo lungo il muro-Buona sera! - disse brevementementre toccava col dito la tesa del cappello.

- Buona serasorr... - rispose Giacomostrascinando l'erree voltandosi a seguire coll'occhio l'illustrissimoche mostrava quasi schifo asalutarloe stava per tirar dritto anche luiquando sentí una forzache locondusse indietro. Raggiunse il Brandati poco distante dal cimiterolo fermògli domandò a bruciapelo.

- Ti ho fatto qualche cosa io a te?

- Se tu hai fatto qualche cosa a me? - chiese alla sua voltail giovinotto grassoper non saper lí per lí che cosa rispondere. - A me tunon mi hai fatto proprio nientemio caro punto e virgola! - Era questo unvecchio nomignolocon cui i compagni allegri dell'Università solevano metterein burla la dialettica a distinzioni e a sospensioni del filosofo delle Fornaci.

- E allora che cos'è questo sussiego?

- Che sussiego! ognuno va per la sua stradao bella!

- Che cosa t'impedisce di salutarmi?

- T'ho salutato. Del restoognuno ha il suo modo di vedere.

- E che c'entra qui il modo di vedere? - riprese ilLanzavecchia sotto una fiammata di collerapigliando l'amico per unaorecchietta del bavero. Brandati nicchiò e cercò con un piccolo sforzo diliberarsima Giacomoafferrata anche l'altra orecchiettalo tenne líprigionierodicendogli con una certa solennità: - O parleraibambinoo diròche sei un vigliacco; e allora ti tratterò da vigliaccove'...

- Aseo! - esclamò il rotondo padovanoche parvequasi contento d'esser cosí forzato a parlare. - Poiché tu mi tieni pelbaverote digo subito che la gente te giudica mal.

- Siamo dei poveri falliti; ecavallo magro tutte le moscheson sue.

- Son certe tue amicizie coi... cosi... che fan parlare lagente- spiegò il Brandati con quella maniera propria dei veneticheridurrebbero a un coso anche lo Spirito Santo.

- Forse vuoi dire i miei rapporti con quel signore lassúdella Rivalta? ma egli oggi è il nostro padrone.

- Non questo soltanto...

- E allora... - insistette Giacomo su un tono di collerasorda.

- Badavecio io non credo niente ai... cos...voglio dire a tute le ciàcoleche vengon fuori dalla bocca deimarsupialima capisco che alle volte la apparenze dànno il mànego allesupposizioni. Lo dicevo anche ieri sera a Brognòlico: Lanzavecchia è semprestato un po' timidoun po' troppo punto e virgolatroppo amico dei cosi... deipreti e dei signori (mi te parlo franco); ma da questo al dire ch'egli vende ilsuo onore e la sua filosofia per qualche biglietto da milleo fiol d'uncan...

- Chi? Brognòlico ha detto che io...? - interruppe vivamenteGiacomosentendo venir meno le furie agitatrici all'immagine gonfia e arruffatadell'avvocato Brognòlico che per venti lire avrebbe venduta l'anima in fette. -E tu credi a questi merli? - disse al Brandatitirandogli un pezzo la foltabarba nera.

- Che gli dicevo? quando un uomo è stato una volta col...coso... con Garibaldicome ci sei stato tu a Bezzeccanon sa nemmeno che cosasiano certe vigliaccherie. Son le apparenze...

- Quali apparenzese si può sapere?

- È vero che hai ricevuto dei denari da questi signori delRonchetto?

- È vero: ma non potrò onestamente restituirli?

- Allora non è vero che il... coso... come si chiamaquell'ufficialetto? il contino possa essere l'amante di tua cuginaahn!

Il Brandati pronunciò in fretta quest'ultime parolecome sevolesse farle scomparire nella barbaequando si accorse che l'amico lepigliava benesenza offendersisentendosi sollevatoinfilò il braccio nelsuo e lo rimorchiò un tratto di stradaparlandogli coll'animo sciolto:

- Non dicono forse che tu sei l'amante della contessa? Non cisarebbe niente di malefiol d'un canse ti piacesse un bel pezzodi aristocrazia come questa: le beghine amano con fervorespecialmente se hannoil coso... il marito un po' vecchiotto; ma un conto è coltivare il genereunaltro conto è far degli affari. Giacomo Lanzavecchia può prendere denaro anchedal diavolodicevo anche ieri sera in farmaciama non sarà mai denaro chepuzza. Lo conosco da un pezzorazza d'ippopotami che siete tutti quanti! Nonhai idea che lingue ha questo paese! Ma io ti aiuterò a frustare questirinocerontise mi dai il segnale di incominciare. È un pezzo che mi sentivoqui in gola il prurito di parlartenema temevo sempre di seccarti in mezzo allealtre tribolazioni. Ma ora che mi hai preso per il baverocaro punto e virgolae che mi autorizzi a parlarevieni qualche sera alla Fraschettaquando c'è ilmugnaio colla solita compagnia del magnanodel maestro della banda e deglialtrie ci penso io a farti rendere giustizia. Quattro cappiotti dati a tempofanno piú bene di tutta la politica di Aristotile...

Il Brandati che si sentiva ancora nelle vene il fuoco di queibollori giovanili che l'avevano spinto a litigare colle guardie di questura e asfidare i lavandai del Ticinofece scorrere le mani sulle manichecome sevolesse incominciar subito.

- Non è il caso di dar troppa importanza alle ciarle degliimbecilli - disse Giacomo con voce velatasoffermandosi e liberando lentamenteil braccio da quello dell'amico; - peròse non sarà all'osteriasarà benerivederciBrandati.

- Quando vuoi...

- Oggi è tardi... grazie... addio... - soggiunse con unacrescente inquietudineallontanandosi in frettacome se cercasse di uscire dauna situazione imbarazzante. Istigatoquasi a suo dispettoda una violenzainterioreche gli faceva alzare il pugno in ariaripeté due o tre volte: -Selvaggi! razza di malandrini! - Fatti venti o trenta passisi fermò e sivoltò di nuovo a cercare il Brandatipentendosi di averlo lasciato scapparetroppo presto; ma l'amico era già scomparso nell'oscurità della strada. Ad untratto il filosofo disse: - Che stupido! e che mi deve importare di quel chepensi de' fatti miei il mugnaioil magnanol'ostel'avvocatoquando so quelche pensa la mia coscienza? - E come se fosse da questa riflessione persuasoabbastanzariprese a camminaresforzandosi di dare a' suoi discorsi interni unprocedimento di filosofia naturalequasi di commento ermeneutico al testoantico della umana imbecillità: - Ecco come si fa la storia! - diceva. - Iol'amante della contessaGiacinto il drudo di Celestinai denari il compensodelle rassegnazioni. E tutto questo a due passi dalle cose! Figuriamoci quel chedev'essere la storia di Ninive e di Roma. Povera Semiramide! povero Narsete! Orami spiego anche i discorsi di questo mio futuro suocero della Rivalta el'immagine elegante delle gallinech'io so spennacchiare con tanta politica. Ec'è anche chi pretende di sapere che la contessa non dice mai di no a un amicodella mia forza; ah porci baroni! Dunque se la gente mi fa grandi scappellatenon è certo per rispetto alla filosofia: ma la gente pensa che un uomo il qualepaga i suoi debiti con tanta disinvoltura e che giuoca cosí abilmente sullarassegnazioneè piú rispettabile d'una zecca.

Giacomo a questi insultich'egli procacciava a sé stessoquasi per un fanatico piacere di confutarliora opponeva un sorriso acerbo dicanzonaturaora un corruccio di fiera collerache lo faceva inavvertitamentecorrere per la strada deserta già immersa nell'ombra umida del crepuscolo. Nonvolendo portare in casa la sua inquietudine e dar motivo a sé e alle donne diprovocar domande inutili e fastidioseinvece di svoltar subito verso leFornaciappena fu al luogo detto Sasso del Pincontinuò per il viottoloselciatoche monta dolcemente al «Roccolo» di don Andreaentrò nel boscoartificiale di cerridi carpini e di gineproche fanno del sito quasi un verdecastello fortificato; e quando si trovò nel mezzo del tortuoso labirinto pressola capannuccia di legnoche serve di ricovero al cacciatoresedette sul rozzopanchetto e lasciò che il suo cuore un po' grosso riposasse dal palpitarescomposto che avevano suscitato le parole del Brandati.

Un mesto raccoglimento regnava nel boschetto già logoro espoglio di molte frascheche ingiallivano marcie sul terrenomentre tra i ramichiari entrava l'ultima vampa dell'incendio d'oroche si spegneva dietro lacurva dei colli. Il cielo era serenocon pochi fiocchi di nuvole porporineimmobili nell'azzurrofresco e ancor ridente in quella bella sera di novembre.Intorno a lui era un cinguettare rumoroso d'una plebaglia di passerichepartito il nemicoconsideravano il «Roccolo» come la loro casae civettavanocon plebea insolenzalà dove gli illustri loro compagni avevano lasciata lavita nelle ragne e perfin sulle canne del vischio. Ebbene! che dovere hanno ivivi di morire per i morti? - dicevano i passerotti. - La vita è forza cheincalza la forzaè il giorno che succede alla notte. La lotta non cessa mai suquesto campoora apertaora insidiosa; dove non arriva la spadaarrivano lacalunnia e la maldicenzache son le ragne dissimulate della morte. Che puòfare la creatura contro questa fatalità della legge? - Egli poteva rispondereche l'uomo si sottrae all'invidia dei vili come l'aquila sfugge alle trappolevolando molto in alto. Ciarlino pure gli stolti; la maldicenza è un bruttoanimale voraceche finisce sempre col mangiare sé stesso.

Non volendo farsi troppo aspettare a cenaprese unsentieruzzo da caprache piomba quasi diritto sulle Fornacie in quattro saltifu a casa. La Lisache stava inginocchiata davanti al caminointenta apreparare la solita minestrasenza voltare il viso dal fuoco gli disse:

- C'è stato Fabrizio con una lettera della contessa per te.

- Dov'è questa lettera?

- Lísull'armadio.

Giacomo ruppe la bustache buttò nel fuocoe al lumemaggiore della fiammache si sollevòlesse queste quattro righe:

«L'avverto che oggi ho lasciata Celestina presso alcunenostre parentiche mi avevano chiesta una ragazza brava nei lavori. Ho pensatoche le potesse far bene di restare in campagnamentre noi ci prepariamo atornare in Cremona. Venga domani verso le due; ho bisogno di prendere qualchedecisione per quest'inverno».

 

 

XV

 

LA CICOGNA SULL'ARMADIO

 

Giacomo rimase un pezzo immobile davanti al caminocogliocchi fissi alla fiammache scoppiettava sotto la pentola. In ogni altradisposizione di spirito un biglietto cosí semplice non avrebbe lasciatatraccia; ma questa volta ogni piú piccola scossa faceva fremere una cordatroppo tesa.

Fu per sottrarsi al pericolo di credere troppo allesuggestioni dei cattivi pensieri e anche per rompere l'oscurità dell'ariachepareva anch'essa piena di brutti sospettiche accese colle sue mani lalucernetta a petrolio posta sul camino e la collocò a uno dei capi dellatavoladov'era già steso il tovagliolo della cena.

La Lisasempre un po' aspra e angolosa nelle sue bruschesollecitudini di massaiain quattro movimentibruschi come il suo caratteremise in tavola i piattii bicchierile posateil fiasco del vinolevò da uncestoche tolse dalla credenzaquattro paniche batté sulla tavola conquattro colpi pesanti come se non fossero pane da mangiarema bombeesenzamai schiudere quella sua bocca da merluzzo in colleratornò a inginocchiarsidavanti al camino e a rimestare nel calderotto. Era un giorno di luna cattiva.Si capiva subito dal grembiale allacciato storto e dalle lischeche scappavanodai denti delle forcelle come un'imbottitura di crine da un cuscino mal cucito.

- Battista non si è lasciato vedere quest'oggi? - chieseGiacomoquando fu seduto al posto del povero pà in capo alla tavola.

- S'è lasciato vederema ubbriaco come un animale. Io nonso chi gli paga il vino che beve.

- E ora dov'è?

- S'è arrampicato sul fienile e dorme al fresco. Farebbemeglio a buttarsi nell'Adda.

La Lisa posò il calderotto ancor bollente sopra un taglieredi legno a un angolo della tavolaedando col mestolo l'ultima rimestatasollevò un nuvolo di fumoche l'avvolse fin sopra i capelli e le diedel'aspetto di una pitonessa in collerain atto di provocare una qualchediavoleria.

- La mamma come sta oggi?

- Se mangiasse di piú e bevesse un bicchier di vinosarebbepiù in forze. Per quel che si guadagna a risparmiare il quattrino...

Mentre parlavala ragazza lunga finí di riempire diminestra le quattro scodelleche pose sui piatti e distribuí colla solitabuona graziache pareva le uscisse dai gomiti. Dai vent'anni in poi ne avevascodellata della minestra su quell'angolo di tavola! eproprione avevaricavato un bel compenso. Se prima poteva sperare ancora che un cane lasposassealmeno per amore de' suoi quattro soldi di doteora che il fallimentoaveva inghiottito fin l'ultimo quattrinochi voleva pensare a lei? Cosídopoaver fatto per tanti anni la serva per attaccamento alla sua casaora perconfortino non le restava che di servire per forza in una casa ch'era roba ditutti e di nessunoin mezzo a gente che si voleva bene come cani e gattiaifianchi d'una povera donnache non si contentava piú di nullaesposta alleviolenze brutali di Battistache pretendeva di comandare non meno dichicchessiasotto la soggezione di Giacomoche s'imponeva di piú quanto menosi faceva sentire.

E il bel risultato! sarebbe stato di vedere tra qualche meseentrare in casa madamisella Celestinafresca come una rosapadrona assoluta ditutto e di tuttidopo essere stata a carico della famiglia per tutti gli annidel bisogno; ma a madamisella lei la serva non l'avrebbe fatta. «Quandomadamisella entrerà da una parteio uscirò dall'altra. Se lo zio prete mipiglieràbene quidem; se non mi vorrà pigliareandrò a servire qualchevecchio curato di montagna; ma da madamisella non mi lascerò comandare. Nostropadre col voler dare il suo pane e la sua pietanza a tutti i pitocchi dellastrada si è ridotto a morire fallito e a lasciare i figliuoli sull'assa. È lavecchia storia che chi lavora ha una camiciachi non lavora ne ha due».

La Lisa non aveva mai veduto di buon occhio la presenza diCelestina in casa per quel senso d'invidia che fa parere tolto a sé tutto ciòche vien dato agli altri. Piú giovanepiú frescadi carattere dolce efestosol'orfanella era cresciuta in quella casacome una pianta rigogliosache fa uggia a un umile e spinoso cespuglio.

La persecuzione della Lisa sarebbe stata insopportabileseoltre al temperamento molle e poco suscettivola Celestina non si fosse fattascudo della benevolenza degli zii e della protezione autorevole di Giacomo.Quando poi i tempi incominciarono a diventare difficilifu Giacomo stesso checonsigliò la ragazza a cercarecome si diceun servizio e a mettersi in gradodi guadagnarsi la sua vita; ma l'idea che madamisellauscita dalla portaavesse a rientrare dalla finestrabastava a irritare le lische e i gomiti dellaLisa.

- Che cosa ha detto Fabrizio? - tornò a domandare Giacomosenza levare gli occhi dal bigliettoche aveva buttato sulla tavola. - Non haparlato di Celestina?.

- Che cosa doveva dire?- brontolò la sorellamovendosi dalcamino verso la cortedove versò il fondo sciacquato del calderotto neltrogoletto delle galline. - Quando si è degnata madamisella di far sapere cheè viva? qui si potrebbe morir tutti come canima orache non c'è piú dastare allegrimadamisella non sa piú nemmeno che ci siano le Fornaci.

- Tu sei sempre stata cosí dura con lei! - osservòtimidamente Giacomoal quale non era sfuggitoper dir il veroquesta insolitafreddezza di Celestina nei giorni della sventura. Quasi non ricordava d'averlaveduta ai funerali del povero pà.

- La gente si giudica nelle occasioni - seguitò il gendarmein gonnellaattraversando in fretta la cucina per collocare le sedie intornoalla tavola. - Tu hai sempre avuto nel cuore quella bellezza e non vedi che lebellezze; ma io dirò sempre chequando si è mangiato il pane di una casanonsi deve fare come i gatti...

Eavviandosi verso l'uscio della scalalanciò la sua vocedi pavone nel vano chiamando:

- O ma'venite a mangiare la minestra.

La vecchia Santinarimpicciolita e tozza dentro il suoscialletto di luttouscí dall'ombra e venne con passo malinconico a sedersi alsuo posto. La Lisa le pose davanti la scodellale riempí il bicchierelecollocò sui ginocchi il tovagliolorimproverandola con affetto rauco:

- Mangiate dunque. Credete che si possa vivere a forza dibiascicare corone? Giànon lo potete risuscitare quel benedetto uomoche infondo sta meglio lui di tutti noi. Mangiate e fate coraggio anche agli altri.

E con un lampo dell'occhio mostrò alla donna il contegnostanco e pensieroso di Giacomochecolle braccia appoggiate alla tavolaandava rimestando col cucchiale nel riso con nessuna voglia di mangiare.

- O Angiolin... - chiamò di nuovo la Lisafacendosisull'uscio della cortemandando nell'aria il suo grido di pavone selvatico. Ilragazzotto non si lasciò chiamare due volte. Preceduto da Blitzche scrollòin casa il freddo e l'odor della nebbiaAngiolino entrò nel suo succintovestito di lavoratoreche lasciava scoperta la pelle bianca del pettoe duebraccia non ancora mature. Egli prese di sulla tavola la piú capace dellescodellequella in cui la Lisa aveva piantato il cucchialecome si pianta unavanga in una terra lavoratae andò a sedersi sulla cassapanca accanto alcamino. Blitzdopo aver cercato inutilmente d'avere una buona grazia daGiacomoandò anche lui ad asciugarsi il pelo al fuoco.

- Piove? - domandò la Lisatogliendo da una vecchia cassaun gran fascio di rami secchiche buttò sulle braci. Dopo un gran fumareoscurola fiamma si alzò luminosa e grossa in mille lingue.

- Non ti ho predicato stamattina che avessi a metterti ilgiubboncino di lana? - rimproverò la Lisaalzando il mestolo della minestrasulla testa dell'Angiolinocome se volesse dargli una mazzolata. - Tu non saraicontento fin che non avrai pigliata una bella bronchite. Ce n'è tantad'allegria in questa casa!

- Credi ch'io fabbrichi i sorbetti alle Fornaci? - osservòAngiolinomettendo in vista i suoi bei denti sani e girando gli occhi chiari eridarelli. Seduto ritto su quella cassapanca di vecchio noce levigato (moltipoveri morti vi si erano strofinati appresso)sotto i bagliori d'oro dellafiammail giovinetto pareva un san Giovanninoche predicatranne la buonavoglia con cui prese a scavare nella scodella. Il suo appetito si risentivadelle prime frustate di freddo che soffia il Resegone per la valle dell'Adda.Giacomo si lasciò distrarre a contemplare la snella persona del ragazzoch'egli amava con protezione paterna. Poi gli disse:

- La Lisa ha ragione: non siamo piú nel mese di luglio.

- E Battista dov'è? - domandò la mammasvegliandosi dallasua dolorosa sonnolenza e girando gli occhi per cercarlo intorno alla solitatavola. - Sapeteho poco tempo da stare al mondoe vorrei vedervi riunitid'amore e d'accordo. Se potete contentarlo in qualche cosa quel figliuololuilavora volentieri. Che colpa ha luise il Signore non gli ha dato moltotalento?

Giacomo sentí tutta la sagacia di un rimprovero cosísempliceesenza alzar gli occhiposò e lasciò un pezzo una mano sulla manofredda e rattrappita della mamma. Il cuore deve sempre avere una ragione di piúsopra quelle degli avvocati. Non disse nulla Giacomoma la mamma capí quelsegno e si sforzò di trangugiare il suo mezzo bicchiere di vino.

La fiamma grande del camino riempiva tutta la stanza di unaluce colorita e mobileche faceva ballare le ombre delle sedie su per le paretie sul palco affumicatoevocando dagli angoli piú ripostidove non arrivavamai la luce del solei vecchi arnesi dimenticati da cinquant'annisu cuiGiacomo fin da ragazzetto soleva far molte fantasie e mille congetture.Dall'alto dell'armadioper esempioin mezzo a una rovina di oscuresuppellettili fuori d'usotra cui uno sgangherato arcolaio apriva le suebraccia come un immenso pipistrellospuntava il becco e il lungo collo d'unacicogna impagliatache il nonno Galdino aveva ammazzata collo schioppo sultetto della prima fornace. Intorno a questo raro uccellaccioche non si vedemai nei nostri paesicorrevano in casa molte storieche il pà solevaraccontare agli amici e ai figliuolidavanti a quello stesso caminodove sierano scaldate le ossa tre generazioni dei Lanzavecchia; talché nella fantasiaaffettuosa di Giacomo la cicogna dell'armadio stava quasi ad esprimere il buongenio della casal'amore che si sacrifica per l'amorela creatura alatachesi getta nelle fiamme dell'incendio per salvare le creature deboliche nonpossono volare...

Se egli avesse potuto ricondurre di nuovo la sua povera esconnessa famiglia a godere qualche giorno di contentezza intorno al vecchiocaminoa questo camino che nella costituzione delle cose nuove e nella rovinadi molte cose vecchie è una delle poche pietre immobiliche puntano sullaroccia stessa della naturaben avrebbe potuto paragonarsi alla cicogna chesalva i figli dalle fiamme. Il continuare una buona tradizione di onestà e dilavoro è già una filosofiache non ha bisogno d'essere scrittamoltomigliore di quellache va attaccando ragnatele tra il possibile e il probabile.L'idealeche un giorno potesse raccontare anche lui a' suoi figli la storiadella cicogna nella dolce vicinanza di Celestinaben valeva quell'altro idealech'egli stava fabbricando coll'inchiostro. Chi sachi sa che non giovi ancheper l'avvenire il ravvivare la fiamma del camino domestico col buttarvi dentroun po' di libri?

Il pensiero di Celestina in mezzo a questi vaghi pensierich'egli contemplava nella ridda dell'ombre scompostelo ricondusse a rileggereil biglietto della contessa: eall'idea che la ragazza fosse stata mandatalontano cosí improvvisamente (il biglietto non diceva nemmeno dove e pressochi)provò una torbida tristezza. Volendo cercare una ragione o una parolache calmasse il suo cuorechiese alla mamma:

- Celestina non vi ha mandato a dir nulla?

- Speravo bene che si lasciasse vedere uno di questi giorni- disse colla voce sonnolenta la donna.

- Fu un po' malata - soggiunse Giacomo per giustificarla.

- Ho paura che madamisella sia malata qui... - scappò dettoancora alla Lisache non cessò troppo presto dal picchiare coll'indice un pocopiú su del grembialedove essa supponeva d'avere il cuore.

Giacomo questa volta se ne offese. Buttò il cucchiale sullatavola con atto dispettososi alzò corrucciatoaccese alla fiamma del caminouna candelaesenza dir verboinfilò l'uscio della scalalasciando dietrodi sé un silenzio pieno di dolore e di sconforto...

- E mo' sei contenta?... - prese a gemere la mamma. - Quandoimparerai a moderare quella tua lingua? Ognuno ha i suoi difetti e non tocca ate a mortificare Giacomo in questi momenti. Se domani ci manca il suo aiutochici dà da mangiare? - Cosí la vecchiache però non riuscí a commuovere Lisala quale non si era mai pentita in vita sua d'essersi levato un peso dallostomaco.

Giacomotirandosi dietro gli uscisi chiuse nella suastanzuccia squallida ed esposta ai colpi del vento. Dopo aver collocato ilcandelliere di legno sul fascio delle scritture e delle stampeche riempivanocome una montagna il tavolinocercò di sollevarsicome sapeva fare qualchevoltacon un moto d'energia mentalenelle pure astrazioni del pensieroinquel mondo superioredove i rumori della terra non arrivanodove certamentenon poteva arrivare il rumore irritante delle zoccolette di sua sorella. Ma ognisforzo per entrare nel giro delle cose scritte e per scaldarsi in un pensierogenerale gli riuscí vano. Il suo spiritocome un'acqua in cui una frotta diragazzi avessero gettato dei sassinon aveva piú la limpidezza necessaria perriflettere l'immagine delle cose. I suoi nervi vibravano troppo. E fuori e incasa gli pareva di vedere tutta una congiura contro la sua pace e contro lapovera Celestina. Non solamente le sue intenzioni erano interpretate alrovescioma si sarebbe detto che il suo medesimo affetto per la giovine leportasse sfortuna. Ripensando all'ultima volta che l'aveva vista e alle ultimeparole dette da leigli sonò nel cuore un discorso assai tristecome seCelestina fosse persuasa per la prima volta che la loro affezione non potevapiú durare. E questa improvvisa partenza per luoghi ignoti chi assicurava chenon fosse un primo passo per rompere un legame apportatore di cattiva fortuna?S'era parlato una volta d'una vocazione d'andar monaca; e anche la contessa inqualche occasione aveva lasciato sfuggire parole misteriose di questo genere. Enemmeno quest'ultimo biglietto (ch'egli rileggeva per la quarta volta) spiegavabene una partenza che aveva tutta l'apparenza di una fuga. Già la genteprimaancora che egli fosse avvertito del fattocredeva di spiegarlo alla suamaniera...

Pensavaavvicinava supposizioni e sospettitenendo gliocchi fissi alla fiamma della candela. Una inquietudine spinosache gli entròin corpoun'afa caldache gli accese la testal'obbligò a cercare unadistrazione e una soffiata di refrigerio all'aria umida della notte. Aprí lafinestra.

Una pioggerella mormorava sui pergolati immersi nella scuraquiete della notte. Una tristezza desolantela tristezza forse delle cose chesonousciva dall'oscurità di quel fogliame depressoquasi avvilito dallapioggiache cominciava a correre e a gorgogliare nei canali. Il cielo erachiuso.

Non vedendo ove fissare il pensierochiuse con rumore lafinestrae con un atto risoluto del voleretornò al tavolino a metter le manisulle bozze di stampaincoraggiando mentalmente il suo spirito titubante. Nonera la prima volta che il suo temperamento delicatamente nervoso e cautosoffriva di spauracchi vaniche un raggio di sole o una parola amica solevanodissipare come per incanto. Poiché si conoscevaamava dominare sé stessocome se il pensiero di un altro Giacomo lo guardasse dall'alto. Dalla contessavoleva andare coll'animo serenosgombroquasi purificato da tutte le chiazzedi fangoche vi avevano gettato i pettegolezzi della gente. Il suo affetto perCelestina non era bastato a salvar lui e una signora degnissima di tantorispettodai pettegolezzi e dalle maligne supposizioni degli ubbriachi... Nonsi dicevatra le altre cosech'egli era l'amante della contessa? Egli dovevacolla sua schiettezza dissipare queste voci.

Coll'occhio fisso al lucignoloche si allungava nellafiammaavrebbe voluto percorrere gli spazi liberi della dottrina; ma l'animoinvece andava a intricarsi con una specie di malsana energia in mezzo ai viluppidella vita piccinaquasi per un gusto fanatico di tormentarsi. Tratto tratto siscoteva dalla sua fissazioneripassava colla penna bagnata sulle parolestampateche avevano avuto un gran senso una voltae ora non l'avevano piúone mettevano fuori uno tutto diversoche sonava quasi come una canzonatura. Inun certo puntodove il libro parlava della solidarietàtrovava d'averescritta questa sentenza: «L'esperienza ci dimostra che un sentimento attivo dipietà lega gli uomini tra loro. È questa pietà che forma il profumo specialedell'anima umana. Essa è quanto di piú divino si agita in noi».

Non poté trattenere un sorriso di compassione verso séstesso nel rileggere queste grandi parole:

«Vavaminchionea cercare il profumo dell'animaall'avvocato Brognòlicoall'ex impresario della Rivaltaall'oste dellaFraschettaal mugnaio del Lavelloa questa cara mia sorellache taglierebbeil ferro colla linguaa quell'asinaccio ubbriacoche dorme sul fienile...»

L'immagine di Battistaevocata in coda a questa nobileprocessione di animegli richiamò alla mente una promessache aveva fatto incuor suo poco fa a tavola alla mamma. Se l'asinaccio restava a dormire sulfienile aperto ai quattro ventiin una notte cosí freddac'era pericolo ditrovarlo morto intirizzito. Questo pensiero cacciò via tutti gli altri. Simosseprese il lume e spinse l'uscio; ma rifletté che a persuadere Battista ascendere dal fienilese lui non volevanon sarebbero bastati i sette savidell'antica Grecia; né egli da solo era uomo da prenderselo in ispalla eportarlo fuori. Tornò indietrotolse dal letto un coltrone di lanache lamamma aveva aggiunto alle coperte a difesa dei primi freddise lo buttò inispallacome una togae passando sulla punta de' piedi davanti agli usci delledonnescese in cucina.

La casa era tutta chiusa e quieta. Aprí adagino l'usciodell'ortoattraversò il cortile della scuderiatirandosi sotto la gronda perdifendersi dalla pioggia che batteva sulle pietree giunto ai piedi delfienileprovò a chiamare:

- Battista!

Nessuno dette segno di vita. Allora provò a salire la scalaa piuoli ch'era líappoggiata al muroe quando fu in cimafacendo schermodella mano alla fiamma contro i buffi del ventocercò di mandar la lucenell'interno del fienile. Vide Battista raggomitolato nel fienoimmerso nelsonno più profondo. Con precauzione agganciò il lume a una trave epasseggiando nel fieno secco e cedevole che parve animarsi di millescintilluzzes'inoltrò sotto le ruvide travi del tetto fin dove russava collabocca aperta il suo tenero fratello. Appressò col piede alcune zolle al corpoin modo da fargli un po' sponda e buttò sull'addormentato il coltrone.

- Che il vino ti mandi un bel sogno - mormorò nel tornareindietro. E stava per rimettere il piede sulla scalaquando un non so che dibiancouna cartacaduta in mezzo allo stramerichiamò la sua attenzione. Siabbassò e raccolse una letterache portava l'indirizzo dell'egregio avvocatoGenesio Brognòlico. La lettera era apertadi vecchia datagià consumata eimpregnata d'un forte odore di pipa.

Quando Giacomo fu di nuovo disceso sotto il portichettononcredette di commettere un'indiscrezionese volle conoscere in quali mani eracaduto Battista e con quali armi intendevano di fargli guerra i signoriavvocati. Chi scriveva al Brognòlico era l'avvocato Brescianella di Meratechein poche righe d'una scrittura ingrossata dalla polvere sparsavi sopra dicevaall'egregio collega:

«Caro amicose credi che il Lanzavecchia Giacomo possapagaresarebbe meglio trattar direttamente con lui. Questo tuo raccomandato mipare un salame. Se l'altro non ama scandalicome mi dici nell'ultima tuatantomeglio; verrà piú presto a una transazione. Ma intanto chi paga le spese e leanticipazioni?...»

- Ecco il profumo delle anime! - disse Giacomoaccostando ildelicato biglietto al nasoquasi per aspirarne l'essenza. Come mai questalettera fosse rimasta a fermentare nella giacca di Battista non si potevaspiegarese non immaginando che l'avvocato di Merate si fosse servito di luicome di procaccioe checolla diffidenza propria dei poveri di spiritoBattistaprima di consegnarlaavesse mostrato il foglio a qualche comparecapace di decifrarlo.

Comunque fosse andata la cosasi vedeva qua sotto un altrointrigo di quel democraticone di Brognòlicochenon volendo dichiarar guerraaperta a un amico troppo vicinolo facevacol sistema dei francesicombatterenelle colonie.

- Che cosa intende dire colla frase: se l'altro non ama gliscandali? E perché devo accettare una transazione? e con quali fondi dovròpagare questi bravi signoriche mi fanno l'onore di occuparsi de' fatti miei?

Queste frasi disse fra sé e ripeté piú voltesoffermandosi sugli scalinimentre ritornava nella sua stanza; ma non trovòche valesse la pena di andare in collera.

- Ne parleremo domattina... - conchiuse tra séemessosi alettocercò d'afferrare il sonno; ma non fece che voltarsi e rivoltarsi nellecoltriadirandosi con sé stessoche non sapeva con un atto di volontàsuperiore liberarsi dai continui pensieri. Finalmente sul far dell'avemariarotto dalla fatica mentalesi appisolò in un sonnoche continuò in una ciecasofferenza. Quando saltò dal letto la mattinaprima ancora d'infilare lagiacca e d'accendere peppinettasedette al tavolinoprese di primoimpeto la penna in manoesenza aspettare i consigli della solita prudenzacolla furia di un Bonaparteche segna sul tamburo un bollettino di guerrascrisse d'un fiato:

 

«Le restituiscosignor avvocatouna lettera che Leappartienee colgo l'occasione per dirle che i Lanzavecchia non hanno denariné per coprire gli scandaliné per comperare coscienze d'avvocati. Le auguroche i sentimenti di liberalismo democraticodi cui Ella fa insegna allabottegaabbiano a suggerirle un maggior rispettose non per la dignitàaltruialmeno per il titolo che porta. Con immensa compassione mi sottoscrivo.

prof. Giacomo Lanzavecchia.»

 

Chiuse le due lettere in una busta gialla come la rabbia emandò a chiamare un ragazzetto della fornace.

- Porta subito all'avvocatosai? quel pallone gonfio che stain piazza sopra la drogheria. CorriPaolino! - Efregandosi le manicome seavesse vinto un terno: - Cosícosí... - andava ripetendomentre passeggiavain preda a un'insolita spavalderia- cosí impareranno a conoscermie se ilsor avvocato vorrà il restoglielo sapremo daresenza bisogno di cartebollate e di anticipazioni. Glielo daremo tutto in una volta. Forse son miseriee pettegolezzi indegni d'un filosofo; ma anche ai filosofi dànno noia leragnatele. Un buon colpo di scopa di tanto in tanto fa bene alla casa.

 

 

XVI

 

 

LA GRANDE BATTAGLIA

 

 

Per tutta la mattina si agitò e si tenne vivo in questipensieri di ribellioneche gli mettevano indosso una forza fin troppo calda edesasperata. Cercò di distrarsi in cento occupazioncelle materiali per farvenire l'ora d'andare dalla contessa. Qualunque fosse per essere lo scopo el'intonazione del colloquioaspettava e nello stesso tempo gli pareva di temerequest'incontromolto piú chesenza metterla a parte di indegni pettegolezzidoveva pur provocare da lei qualche provvedimentoche collocasse Celestina alcoperto d'ogni mormorazione. Forse era prudenza togliere la fanciulla dalla casadi quei signorie tenersela vicina per dar qualche soddisfazione ai maldicenti.Dopo la morte del povero pàegli aveva assunto verso la povera ragazza deidoveri maggioriquasi di padre e di tutore; e per quanto la nuova risoluzionepotesse dispiacere a donna Cristinaegli non poteva assolutamente lasciareesposta una debole creatura alle calunnie del mondo.

Parendogli che il tempo passasse troppo adagio in mezzo aquesti pensieri e a questi dibattitiper distrarsi con qualche operazione unpo' complicata trasse dalla rimessa l'antica timonella e si pose all'operafaticosa di ripulirne le ruotedi liberarne l'ossatura dalla ruggine e dalfangolavòstrofinò con una spugnadipinse con un pennello i cerchioniimozzile cigneversò dell'olio nelle addolorate giunture della logoracarcassain cui pareva riassuntacome in una immagine visibile e sconnessalastoria della sua famigliae quando finalmente sentí sonare le tre alcampanilesalí in camera a vestirsi. Nell'uscir di casa s'imbatté nellamammache tornava dall'orto con una gallinetta nel grembiale e disse: - Vadodalla contessa a sentir di Celestina; torno subito...

- Dio benedica quei signorise posson fare del bene a lei ea te... - soggiunse la Santinaspingendo l'uscio della casamentre Giacomo siavviava lesto per la strada del Ronchetto. Ai piedi della salitas'incontrònel ragazzettoche aveva portata la lettera all'avvocato.

- Gliel'hai consegnata a luiPaolino?

- Sístava bevendo il caffè!

- Bravo Paolinoto' - e mise nelle mani del ragazzo unsoldone. - Io gli ho mandato a tempo lo zucchero - soggiunse ridendorallegrandosi con sémentre varcava il cancello del giardino.

Nel risalire pel noto viale dei carpinigià seminato difoglie umide e mortegià coperto della melanconia dell'autunnoprovò unpresentimento inesplicabile di sgomentocome se qualche cosa si offuscassesidistaccasse e morisse anche in lui. Mai aveva sentito con tanta pietà latristezza dell'autunno morente e delle foglie che cadono! Sul punto diraggiungere la soglia della casatutti i pensieri della sera prima e dellanotte mal dormita si affollarono nel suo capo in un miscuglio confusoche feceun breve intoppo alla sua fermezza. Un velo di nebbia scese ad oscurargli gliocchi; ma fu un'impressione momentaneada cui uscí animosamente. Nel passaredavanti alla finestra della bibliotecavide al di là dei rami squallidi dellaglicina la figura vagolante di don Lorenzoche vestito della sua zimarra rossacol berrettino d'astracan in testafrugava tra le carte e i libri; eper unasuccessione ruvida e scortese di ideegli sonò nell'orecchio una frase volgaredel Brandati a proposito dei mariti vecchi e del fervore delle beghine.

Fabrizioche stava di sentinella sotto l'atriodell'ingressogli venne incontro col suo passo umile e strisciantegli fe' uncenno colla manolo tirò in disparte:

- La signora contessa - disse sottovoce - prega il signorGiacomo di andare di sopra. È alquanto indisposta e le sale son cosí fredde...

Il vecchio servitoreandò avantiprecedendo Giacomononper lo scalonema per una piccola scala secondariache riuscivadopo duepianerottoliin un andito semibuioda dove partivano due lunghi corridoi sulfar d'un convento. Per quanto pratico della casaGiacomo non si ricordavad'esser passato mai da questa parteche era la meno bene esposta e la piúlontana dalle stanze abitate. Nei tempi andati vi alloggiavano i pellegrini e ifrati di passaggiotanto che al quartiere era rimasto il nome di Cappuccina.

- Si accomodi - disse il servitorespingendo un usciodissimulato nel muro; e introdusse Giacomo in un salotto addobbato con freddaeleganzasecondo lo stile detto imperialecon mobili bianchi e freddicarichid'ornamenti d'oroche spiccavano sul verde cavolo delle stoffe di cui erancoperte le pareti e le sedie.

Giacomoquando si trovò solo co' suoi pensiericercò dioccuparsi delle cose. La finestraspoglia affatto d'ogni genere di tendedavaimmediatamente sul frascame ombroso d'una grande magnoliache riverberava ilsuo verde umido e lucente nell'aria verde di quel salottinogià smorto dicolori bassi e squallidi. Sul caminetto di marmo gelido e liscio dominava in uncomposto raccoglimento il gruppo rimpicciolito delle Grazie del Canovain mezzoa due tripodi pure di bronzoimitazione del greco antico. Un basso canapèrasente una paretea sponde rigidecon piedi di bronzofreddo e liscioanch'esso come un letto di marmoera il principale mobile della stanzatra dueseggioloni irrigiditi nello stesso stileche da cinquant'anni forse nonaspettavano piú nessuno. Freddo era il silenzio stesso dell'ora in quell'angolodi tramontanache aveva fama di umido e di poco sano.

Rimasto soloGiacomo si abbandonò alla timida emozionecheviene da tutto ciò che non si capisce. Perché questo ricevimento clandestino?Che la contessa avesse veramente qualche brutta notizia a dargli?

Fermo nel mezzo della stanzacolla mano appoggiata allaspalliera d'una seggiolache pareva un piccolo tronoseguí il fruscio lentodelle scarpe di feltro di Fabrizioche gli era parso preoccupatosentíbattere a un uscioraccolse l'onda morta d'una voce che usciva dalle stanzeinterne; e Dio sa perché i polsi e il cuore cominciarono a batteredolorosamente.

Sentendo che l'insulsa emozione montava quasi a soffocarlomosse qualche passo e si curvò a osservare in uno stipo una piccola raccolta dimonete classiche. Non vide la contessaquando entròma ne sentí la presenza.

- Contessa - dissevolgendosi verso di lei: e rimase quasiatterrito alla vista del pallore terreoall'espressione spaventata del suosguardo. Sentendosi veramente un poco febbricitantela signora non era discesadal letto che per venire a questo colloquioche non poteva piú essereritardato. La sua personaavvolta in una vestaglia floscia di flanellaspiccava sul fondo verdognolo delle pareticome una statua nelle pieghe pesantidel marmo. E qualche cosa di veramente marmoreo era pure nella trasparenza delvolto dimagrato e raffinato dall'insonniedalla febbredall'angoscia morale.Giacomo che non la vedeva da quindici giornifu quasi per dubitare che fosselei.

- Scusi se la ricevo cosí - essa cominciò a direaccennando alla semplicità del suo vestire.

- Contessache cosa è accaduto? - chiese il giovaneLanzavecchiaprevenendola.

- O Giacomoo il nostro povero Giacomol - riprese la signoracon un tono quasi delirantecoprendosi il volto colle due mani erimpicciolendosi davanti a lui.

- Che cosa? - fece egliandandole incontro con impeto earrestandosi davanti alla personache tremava tutta: - Che cosa? - ripeté dopoun momento con voce torbida e mancante.

La contessacome se si sciogliesse a un tratto da un'orridarete di ferroscosse la testaalzò il visoposò le mani sulle spalle delgiovinemosse le labbra sotto lo sforzo vano di voler parlarenon potèleforze l'abbandonarono ecome un corpo che si sfasciacadde sui ginocchi.

- Contessache cosa c'è? - ripeté quasi per forzad'inerzia il giovinevacillando un poco egli stessomentre una visioneterribilespaventevole come la mortebalenava nella oscurità della sua mente.

- Una grandeuna irreparabile disgrazia per meper leipovero Giacomoper tutti - confessò singhiozzando la signoracercando difarsi ancora piú poca nella sua umiliazione.

- Si alzisignora... - balbettò Giacomo tutto smarrito: epoiché essa non dava segno di volersi muovereeglimettendole rispettosamenteuna mano sotto il bracciocercò di sollevarla; ma la poverettaprostrandosiancor di piú in una specie di sfinimento fisicosino a toccare la terra collafronte: - Punite meschiacciate me... - singhiozzò di nuovo con voce rotta eagonizzante.

Giacomo ebbe per via occulta la chiara rivelazione di tuttala veritàdella crudele veritàche già aveva brutalmente bussato al suouscio.

- Celestina? - domandò con una collera violenta edaggressiva: né mai interrogazione alcuna fu piú piena della sua risposta. Sisarebbe detto che egli interrogasse non per avvicinarema per respingere lamostruosa veritàche lo assaliva da tutte le parti.

- Calpestatemi! - sospirò la povera madre.

- Celestina?! - riprese dopo un cupo silenziocercando ditrattenere la voce - nonon è veronon è possibile. Noi c'inganniamo avicenda. Non può esser vero quel che va dicendo la gente. Non mi facciasoffrire cosí. Si alzisignorasono un uomoso portare ogni male. Si alzimi usi questa caritàdica che io m'inganno.

Mentre andava cosí parlandocol cuore ghermito come dentrouna mano di ferropoté sollevare donna Cristina dalla sua posizione umilianteesorreggendola in un momento in cui parve che le forze stessero perabbandonarlala condusse a sedere sul canapè: e nella coraggiosa dimestichezzadegli istanti supremiquando non restano che le anime nude a soffrireleafferrò le maniche essa si era portate al visogliele distaccò con forzaper cercare la fatale risposta nel fondo degli occhi. Essa sostenne unbrevissimo istante il suo sguardo investigatore e tagliente: poicedendoavvilitachiuse lentamente gli occhi in una dolorosa agonia. Fu allora cheriassumendo in un nome la formidabile tragedia: - Giacinto? - chiese luiestrinse nelle sue irritate le piccole mani della contessache gemette didolore. Essa rialzò gli occhi e li fissò con lento e pauroso stupore in visoal giovineche l'ammaliava co' suoi. Fu un momento di tragico incanto. Giacomovide balenare nelle pupille della madre una luce di spasimo immensoche sispense in una piccola lagrima di supplicazione. - Ah Dio! - gemette: edistaccandosi inorriditola respinse cosí brutalmente che la misera donnacadde per la violenza dell'urto col viso sui cuscinidove non trattenne piúnessuna voce di pianto. Il gran momento prevedutoritardatotemuto e invocatocon raccapriccio e con ansioso desiderioera venuto; ora essa lasciava chetutti i dolori passassero sopra di lei. Si sarebbe detto che tutta la sua vitadi donnadi madredi cristianasi rompesse sotto la frenesia di quel piantoche stemperava l'animache non voleva riposo.

E Giacomo? era per lui una tenebra fittaun rumor sordosotto i piedi come di terremotoun senso acre e un peso di piombo in tutta lasua oscura esistenza.

A questo fiotto di doloridi terroria questo precipizioimprovviso di malinon resse: e si lasciò cadere pesantemente nella vicinasediaa cui si aggrappòcòlto da un tremitoda una fisica incapacità direagire. A poco a pocopassata la prima tumultuosa tempestaquando gli spiriticominciarono a calmarsisi trovarono l'uno in faccia all'altrasfiniticomedue miseri flagellati.

Fu allora che Giacomoseguendo la violenza del pensierosialzòe agitando le mani con un movimento di spasimocon parole che gliuscirono velate e scialbecome se venissero da un uomo sepolto- Signora! -disse - non posso piú resistere. Qualunque sia la mia disgrazia... aspettoprima di sera una sua lettera... Farò di tuttoperché entro domani le siarestituito il prezzo del disonore...

Non aveva egli ancor finito di parlare che donna Cristinascattando per una trafitta interioresostenuta dalla forza prodigiosache lanatura femminile attinge da inesauribili profonditàgli pose una mano sullabocca. Poi colle due maniche ardevano di febbregli strinse la testaelasciando sgorgare dal sentimento mite e forte le parole come volevano venirenel tono confidenzialeche aveva usato con lui quando era un giovinettosenzala freddezza del pronome signorile: - NoGiacomonon dite queste brutteparole... - seguitò amaramente - merito ogni oltraggionon questo. Nessunocrederà mai che noi vogliamo comperare il vostro perdono... Non maledite aquesto modo una povera madre. È la mia casa che rovina sulla mia testaguardate! Il conte non sa ancor nullanon immagina nemmeno quel che ci fapiangerema sarà un gran colpo il giorno che non gli si potrà piú nasconderela verità. Pensateson la madre di Enrichettadella vostra Enrichettachenon deve sapere come si soffre e perché si soffre a questo modo. Se potessidare tutto il mio sangueperché non fosse avvenuto quel che è avvenutofinoall'ultima gocciaGesú lo sa se ne farei il sacrificio. Nemmeno il vostrodoloreGiacomoè uguale al mio... nononemmeno il vostro dolore!

Nulla c'è di piú sacro sulla terra quanto un'angoscia dimadre. Il giovineche avrebbe voluto riprendere il suo risentimento e stringerein una parola d'esecrazione tutti i pensieri d'odio che gli tumultuavano nelcuoresi sentíse non disarmatomolto impedito ne' suoi movimenti diviolenza da queste parole.

Perché avrebbe infierito contro una donnacontro una madreche si era già umiliata piú di quanto a un cuore generoso piace di vederumiliato un nemico?

Questo momento di esitanza bastò alla contessa perimpadronirsi della fortezza di luiperché pare dimostrato chedove contrastaper un qualunque motivo un uomo con una donnal'uomo perde semprese non vincesubito. Giacomoa cui non era ignota la storia della povera signoracheconosceva quanto avesse combattuto per sostenere l'ideale della sua casanonseppe respingere con un atto di reazione brutale la seduzione dolente di questavocedi queste lacrimedi questi occhi supplichevolidi questa percossabellezzaa cui le mani del dolore davano una cosí nobile e appassionatascompostezza. Come poteva dimenticare a un tratto che in questa casa erasipuò direcresciuto come un figliuoloe che a questa gente era in gran partedebitore della sua ricchezza morale?

Sentendo in quest'urto di pensiero le piú forti risoluzionivenir menosi avvilí del tutto. Una leggera vertigine lo colsecominciò atremare in tutto il corpol'occhio si coprí d'ombre per un istante rimaseignoto a séforse svenuto. Un vivo senso di freschezza alla fronte e un forteprofumo lo svegliò. Donna Cristinamentre sorreggeva la testapassava unfinissimo fazzoletto inzuppato un'acuta essenza sulla frontesussurrandoparolech'egli non riusciva ad afferrarecome avviene qualche volta nei sogni.A poco pocoriconobbe il salottinoche gli parve immerso in un'acquaverdognolacome se ei sognasse veramente in un fondo di mare; riconobbe lacontessacheseduta davantigli raccontava con brividi di febbre latristissima storia d'una colpa. Celestina era innocente e il voler incrudelirecontro di lei sarebbe stato peggio che calpestare una vittima. Ogni atto diseveritàogni parola acerba di rimproverolo stesso abbandono silenziososarebbe stato da parte di Giacomo un colpo mortale per la povera creatura. - Ilmale è grande - seguitava a ripetere la voceche egli stentava ad afferrarecome appunto capita nei sogni - ma da ogni male si può ricavare una redenzione.Vendicatevidice il diritto volgare; perdonatedice la legge del Signore. Unavendetta contro di noi è una cosa assai facile: ma voi esporreste Celestina algiudizio della gente. Non imploro per me e meno ancora per il disgraziatocheci ha precipitati in questo abisso: maprima di lanciare una pietrasi pensi aquanti cuori ne andrebbero spezzati. Forse che Dio non ci perdonerebbese glichiedessimo grazia con queste lacrime? Celestina per il momento è al riparo diogni scandaloe quanto si potrà umanamente riparare sarà riparato.

- Non si risuscita un uomo ucciso... - interruppe Giacomostendendo i pugni verso la terracome se provocasse una maledizione: - DioDioè il disonoreè il ridicoloè la morte: avete sputato sull'innocenzad'una povera creaturasulla mia dignitàsulla mia virtúsul nostro amore...

- NonoGiacomo - supplicò la contessa.

- Nonono - proruppe egli piú fortealzandosiin predaa un singhiozzare nervoso. E poiché la contessa cercava con un'ultimainsistenza di afferrargli la manoegli se la cacciò con un gesto disperatodentro i capellie premendo con spasimola fronte corrugata: - Questo èl'inferno- disse - questa è la maledizione di Dio! MaDio santoqualcunopagherà!... - E si mosse per usciredopo aver preso di sulla sedia ilcappello.

Donna Cristina fece un ultimo sforzo. Stese le braccia versodi luimormorando con una scossa dolente del capo:

- Giacomonoi vi abbiamo sempre voluto bene - e pose la manosulla chiavequasi per impedire che egli la lasciasse cosí.

- Qualcuno pagherà col sangue - ruggí l'uomo feritomentrecercava di aprire; e colla furia di chi invoca uno scampo contro le fiamme chelo inseguonotirò l'uscioandò fuori: etrovata nell'andito oscuro lascalettascese a precipizioa lume d'istintouscí a precipizio dall'atriopigliando a scendere pel viale della fontana tutto giallo di fogliesenzavedere davanti a sé che una nuvola di nebbiada cui non riusciva a liberare ilcapo. Valicata la soglia del giardinoentrò in una vignae poi da questavigna in un bosco di castagniche viene a cadere quasi sulla chiesa delSantuarioe sempre a corsa discese il dosso del Ronchetto fin sulla stradacomunaleche traversò per entrare in altre boscaglie piú basse e piú fittesempre nella direzione del fiume. Cosí una fiera ferita cerca i cespugli e va ainasprire nei rovi la piaga che sanguinama temearrestandosidi sentire piúvivo il suo dolore. Seguendo la stradicciuola che costeggia il corso dell'acquaora per luoghi aridiora per campi di stoppiaora tra vecchie paludidisseccatedove i canneti e le scope contrastano il terreno alle alluvioniegli andava cercando il deserto per poter mandare il suo grido di doloreungran gridochenon potendo uscirgli dalla strozzaminacciava di soffocarlo.

La verità turpesguaiatagli si avventava contro conimpeti improvvisilo mordevafacendogli provare orribili straziquantunque ilcaso gli paresse cosí inverosimile da far pensare piuttosto a un delirioangoscioso e crudele.

Che Celestina fosse perduta per lui e perduta in quel modonefandoera un pensiero atroceche spingeva l'animo a propositi atroci: maquando gli si presentava l'idea che in compenso di questo delittoegli avevaallegramente accettato e speso un denaro che non era piú in grado direstituire: quando ricordava i commenti che la gente da un pezzo andavaripetendo alle sue spalleerano lampi di vera follia che luccicavano nel suocervello.

I vilii bigotti avevano voluto ipotecare la sua coscienza!

I vilii bigotti volevano pagare a denaro il prezzo di duevite!

Ignominiosa bindoleria! esecrato delitto!

A quest'infamia non c'era che una riparazione possibile: lalama di un coltello nel cuore dell'assassinoo nel proprio cuore. Ohdistruzione di ogni illusione! oh rovina d'ogni ideale! Aveva cercato l'uomomorale e non trovava che la belva!

Che farne di Celestina? come proteggerla contro i morsi delmondo? come purificare o almeno giustificare la sua condotta d'uomo pagato? Dovetrovare credito e stima e un denaro meno infame per riscattare sé stesso daquesta schiavitú? Se egli avesse potuto fare un gran rogo di tutta la sua casae se in questo rogo avesse potuto gettare sé stessonon gli pareva ancorasufficiente olocausto per redimersi da questo cumulo d'ingiustizie e di offeseche l'opprimevano. Anche dalle ceneri delle sue ossa sarebbe uscita abbastanzavergogna per far ridere un Brognòlico.

Da qualunque parte si voltassesi sentiva respintocome seagitasse in una gabbia irta di punte. A impeti d'odio e di vendetta mescolavansialtre immagini piú miti che avevano nella loro desolazione la forzad'arrestarlo sul sentiero.

Alla sua povera mamma non poteva dire: andiamo viami hannoassassinato. Egli non aveva il diritto di affamare dei poveri innocenti. O Diocome mai era potuto venire in questo abisso di mali? In qual parte del mondo eraegli vissuto finoraper non accorgersi di questa enorme e grottescacanzonaturaa cui aveva dato fin qui il nome pomposo di ideale filosofico?

A che cosa aveva giovato a lui l'aver studiato tanto neilibril'esser vissuto onestamente poverocastamente fedele a una dolceimmaginese all'uomo sapiente e virtuoso non era riservata che una corona dispine e una finale fischiata?

Inseguitosferzato da questi furoridopo aver percorso inun vacillamento da sonnambulo forse due miglia nel ghiaieto del fiumetrovatoun luogo cespuglioso in mezzo a morti stagnidove era sicuro che nessun occhioumano poteva rattristarsi della sua vistasi lasciò stramazzare sulla sabbiache per voglia di mordere strinse nelle unghie e portò rabbiosamente allabocca. Non aveva piú lagrime negli occhima se le sentiva piovere sul cuore.

Il patimento moralefondendosi col patimento fisico in ununico spasimoprodusse un lungo e doloroso singhiozzoin cui gli parve che sirompesse tutta la compagine della sua vita. Un'onda amara e verde di salivarigurgitò e traboccò in un fiotto spumoso dalla boccamentre i sudori freddiscorrevano a irrigidire la sua carne.

Rimase cosí come morto tutta la notte. Fu un sabbionaio chescendendo sul fare dell'alba con un carro a prendere materiale al fiumevidequel corpo intirizzito e umido di guazza. Riconosciuto el sor Giacomloprese sul carro e lo portò alle Fornaci.

 

 

 

PARTE SECONDA

 

I

 

I PADRI E I FIGLI

 

Don Lorenzo si sarebbe lasciato tagliare una gamba piuttostoche introdurrecome sappiamoin una epigrafe la parola fornaciaiounaparolaccia che fa rima con merciaioformicaioletamaio; mad'altra partenonsapeva capacitarsi come il canonico Ostinellia cui aveva mandata per un'ultimaapprovazione l'iscrizione sul povero Maurotrovasse a ridire sulla vocelaterizioche non è poi un latinismo della Valle Brembana! C'è o non c'è inPlinio? Non che egli fosse contento in tutto e da per tutto delle quattro righeche aveva consacrato al buon vicino delle Fornaci; c'era anche per lui inquell'iscrizione qualche cosa che non finiva di finirgli. Là dove dicevaperesempio: «A Mauro Lanzavecchia dell'arte laterizia maestro industre»quell'estroustredava al suo orecchio un certo suono di banda campestrecheurtava la tromba d'Eustachio. Si sarebbe potuto girare la locuzione e di dire inaltro modo: «Qui i resti mortali posano di Mauro Lanzavecchia che nell'artecalcaria fu per dieci lustri operoso maestro»

- È vero che le sue ultime tegole non hanno impeditol'anno scorso che si bagnasse tutto il nostro frumento; ma. questo non si puòdire in epigrafe. Mauro era veramente un buon diavoloun po' rumorosooperosoe rumoroso maestro...

Il conteche si rallegrava facilmente e volontieri in questavalle di lagrimepurché il cuoco non gli guastasse un piattorideva tuttosolo nel suo studio luminosoparlava con sé stessomovendosi in mezzo ailibricome il pesce si muove nell'acqua chiara e trasparente del fiume in cuiè natocercando che la stanza fosse né troppo caldané troppo freddaascoltando il suo stomacolitigando spesso per lettera con quel benedettocanonico Ostinelliun manzoniano spiritatoche trovava (bontà e coraggio suo)fiori di lingua perfino nei «Promessi Sposi».

In fondo non era malcontento che la non grave malattia dellacontessa gli offrisse una ragione sufficiente per rimanere senza inquietudinieccessive un paio di settimane di piú al suo Ronchettoal suo Tusculo. Laregola ormai secolare di casa Magnenzio voleva che non si restasse in campagnamai piú tardi del San Martinovale a dire non mai dopo la riscossione degliaffitti e l'aggiustamento dei conti coi mezzadri. Cogli ultimi di novembredunque la famiglia doveva ritornare regolarmente a Cremona nel gran carrozzonedella nebbiacosí dettoperché pareva agli abitanti della contrada che conesso viaggiasse l'inverno. Don Lorenzo non s'era mai potuto abituare a quelladiavoleria scatenata del vaporee preferiva andar nella sua carrozza e co' suoicavalliche si possono fermare quando si crede. Siccome per la stessa leggefisica e filosofica delle cosequando non c'è una ragione piú forte chespinga a far diversola necessità naturale vuole che si continui a far quelche si è sempre fattocosí non era accaduto mainei cinquantanove annidacché don Lorenzo era venuto al mondoch'egli vedesse la neve cadere sullepiante del Ronchetto. Grazie alla piccola febbre reumatica di Cristinacheaveva permesso di fare uno strappo alle abitudinigli era stato concesso anchequesto nuovo spettacolo di una bella nevicata sulle piante del giardinoe se logodeva tuttostando dietro le doppie vetriate della finestracoi piedi nellepantofole di pelocon in testa un berrettone cosaccoche faceva comparire piúgrossa la testa e piú piccina e piú pallida la sua buona faccia di argutopedante. Meno d'una volta ora sentiva il desiderio di tornare in città.Quantunque vivesse nel suo guscio come una lumaca e non amasse mescolarsi nellebeghe amministrative e politichefino a rifiutare l'onore di essere fabbricieredel duomotuttavia non poteva impedire che il rumore delle agitazionicittadinedei conciliaboli politicidelle lotte elettorali non arrivassequalche volta fin sulla sua tavola insieme al formaggio e agli amaretti.

Da qualche tempoin seguito a un'attiva propagandarepubblicana e anticlericaleandavano díffondendosi nel cremonesespecialmente nel basso popolole idee del piú scamiciato socialismoper nondire dell'anarchia addiritturache avrebbero trascinata la società aglieccessi del famoso Terrorequando si segavano le teste come gambi di trifoglio.

Quantunque don Lorenzo non arrivasse fino al punto di vederin pericolo la sua cucuzzasi capisce tuttavia che un uomo pauroso come luisedesse mal volentieri sulla mina e sognasse l'idillio di ritirarsi un belgiorno al Ronchetto a rileggere il suo Guicciardini e le prose del suo Giordanil'ultimo degli scrittori veramente italiani. Ora che Giacomo Lanzavecchia avevaaccettato di metter le mani nelle sue schede epigrafiche e gli toglieva ilfastidio della fatica materialeil conte sognava di lasciare a' suoi figli unmonumento storicoche testimoniasse ai posteri come equalmente un certo conteLorenzo Magnenzio di Villaltadel decimonono secolonon fosse un merlo deltutto. E come una leccorniasi riserbava l'unica e dolce fatica di premettereil suo gran «Discorso preliminare sugli Uffizj della Nobiltà delpresente tempo» che doveva essere il suo testamento morale e stilisticoal quale pensava già con una specie di febbre indosso. La vecchia aristocraziaitalianaspecie quella del secolo scorsodella quale egli si sentivamoralmente contemporaneoaveva lasciata una gloriosa tradizione di colturadiamore agli studidi buon gusto nelle lettere e nelle articome dimostrano inomi dei Verridi un Beccariadi un Alfieridi un conte Gozzidi un marcheseSpolverinil'autore di quel gioiello didascalico intitolato la «Coltivazionedel riso»... Oggi invece- diceva qualche volta con un senso di rammaricoa pestar tutti i nostri nobili insieme in un mortaionon cavate il sugo percondire un sonetto. Le vecchie e illustri biblioteche sono in bocca ai sorci onelle mani dei rigattieri; i preziosi archivi se li mangiano le tarme; leraccolte dei quadri di valore se li portano via i sarti e i dentisti arricchiti;e cosí il basso popolo si abitua a non stimarci piùci considera come natisolamente fruges consumereaspettando il momento di portarsi via collaforza quel che non abbiamo ancora perduto colla pigrizia. Brutti tempi! ma nevedremo di piú brutti: e quando diremo «mea culpamea maxima culpa»non cisarà piú nessuno dei nostri in grado di dettare sul nostro sepolcro unaiscrizione passabile... - Queste erano le ideedirò cosíin camiciachedovevano entrare vestite e decorate nel gran «Discorso preliminare» pelquale andava facendo spogli di lingua dal Davanzatidal Machiavelli edall'aureo libretto della «Vita civile» del Palmieri; e passeggiandonelle sue pantofolementre risaliva col pensiero alla grandezza politicadell'aristocrazia romana e venetagli pareva di diventar grande anche lui e disentirsi lo stomaco riscaldato da un sentimento nuovo di coraggio e dimagnanimità che lo faceva digerire piú bene.

 

Non meno felice del babbo fu donna Enrichetta per questaritardata partenza. Per lei Cremona era una specie di monasterosenza nemmenola distrazione del coro. Vecchie dame austerereverendi sacerdotiantichiamiciaffumicati come i ritratti dell'anticameraformavano l'unico diversivodelle sue eterne giornate piene d'inglesedi aritmeticadi musica tedescadiorazioni. Qui al Ronchetto le era concessa piú libertà di svolazzare per ilgiardinodi scendere in compagnia di qualche buona ragazza a visitare le suevecchie malate nei cascinali circostanti o a copiare dal vero un gruppo dipiantesenza quella fodera inglese di miss Hayneso di pregare sola nellachiesa del Santuarioda dove l'occhio scorreva nella valle dell'Adda coperta dineve. La malattia di mammà e qualche cosa d'insolitoche non osava indagarerendevano la vigilanza meno rigida: quindi quel trovarsi a un tratto libera daogni reticolato d'orario prestabilitole fecero parere quei venti giorni difreddo dicembre una vera e mai provata vacanza. E cercò di goderseli leggendo escrivendo a lungoimprovvisando grandi poemi in prosa sulla natura biancasuimorti che sognano al camposantosui genii del molinosul fumo che esala dagliumili tuguri verso il cielosu un mondo non ancora esplorato di sentimentid'impressionidi fantasie poetichecheprima di partirevoleva dedicare alsuo professore sotto il titolo di «Foglie cadenti».

Un giornotornando dalla messasentí da una vecchiettadella cascina Colomberache il signor Giacomo era stato trovato come morto inun luogo detto la Cava presso il fiumeeportato a casadibattevasi da unasettimana tra la vita e la morte. Questa notizia colpí il cuore della ragazzacome una pugnalata. Di mano in mano che dalle Fornaci arrivavano cattivenotiziesentiva crescere le lagrime negli occhi. Fece accendere una lampadaall'altare della Madonna e distribuí ad alcune povere donne gli ultimi avanzidel suo privato peculioperché pregassero secondo la sua intenzione. Se mammàavesse permessosarebbe discesa tutti i giorni alle Fornaci a chieder notizie;non potendo farlocercava cogli occhi i neri fumaioli nel candore della neve edalla sua finestra stava molto tempo immobile e pensierosa a ripeterementalmente degli auguri. Quando il dottore assicurò che la congestionecerebrale era vinta e che il signor Giacomo si metteva in via di sicuraguarigionedonna Enrichettacome se anche il suo cuore uscisse da una grandemalattiaaggiunse molte pagine alle «Foglie cadenti». Una finiva con questeparole:

«Come ti chiamio fiorellinoche dalla candida e sterileneve sbocciportando il saluto della terra? Sei tu il fiore della vitao seiil fiore della speranzache nessun gelo può spegnere? O modesto fioredell'elleborova fino a lui e portagli il saluto della vita e della speranza.Possaallo sciogliersi di questa neveapparire la terra seminata di violette.Già presento il profumo che inebria l'anima».

 

Pensieri ben diversi passavano intanto nell'animo di suofratelloil bel tenente di cavalleria. La contessa giudicava male suo figlioquando scriveva in una lettera alla Breno: «La gioventú è egoista. Egli credeche col denaro oggi si arrivi dappertutto e dorme nell'illusionein cui visseroi suoi antenatiche mezzo mondo sia stato creato da Dio a servizio e adivertimento dell'altro mezzo».

NoGiacinto non arrivava fino all'orgoglioso concetto dicreder sé qualche cosa di superiore e di privilegiatoa cui gli umilidovessero inginocchiarsi. Questa idea spagnolesca di sé stesso non potevaessere nell'indole allegracordialeespansivaleggerona del giovinecheamava semplicemente il vivere allegrointerrottoe odiava come la morte lecose difficili e noiose.

Bellissimoben costituito e pieno di tutte le sue forzevitalisoltanto una ferrea volontà e una solida tempera di carattere avrebberosaputo salvarlo dagli istinti prepotenti e dalle tentazioni cosí numerosecosí seducenti per i giovinotti ricchimolto in vistamolto cercati e peiquali la vita galante è quasi un obbligo sociale; ma su questo argomento eglisoleva ripetere una faceziache non mancava d'una certa ingegnositàfilosofica: - Per fabbricar la volontà ci vuol la volontàe non è colpa miase il buon Dio non mi ha data questa materia prima.

Avrebbero potuto salvarlo le tradizioni austere della casal'affetto de' suoi parenti e l'azione moderatrice della religione; ma letradizioni di casa Magnenzioper quanto donna Cristina si sforzasse di tenerlesus'erano già troppo illanguidite nella bonaria incapacità dei padri;l'affetto non era in armonia colle idee; e la religione non passava la pelle.Quel buon uomo del conteallevato in un guscio d'uovo nei tempi dellaRistorazionequando s'è creduto di poter rompere le corna al diavolo a colpidi rosarioda uomo cosí amico della sua pacepur di non turbarla questa pacepur di non sentir gridaremetteva sottoterra i cocci delle cose rotte e cimetteva su una pietra. La mammaalla quale era mancata nella sua vita di donnala rivelazione di quell'affettoche sorregge nel tempo stesso che si abbandonametteva forse nella sua educazione troppi sforzi spiritualitroppe ideeestranee alla natura delle cosecredendo in buona. fede che il volere possasostituire il sentimento. In quanto alla religioneè vero che Giacinto sisentiva e si confessava buon cristiano cattolico e osservante; è vero che nonsenza rimorso trasgrediva ai precetti della Chiesa; è vero chevivendo incompagnia di amici nobili e ricchipei quali la religionecosí come stanonè l'ultima delle difese socialiera tratto a considerare con rispetto e conbenevolenza tutto ciò che si riferiva allo spirito e al meccanismo dellaChiesa; ma gli pareva di aver fatto abbastanzaquando aveva pagato il suotributo alla pratica obbligatoria.

Farsi veder alla messaspecialmente in campagnamangiar dimagro il venerdí in faccia alla servitùcomunicarsi a Pasqua e a Natalerispettar qualche vigilianon celiar mai sulle convinzioni... Andiamovia!...per un giovinottoche portava una spadaera piú di quel che si potessedomandare. Queste quattro pratiche non eccessivamente complicatein cui èriassunto in certo qual modo il pensiero della Santa Chiesalo sbarazzavanodall'obbligo di pensare al restocioèa Dioall'immortalità e a tuttequell'altre tribolazioniche logorano la coscienza degli spiriti filosofici.

Anzicome uno scolaro chesbarazzati in fretta i quattrolavorucci di scuola la sera del sabatosi piglia tutta la santa festa perspassarselacosí don Giacintouna volta eseguite le quattro pratichetradizionalisentiva d'aver una maggior libertà di movimento per tutto ilresto.

Di contro a questi argini posticci vennero a urtare le ondeminacciose delle passioni e delle seduzioni mondane nella compagnia allegra digiovani corrotti e di ragazze disinvoltenelle lusinghe dei balli e dei teatridove anche le signore oneste fanno di tutto per piacere in quel che hanno dipiú bello e di meno morale. Tutto stimola i sensi di un giovine di vent'annitutto parla al suo essere fisico in questi ritroviin cui la donna è specchioalla vanità dell'uomo; ed e facile che la donna cosí detta onestariescaanche piú pericolosa delle altrese le piglia il ghiribizzo di giocarecoll'inesperienza d'un giovane non spento del tutto. Questo fu appunto il casodi Giacinto colla famosa principessa romanache lo fece soffrire sulla cordafin dove un giovane come lui era capace di soffriree gli tolse quest'ultimosentimento di rispettoche il maschio conserva anche in mezzo alla suadecadenza per la piú fragile delle creature.

Celestina ne pagò le spese. Maper arrivare fin quieranecessario che il vino gli togliesse il sentimento di rispetto che ogni uomoanche il piú tristonutre per sé.

Nelle accese giornate di corsanell'ebbrezza di un trionfonell'espansione d'una riunione di cacciaora all'ombra di una tribunaoranella frescura d'un bosco selvaggiodove anche la piú gentile signora cerca aun bicchier di sciampagna il grido selvaggio dell'amazzoneGiacinto aveva presal'abitudine di beresenz'accorgersidue voltetre volte piú della sua setedeliziandosi nel ritrovare tra i fumi della vaga ebbrezza una dolcezza di cosemisterioseche parevano scendere a lui da un mondo ideale. Il vino dà spessoanche agli imbecilli l'idea delle cose grandiper le quali non son nati: ecosí accadeva che don Giacinto vedesse attraverso al lucente tremolio delcristallo la bellezza e la perfezione di quel misterioso ed eroico gentiluomoche era in luiche Dio aveva mandato in terra a riassumere la secolaretradizione di casa Magnenzioper consegnarla nobile e pura a un'altra serie diillustri discendenti. Peccando d'intemperanzaegli sacrificava all'ideale. Ilmale era questo: che passata la sbornia. non restavano della dolce poesia che iconti da pagare!

«Naturam expelles furca...» ha detto un poetalatinoOraziosalvo errorein un verso che Giacinto sapeva citare a mezzonella fiducia che gli altri sapessero il resto. Tutta la sua erudizione classicasi arrestava a quella furca... ma credeva di saperne abbastanza pertirare anche Orazio dalla sua.

Del resto che male c'èse a ventidue anni un ragazzo sisente giovine? Un uomoche può spendere diecimila lire all'anno senzasconcertare i bilanci del suo ragioniere; che col tempo avrebbe raccolta labellezza di tre patrimoninon solamente non era nato per portare gli occhialima non poteva capacitarsi come mammà si ostinasse a voler cavare da lui unassessore comunaleo un fabbriciereo un segretario di opere pie. Era lostesso come voler cavare da un cavallo da sella un professore di greco. Vedendoche mammà non sapeva risolver nullae che alle sue insistenti lettere nonrispondeva piú che inconcludenti querimoniechiesto un congedo di alcunigiornicapitò a Milanodopo aver scritto un biglietto a donna Fulviacheaveva in ogni circostanza mostrato per lui delle tenerezze materne.

Donna Fulviache era appena entrata nel suo elegantequartiere d'invernolo invitò a colazione. Prima di andare da leiil belgiovane si lasciò vedere al circolo degli ufficiali; quindi in compagnia diPierino Scala fece una passeggiata nelle sale dell'Unionedove si raccoglie lasera il bello e il buono dell'aristocrazia maschile di Milano.

Capídalle accoglienze e dai discorsi degli amiciche lasua avventura campestre non era ancora uscita dalle siepi e dall'ombrae siconsolò come un capitanoche sente di arrivare prima del nemico in una buonaposizione.

Donna Fulvia lo accolse colla espansione gioviale che fa dilei una delle piú ridenti signore di Milano. A colazione si parlò di tutto unpo' delle corse di Romadella bella principessa di Cerereche doveva venirsposa nel prossimo carnevale con uno dei piú amabili gentlemen della societàlombarda. Don Lodovico di Brenouomo di non troppe parolema fino come unalesinaintavolò una discussione semipolitica sull'espansione italiana inAfricach'egli ritenevaa quei tempila cagione principale del nostro disagioeconomico; ma Giacintoche non per nulla portava una divisa coi bottonid'argentogli dimostròtenendo la forchetta in ariache l’avvenire delpaese era làal lago Tsana. I popoli vecchidicevanon hanno che daguadagnare nella fusione coi popoli nuovi; e in quanto all'Italianoblesseobligeera il caso di dire. Quando si è stati una volta i padroni delmondonon si può senza vergogna rinunciare alla propria missionecivilizzatrice. Per conto suose mammà non avesse avuto dei pregiudiziavrebbe domandato subito d'essere mandato a combattere ras Alula.

- Sísíma intanto... - brontolò il conteabbassando lasua testa precocemente calva e aguzzando gli occhi miopi su una certa miscela dicarne frittache il cuoco aveva mandato in tavola con una salsain cuientravanon so comeil principe di Galles - intanto noi roviniamo la nostraagricoltura.

- Voi moderati non vedete che la politica dei vostrifagiuoli. Siete un partito vecchiosenza ideali.

La bella faccia del giovane Magnenzio si rianimòall'immagine delle caccie grosseche si posson fare al pian delle Scimmieealzando il calice pieno di bordòil bel tenente bevette alla gloriadell'esercito.

- Noi non ti lasceremo partireGiacinto - soggiunse lacontessache nella luce candida della finestra brillava d'una biondezzatrasparente; - noi siamo gelose di quest'Africache ci toglie i nostrifigliuoli.

- In quanto a' tuoi figliuoli - brontolò il conteridendonel piattomentre rivoltava la carcassa africana di quel suo magro polloinglese - non te li toglie nessuno i tuoi figliuoli.

Giacinto fissò gli occhi scherzosi negli occhi ridentidell'amica di mammàche rimbeccò con spirito:

- La colpa è della tua politica moderata.

Il bel tenente si rovesciò sulla spalliera della sedia ebalestrando il conte con una briciola di panegli disse:

- Te la sei meritata questa voltaVico.

- Tutaci - ribatté il conteminacciando il giovane coldito - ne sappiamo di belle della tua politica liberale.

Giacinto arrossíe fu sul punto d'aversene a male. Ma lacontessa fu pronta ad alzarsi e ad invitare il giovine a prendere il thè nelsalottino.

- Io vi lascio. Ho una seduta al tocco presso la Deputazioneprovinciale per la difesa di quei quattro fagiuoli che ci restano. Fulvia hacarta bianca per tutto ciò che posso fare per te; abbi confidenza in lei elasciati guidaremio caro Orlando paladino. Siamo tutti interessati aproteggertima bisogna che tu faccia giudizio.

Giacinto strinse la mano del conte con lunga e affettuosainsistenza per fargli comprendere che apprezzava il suo valido appoggioeraggirando nei polpastrelli la punta dei baffettipromise cogli occhi quel chel'emozione non gli lasciò dire colle parole.

Nel salottino rosso della contessa ardeva un bel focherello.Quando il giovine fu seduto davanti al caminettodonna Fulvia gli offrí unasigarettapoi gli domandò con un'intonazione un po' grave:

- Ebbene? devo fare una predica?

- Sono cosí pentitocara contessa- rispose il giovinevoltando la sigaretta fra le dita - che potrei già scrivere un quaresimale.

- La povera mammà è desolata.

- È desolatama non sa trovare un rimedio.

- Non è sempre facile trovare un rimedio: ma come impedireuno scandalo?

- Ha parlato con questo signor cuginosí o no?

- Nell'ultima sua lettera non mi dice ancora quale sia statoil risultato del suo colloquio con lui. E comincio anch'io ad essere un po'agitata. Comprendo tutte le preoccupazioni della povera donna. Questa benedettaquestione s'impernia in un complesso di cosí gravi circostanze che ogni passofalso può condurre a un disastro. Monsignor vescovo non resterà certamentetroppo edificatoquando saprà che quel suo san Luigi di nipote si compromettecolle cameriere. Ma come è potuto accadere?

- Come... come... - balbettò con una spallata chinandosi adaccendere la sigaretta alla fiamma del camino. - È cosí facile immaginareDiobuono...

- Diremo che è stata anche questa una passione africana-disse col suo bel ridere argentino donna Fulviamentre allungavasi sullapoltronastendendo il corpo fino a toccare colle punte delle scarpette glialari dorati. - È almeno bella questa Lucia del Ronchetto?

- Non mi tormentivia! - replicò eglinon senza una certascontrosità; efacendo sonare sul tappeto gli speronibuttò la sigaretta nelfuoco.

- Povero Giacintomi piace di vederti cosí contrito eumiliato. Giovinastri senza principiisenza garbosenza orgoglio! Ma lasciamoperdere le prediche e parliamo seriamente per rendere il male minore di quel cheè. Perché è inutile illudersiin questa faccenda siamo interessati un po'tuttii Magnenzio e i San Zeno per primie un poco anche i di Breno in secondariga. Vicoche ho dovuto mettere a parte del segretocome hai capitohafiutato subito il pericolo che l'affareda scandalo privatopigli percontraccolpo una estensione immensafino a compromettere i nostri interessipolitici. Siamo alla vigilia delle elezioni amministrativee puoi immaginarecon che gusto i nostri nemici s'impadroniranno di questa belle Hélène. Saiche Vico l'ultima volta la portò fuori per un pelo; e uno scacco nelle elezioniamministrative vorrebbe dire in questi momenti la fine dei partito moderatonella nostra provincia. Tu non capisci che la tua politica africanama bisognaessere sul campo di battaglia per capire che cos'è una lotta elettorale. Comeuna cartuccia sparata a tempo dall'ultimo dei fantaccini può decidere unavittoriacosí un sassouna trave messa di traversopuò trascinare lasconfitta. Vedi quindi se Víco è interessato a mettere cenere su questo fuocoche tu gli hai acceso accanto al pagliaio. Egli ha forti aderenze anche fuoridei suo partito e potrebbe con qualche compromesso ottenere ese occorrecomperare il silenzio degli organetti. Ma bisognerebbe che tu aggiustassi prestoi conti col cugino. Non ho ancora capito di che stoffa sia fatto questocontadino filosofo fabbricatore di tegole. Sento che ha stampato dei libriquindi è presumibile che sia un uomo ragionevole. Vediamo un caso: potrestiaccettare senza scapito una sfida da lui e portare cosí la controversia sulterreno cavalleresco? Vico trova chese egli potesse seguirti su questa viasarebbe forse il caso di transigere su qualche particolare e di trattarlo comeda pari a pari. Un reduce delle patrie battagliese non è natoè cavaliereper diritto di conquista. Vico osserva anche chese questo signor Lanzavecchianon manca d'orgogliodovrebbe aggradire d'essere considerato senza restrizioni.Un duello limiterebbe la questione personale e obbligherebbe piú tardi le dueparti a un reciproco rispetto. Ma questoripetoè il discorso di Vico. Noidonnenaturalmentee come donne e come buone cattolichenon possiamoapprovare le risoluzioni violente. La tua povera mammà si sente morire allasola idea che tu possa trovarti di fronte alla canna di una pistola: ma la tuadivisa non ti dà un certo diritto per la scelta dell'arme? Oh che pasticcio!Vedibenedetto figliuoloin che imbroglio ci ha messi tutti quanti questa tuaragazzata?

Donna Fulviache si era mossa per accendere la fiamma sottoun bricco di porcellanasi volse econ un atto di protezione maternapassòleggermente la mano sui capelli cortitagliati a spazzoladel bel giovinottochesprofondato nella poltroncinacolle mani infossate nei taschini de' suoistretti calzoni d'alta tenutastava come oppresso sotto il peso della suaresponsabilità.

- Quando penso che Giacintoil biondo Apolloè giàdivenuto papà... - Un sorriso d'ironiache vibrò nella tenerezza di quellavoce carezzevolefu per il giovine tenente un filo rovente raggirato intornoalla carne viva del cuore. Nell'inchinarsi su luil'amica di mammà videch'egli piangeva. Una piccola stilla aveva già solcato il panno scuro dellagiubbalasciando tra un bottone e l'altro il segno d'un punto esclamativorovesciato.

- O povero Giacintoti ho fatto male? come sono statacattiva! - riprese la signora con delicata sollecitudine e con tono piagnucolosodi rimprovero a sé stessa. Volendo rimoverlo da quell'inerzia di spiritoincui lo vedeva immiseritosi affrettò a soggiungere: - Io non dico che tu nonpossa trovare qualche altro rimedio. Tra gli espedientise io fossi in tevorrei prendere il mio coraggio colle due mani e andrei diritto a confessaretutto allo zio vescovo. Peccato confessato è mezzo perdonato. Credo chemonsignore amerà meglio saperle da te le cosecome sono andatementre si èancora in tempo a rimediareche se venisse a conoscerle dai giornaliquandonon c'è piú tempo di far nulla. Nella sua alta posizione egli è piú di noiin grado di misurare il pericolo e anche di prendere gli opportuniprovvedimenti. Per quanto rigido e intransigentenon può non assolvere unpeccatoreche confessa piangendo il suo peccato.

- Andrò a farmi ammazzare in Africa - borbottò tra ilrustico e lo spavaldo il giovinebuttando nella fiammacon un gesto asprolasua seconda sigarettacome se cercasse di riaversi e di darsi della forza. Ilsuo capriccio non si era mai trovato a contrastare con tante seccature. Abituatoa trovar sempre le porte del suo piacere spalancatesi meravigliava conattonita impazienza che non si potesse passare anche questa volta. Possibile chemancando la chiavenon si potesse sfondare l'uscio?

- Per Dio! - disse ingrossando la voce per far comparire piúrauca la tenue bestemmia soldatescaalzandosimovendosi per il salottino. Eraagitato e girava in cerca d'uno specchio per vedersi la faccia in collera. Comese l'elettricità gli uscisse da tutti i bottoni lucidimosse le sediescrollò un tavolinoe mise cosí malamente la mano sopra una graciledonnicciuola di vieux Saxeche la rovesciò e le ruppe il naso. - Checosa si vuoleper Dio? che mi tiri un colpo di pistola nella testa? che facciacontessa la mia cameriera?

- Queste sono brutte paroleGiacintoche ti fanno torto.Abbi pazienza. Oggi scriverò a mammà e domani concerteremo qualche cosa conVico. Avresti difficoltàper esempioche mio marito andasse a parlaredirettamente con Monsignore? Son due mezze potenzesaiche nelle condizioniattuali hanno bisogno d'intendersie chi sa che il diavolo non sia poi cosíbrutto come ce lo immaginiamo. Non andar poi a dirglieloa monsignoreche l'hochiamato diavolo.

Donna Fulviasentendo muggire il thè nel briccone versòuna chicchera e l'offrí al giovinestando in piedi sotto la grande specchieranella quale le loro belle immagini si riflettevano con nitido splendore.

Calmati gli spiritila contessa poté condurre il discorsoad argomenti meno spinosie tutti e duedopo un pezzettofinirono col riderecome due ragazzi.

 

 

II

 

TRA IL DEPUTATO E IL VESCOVO

 

 

Giacinto accettò la proposta di donna Fulvia e incaricò ilconte Lodovico di Breno della delicata ambasciata a monsignor vescovo. Se questavolta non lo salvava Santa Madre Chiesaera inutile far dei conti con quelbriccone di diavolochedopo averlo tirato in mollelo lasciava morireaffogato.

Mentre don Lodovico pensava al modo di aver un abboccamentocon monsignore di San Zenoche non aveva l'onore di conoscere di personasentí dire dal canonico Murari che il degno prelato era venuto a Milano ospiteper alcuni giorni dei padri barnabiti di Sant'Alessandro. Non tardò aprocurarsi una lettera di presentazionenon volendo perdere una cosí bellaoccasionementre perorava la causa d'un libertinodi tastare il terreno sulprogramma che il partito intransigente stava preparando per le prossime elezioniamministrative.

Già da qualche tempo i vari partiti conservatoridi frontealle fortunate audacie della progresseria radico-massonico-socialistasentivanola necessità d'un segreto concentramento di forzein virtú del quale isentimenti piú liberali avrebbero dovuto abdicare a molte speranze e cedere unpezzo di superbia ai clericalicheavendo un programma piú stretto e piúdeterminatoeran piú sicuri di vincere. Era sonata l'ora in cui i liberalidella destra pura dovevano sostituire alla speranza la rassegnazioneal bene ilmeno male: ma non tutti sapevano acconciarsi al fatale destinoche travolge ipartiti che non sanno rinnovarsi. Di Breno era uno di quelli che piú mordevanoil freno e giurava che lui a Canossa non sarebbe andato mai. Cavourianoinduritoche sulla formola di «libera Chiesa in libero Stato» sisarebbe lasciato inchiodare vivoera persuaso che con questo programma storicosi poteva far molta strada ancora nella via del progresso e della libertànonsoloma che l'aristocrazia intelligentepiú che all'ombra del baldacchinodoveva prendere il suo posto all'ombra di questa bandierache era sventolata daNovara a Roma. Ma i pretinon contenti di far la parte del leone nelladistribuzione delle cariche amministrative e nella rappresentanza delle Operepiepretendevano di mettere all'uscio addirittura il vecchio e nobile partitoche aveva fatto l'Italia ese era possibiledi seppellirlo non ancor morto deltutto nel sudario di Roma intangibile.

Fiutando il vento infidoanche in vista d'una non lontanaelezione politicache avrebbe scosse le basi del suo vecchio Collegiosapendoche questo monsignor di San Zeno aveva un po' la natura degli antichiarcivescoviche andavano in battaglia colla croce in una mano e la spadanell'altraimmaginò che lo scappuccio di Giacinto potesse tornargli comodosenon altro per rendere sua Eminenza meno rigido e meno restrittivo. Non c'èeconomia piú astuta di quella che insegna a trar profitto dai peccati deglialtri: e il nostro don Lodovicosenza essere un genioci aveva questo talentonella zucca pelata.

Sua Eminenzaappena ebbe ricevuta la lettera dell'onorevoledeputatogli fece sapere che sarebbe stato lieto di conoscere personalmente ungentiluomoche conosceva cosí bene di fama. E il conte fu puntuale alconvegno.

Introdotto da un giovine prete grande e robusto come ungendarme in un salotto della fabbriceriafu amabilmente e decorosamentericevuto da monsignore. Questi era ancora una bell'asta d'uomodi solida efresca senilitàdi carni ancor morbide e quasi biancheggianti sul severopaonazzo della mozzettache egli sapeva portare con signorile eleganza.

Quantunque non schivasse col rigore dei principî leoccasioni per farsi dei meriti presso la Curia romana e presso il partito piúintransigente che domina la Chiesapure nei rapporti sociali rivelava un usonon mai interrotto di aristocratiche abitudini e un galateo di tolleranzacheuna certa prelatura di piú recente fabbrica non può né conservarenéinventare. Se avesse dovuto crearsi uno stemma morale a insegna dell'episcopioal posto del santoche decorava le torri della famigliamonsignore avrebbescritto il motto: «Mano di ferro in guanto di velluto...»essendo eglipersuaso che il primo segno di forza è nel rispetto che si usa all'avversario.La trivialità non è che una secrezione velenosa di animali inferiori.

Di fronte alla persona larga e paludata del prelatoilpovero contegià cosí magro e cosí poco nei pannicon quel suo passo brevee come dimezzatocon quegli occhietti miopi di formica affogati nelle lentidell'occhialettocon quella testa a foggia di mellonefaceva la figuranond'un legislatorema a dir molto d'un fabbriciereo quasi d'un sollecitatored'elemosine.

Monsignoreper quanto fiutasse da lontano il motivo diquesta visitavolle per una strategia diplomatica mostrarsi esagerato neicomplimenti. Se questi signori liberaliscassinati nelle loro basivenivano altempio col capo coperto di cenerecurvi sotto il peso di tutti gli erroricommessi in sedici anni di cattiva politica ecclesiasticapiú che il gridare: «VaderetroSatana...» era il caso di ammorbidir loro la contrizione e dimettere un cuscino di velluto sotto i loro ginocchi.

- Ringrazio il signor conte di questa bella visita... - disseil vescovochesorridendo in tutte le pieghe della sua faccia morbida epastosasoggiunse poi con arguzia: - Per quanto traviatol'onorevole di Brenonon è per noi un Innominato...

- Invece io sono venuto a cercare il mio Federico Borromeo...- fu pronto a ribattere il conteche in queste battagliuccie diplomatiche eraun piccolo Machiavelli in guanti inglesi. E non volendo perdere il vantaggio diparlare per il primovantaggio che serve a darese non il motivoalmeno labattuta della musicacontinuò subito: - Avrei dovuto venir prima a compiere ilmio dovere verso monsignore e non qui in casa altrui...

- I nostri doveri sono i nostri piaceri - declamòmonsignorepremendo un istante sul largo petto la mano ossuta del conte nellasua piú nutritaingemmata del ceruleo topazio.

I due illustri personaggidavanti a un vasto caminodoveardeva silenziosamente un gran troncosedettero in due seggioloni a spallierarittacoi bracci imbottiti di cuoiosotto lo sguardo un po' fiero di un santodipintodalla lunga barba neracredo San Paoloche reggeva colla sinistra ungran libro squinternato e colla destra si appoggiava a un lungo spadone.Cornicequadroseggiolonie i pochi mobili massicciche arredavano l'areadella vasta sala in cui fluttuava un filo di odor d'incenso e di cera bruciataebbero per gli occhi del conte l'aspetto stanco e addormentato delle cose chenon si muovono maicome certi principi che non sentono gl'impulsi del tempo.

- Prima d'ogni altra cosa mi dica come sta la signoracontessa - riprese monsignore con un tatto gentile d'uomoche sa il vivere delmondo.

- Molto benegraziemonsignore. Essa mi ha incaricato dipresentarle il suo ossequio - rispose il contesapendo di dire un'amabilebugia.

- Conosco donna Fulvia dalle unghie tenerelle. Non fu essaeducata nel collegio delle Dame inglesi?

- AppuntoEminenza.

- Non era compagna di mia nipote Cristina?

- Precisamente.

- L'ho confessata piú volte quand'ero vicario da quelleparti. Ha figliuolin'è vero?

- Dio non ha voluto contentarla - confessò confusamentecolle orecchie un po' calde il contefissando lo sguardo nel fuoco.

- Pazienza! Si può essere sempre di vantaggio all'umanoconsorzio - si affrettò alla sua volta a correggere monsignorecheper quantoesperto e navigatonon aveva forse finito d'imparare.

- Io sono venutoEminenzaper due motivi - ripigliò subitoil conte per uscir presto da quel discorso impacciato. - Il primo motivo èdirò cosí di ragione pubblica; l'altro molto piú delicatotocca molto davicino la persona e la famiglia di vostra Eminenza. Cominciamo dal primo. Prestoavremo le nostre elezioni amministrativeche preludieranno alle grandi elezionipolitiche di questa prossima primavera...

- Sicuro! - disse la voce baritonale del prelato cheripercossa dalla vóltalasciò indietro un silenzio un po' lungo pieno didifficili sottintesi.

Il conte vedendo che il nemico non rispondeva alla primacannonatafece un passo avanti:

- Io so che vostra Eminenza è un capitano che non dormesugli allori.

- Dica spinedica spinesignor conte.

- Se è permesso a un bandito qualche indiscrezionevorreichiedere a monsignore quali sono le sue intenzioni per la prossima battaglia.

- Non ho nessuna difficoltà a dir quel che è. Il nostropartito questa volta farà da sé.

- Cioè porterà nomi suoiescludendo quelli deglialleati...

- Salvo una o due eccezioni.

- A tutto vantaggio degli avversari comuni.

- L’urna deciderà.

Il dialogo seguiva serrato col passo d'un esercito che siconcentra. Il conte masticò una goccia di salivae alzando una mano quasi perinvocare indulgenza:

- Ecco! - fece - se vostra Eminenza mi assolveio credo cheil partitoal quale Ella consacra la sua nobile attivitàsi lasci un po'troppo presto acciecare dalla buona fortuna e voglia mangiarecome si diceilfieno in erba.

- A noi non importa tanto il vincere quanto il purificarci-fu pronto a ribattere monsignoreingrossando la voce. - Oggi troppa zizzania èmescolata al buon frumentoe io son persuaso checome in naturacosí nellavita morale nessuna idea può nascere da ibridi connubi... - E nel finire questabella frasela vocecome se sentisse l'impulso dell'interna convinzione edell'indole battagliera dell'uomocominciò a prendere una solennitàpastorale.

Il conteche intese subito il latino della sacrestiatentennò un poco la piccola testa aguzzasi fregò le ginocchiamasticòancora una goccia di salivaper finir di concludere:

- Prego vostra Eminenza di credere ch'io non parlo per meperché ormai della vita politica son piú le amarezze che le dolcezze che vadocontinuamente ingoiandoe il mio sogno è di ritirarmi in campagna a coltivarei miei cavoli. Ma la mia vecchia esperienza mi dice che il partito clericalecon questa sua intransigenzafa un buco nell'acqua: provvederà forse a qualchepiccola ambizione localema perde di vista il bene supremo della patria e dellareligione...

- Conteconteconte..- scattò monsignorefacendosi rossoe caldo in visoquantunque si sforzasse di smorzare l'improvviso risentimentosotto un sorrisoche non riusciva ad essere allegro. - Vorrà concederesignorconteall'ultimo dei ministri di Dio di saper intendere che cosa sia il benesupremo della patria e della religionetanto quanto lo può intendere unseguace delle idee liberali. Non è colla diuturna guerra alle istituzioniecclesiastichealle mense vescoviliagli ordini rnonasticinon ècoll'obbligare al servizio militare i giovani chiericicondannandoliall'obbrobrio delle casermenon è colla confisca delle mani mortenon ècoll'ignorare o col fingere d'ignorare che ci sia una coscienza religiosa nelpaesenon è coll'oltraggiare l'istituzione stessa del cattolicismo nellapersona del suo Caponon è con questi mezzi che i nostri avversari di ierihanno provveduto al bene della patria. Peggio non potranno fare i nostriavversari di domanise l'urna sarà repubblicana o socialista. Cristo ha detto:«se la tua destra ti è cagione di scandalotagliala»e noi tagliamocarocontecioè noi separiamo la causa nostra da tutti coloro che consideranoperesempioil pontificato romanonon come una gloria e come una futura salvezzama come una vergogna della patria. È duro di dover ferire dei cari amicimal'intransigenza e la coerenzaè la forza dei principiie per noi è laverità. L'Apostolo delle gentiche ci sta guardando da questa cornice - emonsignore indicò colla mano la fiera figura del santo dalla lunga barba nera -ci ha insegnato a combattere per Cristo. Il simbolo della pace è la spada.

Il conte si guardò bene dall'interrompere una eloquenzachesgorgava cosí calda e sonoramafingendo un atto remissivo di rassegnazionecon voce umile riprese a dire:

- PerdoniEminenzase nella foga del dire mi è uscitaqualche parolache possa essere sonata male al suo orecchio. «Iliacos intramuros peccatur et extra»e la storia ci giudicherà tutti a tempo opportuno.Oraper non farle perdere il suo tempo cosí prezioso dirò subito dell'altromotivoche mi ha persuaso a chiederle questo abboccamento. Qui non è piú ildeputato che parla ma parla l’ambasciatore: mi sia lecito dunque invocare ildiritto delle gentiche riconosceva sacra e inviolabile la persona del feciale.Chi mi mandacome vostra Eminenza può vedere da questo bigliettoè donGiacinto Magnenzioil figlio di donna Cristina.

- Notus in Judea.. Che cosa vuole l'eleganteufficialetto? la mia benedizione?

- Vuole... vuole... veramente non saprei come dire. Separlassi a un uomo di mondopotrei invocare il detto classico: Homo sumet nihil humani a me alienum puto... - Il conte si rallegrò in cuorsuo d'aver infilato cosí felicemente e in cosí breve tempo le due bellecitazioni latinee lasciò capire che la riverenza verso il ministro di Dio lorendeva un poco imbarazzato e perplesso.

- Cioè? ha fatto degli altri debiti? è vero che giuoca?quella povera Cristina ha avuto la sua croce in questo ragazzo.

- È un ragazzo un po' vivo egirando per il mondosi sale occasioni son molte. Anche sant'Agostino ha fatto le sue in gioventú.

- Leicontesarebbe un eccellente avvocato perla mia canonizzazione. - Monsignore rise con tutta la sua bella voce perdissipare con un gran frastuono quel po' di amaro e brusco che poteva essererimasto nell'aria. Poi seguitò: - Parliparliil sacerdote è abituato acompatire le debolezze umane. Che cosa vuole questo signor Argante?

- C'è che ha conosciuta una ragazza - disse il contescivolando sulle parole.

- Cioè? - fece il vescovocorrugando le grosse sopracciglia

- E... ci sono conseguenze...

- Oh...! - uscí con un suono secco il prelato.

- Una ragazza di bassa estrazioneuna figlia del popolo...

- Asinoimbecille! - tuonò questa volta monsignorelasciando cadere sul braccio della poltrona un gran colpo di mano. E si volse ainterrogare collo sguardo corrucciato. E il conte sempre umilmentecome seconfessasse dei peccati suoicontinuò: - Suo padre non lo sa e non lo devesaperepovero uomo. La contessa non fa che piangere.

- Peggio per lui e peggio per lei! - soggiunsebattendo unaltro colpo sdegnoso colla mano chiusa: poialzandosi in tutta la maestà delsuo portamento patriarcale: - Dica a don Giacinto - sentenziò gravemente - chead altre curead altri bisogni è consacrata la dignità del vescovo.

- Monsignorenon respinga le lagrime di un peccatore-supplicò nuovamente don Lodovico di Brenoche pregustava già il saporino delsuo piccolo trionfo.

- Chi è causa del suo mal pianga sé stesso - ribadí ilvescovo duramenterimettendosi lentamente a sedere.

- Io credo invece che il caso questa volta meriti unaspeciale considerazione. La ragazza non è sconosciuta dalle nostre parti esei parenti vogliono sollevare un clamoroso scandaloe mettere in qualcheimbarazzo anche vostra Eminenzaavranno buon giuoco in mano. I nostriavversari... pardon... - corresse con un saltuccio di malizia birichina - diròmeglio gli avversari di vostra Eminenza non aspettano che un pretesto per dareuna grande battagliache quest'anno saràda quel che sonon contrastatanemmeno dal Ministeroche vuol vincerla ad ogni costo. Ora è evidente che nonGiacinto solo ne andrà di mezzoma ne andranno di mezzo i Magnenzioi SanZenoi di Brenovale a dire tutti i piú bei nomi del Collegiole colonne delpartito onestoche non so come potranno resistere ai colpi dei giornaliavversari. Uno scandalo di questo generequando sia ben manipolatofa unagrande impressione sulle masseè un turbineche scompagina tutte le baracchedella fiera. Mi par già di leggere quel che si stamperà in grossi caratterisui giornali piú scalmanati di Milano o di Roma: «I fasti dei Catoni»«Idiritti feudali...»«La moralità dei predicatori di morale»«Il nipoted'un vescovo...». AggiungaEminenza- continuava quel birbonaccio di contecolla compostezza di chi mette a posto un prezioso mosaico - aggiunga che laragazza era fidanzata a un giovanotto di làun ex garibaldinoun arrabbiatolibero pensatoreuna mezza testa filosoficatutt'amiciziaparecoi capocciadella framassoneriache stampa dei librie che saprà fare di questo scandaloun buon sgabello per andare in su. «Rebus sic stantibus»io nonso se a vostra Eminenza convenga proprio lavarsene le mani...

- Quel che mi dicecaro conteè veramente brutto -balbettò monsignoreabbassando la testacoll'abbandono d'un uomo stancomentre col fazzoletto si asciugava la pallida fronte. - Perché non mi hannoscritto subito?

- Prima non si sapevapoi si è creduto che il male fosseminore di quel che è... Si è sperato sempre in qualche atto di riparazione…ma è una desolazionecredaper la povera contessa. Se lei non intervienemonsignorecolla sua autorevole benevolenzaè una rovina per tutti...

- E come posso io impedire ai nostri nemici di usare di unloro diritto di guerra...?

- Ecco! - riprese colla sua vocetta meticolosa l'omettoavveduto - conosco un poco questi nostri nemiciperché li vedo piú davicino... Dove non può arrivare la mano consacrata dei vescovopotrebbearrivare la mano... scomunicata... del deputato... (Il conteper togliere ognisapore ingrato alla faceziacercò colla sua la mano paffutella dell'alleatoche rispose con una stretta lunga e cordiale). - Non solo conosco molti diquesti avversarima so anche quel che costano. Quando poi lasciassi capire alsottoprefetto che una guerra di scandali non sarebbe gradita alla CorteGaddaé un uomo da far tacere anche le oche del Campidoglio. Ma perché io possaessere forte con Gaddabisogna che mi senta sicuro nelle mie scarpeovverosiache vostra Eminenza mi dica fin dove posso andare col suo nome e col suoappoggio...

- Ho capito! - disse monsignorechinando la testa: e per unistante le due piccole potenze rimasero in silenzio in una grave contemplazionedel fuoco. Quindi come due corrieri chegiunti da strade diverse a uncrocicchiosi preparano a far insieme il resto della stradacontinuarono adiscorrere un pezzoin un colloquio piú sciolto e familiareda buoni amiciche provvedono a guardarsi dai ladri. Il deputato promise di veder subito ilsottoprefetto: il vescovo avrebbe fatto chiamare il curato del sito; se laragazza era già nelle buone mani delle contesse di Buttinigonon sarebbe statodifficile farla viaggiare anche piú lontano; non restava che uno scoglio: ilfidanzatoquesto ex garibaldino.

- Come si chiama questo giovane? - chiese il prelato.

- Giacomo Lanzavecchia - disse il contedopo aver consultatoun piccolo taccuino. - 1 suoi hanno una fornace e un deposito di tegole nonmolto lontano dal Ronchetto.

Monsignore prese nota dei nomidei sitidelle circostanzee promise di scrivere al piú presto le notizie delle sue investigazioni.

Il conte posò le labbra sul ceruleo topazio e venne via infretta col suo passetto dimezzatodesideroso di veder Giacintoprima chepartisse per Roma. Lo trovò che passeggiava martoriandosi i piccoli baffiinpreda ad una nervosa inquietudinesotto l'atrio del teatro alla Scala. Infilòil suo braccio in quello del giovine erimorchiandolo verso il caffè Covaandarono a sedersi a un tavolino d'angolo nella sala grande del ristorantedov'era tutto preparato per la colazione.

- Coraggiole cose si mettono bene. Credo di aver vintononunama due causela tua e la mia. È proprio il caso di ripetere col salmista:«Felix culpa...!» etracannato un bel bicchiere d'acqua per spegnerel'arsura interna che lo rodevadisse al cameriereche aspettava gli ordinirittoimpalato nella sua linda falda neracoll'aria anche lui d'un solennediplomatico: - Il tenente beve Lafitte... e in quanto al resto ci mettiamo nelletue maniBiagio. Oggi pago ios'intendeper diritto d'anzianità... - E dopoaver ripulita due volte la bocca col tovagliolodon Lodovicoche sentivad'aver guadagnata la sua giornatadatasi una fregatina di manisoggiunse: -Peccato non essere un Paolo Ferrariche avrei l'argomento per una magnificascena diplomatica. Avessi sentito con che tono alto aveva cominciato: «Vorràconcederesignor conteall'ultimo dei ministri di Dio di saper intendere checosa sia il bene supremo della patria e della religione. A noi non importa tantoil vincere quanto il purificarsi...». Ma poi il sant'uomo scese da cavalloammorbidí la vocesbarrò tanto d'occhi a sentire come suo nipote santifichile festee per farla cortas'incaricò di far chiamare il prete dellaparrocchia e mi ha dato un specie di carta bianca per tutte le autoritàeretiche e scismatiche. Per questa volta- continuò con nervosa garrulitàl'onorevole di Brenomentre col tovagliolo finiva di compiere la pulizia delleposate e dei bicchieri - per questa volta anche il diavolo avrà la sua parte. Ea rivederci alle elezioni generali! Non resta ora che di mettere a posto quelpovero pretendenteche tu hai servito un po' troppo ladramenteturpe seduttoredi ragazze oneste... Che porcheria mi dai per cominciare? - chieseinterrompendosi e volgendosi al cameriereche metteva in tavola un piatto dicibi freddi.

- Huîtres à l'huilesignor conte.

 

III

 

SORELLE NEL DOLORE

 

 

Celestinauna volta che fu persuasa d'accettare conrassegnazione la sua sortetrovò nel palazzo delle due vecchie contesse unasilo quieto e sicuro. Già fin dai primi giorni la confortò il sentirsisegregata in un sito dove non era conosciuta da nessunolontana da quellamaledetta casaogni angolo della quale le ricordava un segno della suadisgraziafuori dagli occhi di Giacomoch'essa aveva ragione di temere come ungiudice implacabile.

Le due vecchie dameche non avevano mai avuto per le maniuna matassa piú ingarbugliatae che nella protezione della fanciulla sentivanodi carezzare i peccati del loro Giacintofecero di tutto per trattarla beneleassegnarono la piú bella stanza della guardarobache dava sull'apertacampagna; eper giustificare agli occhi della gente la presenza di questafanciulla in casadissero alle altre donne e al Rebecchino che l'avevanodomandata in prestito alla contessa per la sua abilità nel ricamare.Avvicinandosi il centenario della Madonna della Nocevolevano finire il belpadiglioneun lavoro di pazienzaminutissimoper il quale non bastavano lesole loro mani e i loro poveri occhi. Questa Celestinaoltre a essere brava dimanoaveva bisogno di rimettersi anche di una malattiadi cui recava letraccie sul visomentre a Cremona l'aria non è cosí buona. Con queste edaltre abili bugietteriuscirono a rendere naturale non solo la sua presenza aButtinigoma a giustificare anche una certa quale predilezionedi cui facevanosegno la povera orfanella.

Fecero portare nella sua stanza il telaio col bellissimolembo ricamato a imitazione d'un arazzoofferto dalle monache Preziosine diMonza. Tra due alti margini di corone di spine intrecciate e ricorrenti sisvolgevano i profili simbolici della Passione di Cristoi calicii flagelliichiodila croce a punto ribattuto di seta crudacollegati un oggettocoll'altro dalle iniziali di Maria Santissimaa punto rincrunato d'orosopraun fondo di raso color cielo persoche mandava fosforescenze di madreperla.

Donna Adelasiache per essere stata fidanzata tre mesi alpovero marchese Caccianinosi sentiva nella condizione non solo di conoscerema anche di poter discorrere dei piccoli misteri della vitale aveva tenuto findai primi giorni un gran discorso per raccomandarle la prudenzalarassegnazioneil santo ritiro:

- Qui - le disse - devi considerarti come in un convento. Nonti mancherà nullama non devi offrir motivo ai discorsi della gente. Quandouna povera ragazza ha avuto la disgrazia di perdere il fiore della santapuritànon può avere che un conforto: la religione. Quando capitano certedisgraziecom'è capitata a tepovera pecorellala gente non crede mai chesia senza colpa. E allora diventa uno scandalo il solo farsi vedere. Negliesercizi della pietà potrai trovare la tua redenzione e anche la pace delcuore. Col tempo non ti mancheranno le occasioni per acquistarti dei meritipotrai consacrarti al servizio dei poveri e degli infermi in qualche ospedale etrarre dalla tua stessa disgrazia i piú preziosi frutti spirituali. Ho lettoche una grande peccatrice di Parigitocca dalla graziadopo tutta una vita diperdizionesi era data all'esercizio delle buone opere con tanto fervore chetutti la chiamavano la madre dei poverelli e morí quasi in odore di santità.Questo non per dire che tu sia una donna cattivapovera pecorama perdimostrarti che si può sempre in ogni condizione ottenere i doni della divinamisericordia.

A queste raccomandazioniche la carita sincera e latrepidazione paurosa di uno scandalo inaudito suggerivano allo spirito strettodella pia damaCelestina non sapeva opporre che un attonito sílenziocome chiteme di offendere col voler capire piú di quel che permette la sua ignoranza.Non sempre sapeva entrare col pensiero nello spirito delle cose che sentivadirenon sempre osava rispondere a interrogazioni che contenevano curiositàoscure o mal repressemiste a bizzarrie di desideri invecchiati o mortiinsoddisfatti; ma cedeva volontieri alla seduzione carezzevole della benevolenzae della protezione di queste buone signoreche avevano nelle mani la sua vita.Come un'edera molle e rigogliosache si attacca e si stende sopra un vecchiomuro cadentenel suo abbandono e nella sua incapacità si sentí appoggiata aquesta protezionesi adattò al mite e ombroso ambientemise volontieri lemani in un lavoroche parlava già da sé stesso di sacri dolori e di eterneconsolazioni. Le crisi divennero meno frequentiperfino un'ombra di coloreriapparí sulla pallidezza del suo volto lavato da troppe lagrimesi abbandonòalle pratiche della pietàche per gli spiriti umili e bisognosi tengono ilposto delle persuasioni che non si possono procacciare; accettò di buon gradotutte le medagliette e tutte le coroncineche mandava il convento e che lesante dame facevano venire apposta per lei da Lourdes o da Loretopiccoli segnidi quella forza di fedeche è piú facile canzonare che non sia il farnesenza.

Cosí passò tutto il novembre.

Dopo una nevicatache rallegrò le feste di Sant'Ambrogio eche lasciò le campagne belle biancheil dicembre seguí eccezionalmente dolce.Il piú bel sole si diffondeva nella stanza dove le pie signore tenevano unvecchio altarino colla statua dell'Addolorata sotto un tempietto di fiori dicarta. Donna Gesumina che era bravissima nei lavori pei quali ci vogliono maninedi piumaveniva spesso a trovarlasedeva con lei davanti al telaioordiva iltessuto nuovodava qualche suggerimento per il resto. Se il punto era alquantocruccioso o troppo pigro per sostenere la pazienzala buona signora intonavasotto voce le litanie su una cantilena facile e girante come un arcolaiotaleda aiutare senza sconvolgerlo il filo del lavoro. Celestina in quella vocina dimonaca digiuna faceva entrare a intervalli la bella nota media della sua vocecon cui soleva sostenere le litanie al Santuarioe si lasciava cullare cosí inuna dolce dormiveglia piena di oblio.

Nelle nature sane pare che anche i dolori perdano del loroveleno e finiscano coll'essere assorbiticome sono assorbiti dalle sanecostituzioni i contagi che persistono. Un secondo dolore non fa piú soffrirecome un primocome se i tristi pensieria furia di passarefacesseronell'anima un solco sempre piú inclinato e largo.

Come il montanaro si abitua a portare sulle spalle i piùgrossi carichi e non si sente ben equilibrato sulle gambese non quando hatutto il suo solito peso addossocosí si oserebbe quasi dire che la natura diaalle costituzioni robustenon guaste dalla troppa filosofial'abitudine diportare una certa quantità di patimenti.

Questo può spiegare come nel rifiorire della pace anche ilfisico della ragazzaaiutato da forze spontanee piú potenti della volontàricominciasse a fiorire. Nel benessere di tutto il corpo essa provava non rariistanti di ristoro e di nervosa ebbrezzanon priva di godimenticome capitanei dolci istanti di buona convalescenza. Anima semplice e primitivapriva diraffinatezze intellettualiincapace di uscire o di allontanarsi troppo dalmomento presentebastava che l'idea dolorosa fosse momentaneamente assenteperché tutte le altre ideequasi ancora fanciulleschegodessero di una speciedi vacanza. A vederla in certi istantiuno avrebbe detto che la sua disgraziaera piú grande di quel ch'ella fosse in grado di soffrirne. Pensava qualchevolta: - Poiché era diventata cosí indegnanon per colpa suaGiacomo avrebbeimparato a dimenticarla. Forse era per lui una fortuna. Giacomo aveva camminatotroppo avanti sulla strada del sapereperché potesse contentarsi di voler benea una povera ragazza come lei. Se la terribile disgrazia doveva fruttare aqualcunoin mezzo al male era un bene che fruttasse almeno a lui la libertàequalche compenso. La contessa aveva promesso chefin dove un male si puòriparare a denaroGiacomo doveva far conto sugli aiuti della sua casa. Allafamiglia dello zio Mauro non sarebbe mancato piú nulla. Ebbene (seguitava ariflettereoffrendo a sé stessanon senza qualche orgoglioquestaconsolazione)se la mia disgrazia salva questa povera gente dai bisogni e daicreditorise mette Giacomo nella condizione di poter continuare nella suacarriera e di farsi col tempo un grande onoreperché devo disperarmi? Certoavrei voluto restituire in un altro modo il bene che ho ricevuto; ma poichè Dioha voluto cosísia fatta la sua volontà.

Ma non sempre questa rassegnazione parlava cosí forte.Improvvise curiosità intervenivano a interrogarla: «Che cosa avrà detto dime? crederà proprio ch'io sia stata innocente? perché non è venuto ancora avedermi? perché non mi scrive? gli avranno detta la verità? sa dove sono e inmano di chi?» In questi incalzanti quesitia cui non era in grado di darenessuna risposta e che andava ripetendo a sé stessa con una ostinazione pienadi rancore e di compiantotornava a provare le vecchie ansietàla sua mentecadeva in paure profonde; agitazioni nuoveaccompagnate da una febbrileimpazienzanon la lasciavano piú ferma sulla sedia.

La contessa aveva le prove della sua innocenzae Giacomo nonpoteva non credere a una donna come la contessa; mariandando minutamente aiparticolari della sua sventuraora temeva che l'interesse avesse a farrinnegare la verità anche ai santiora si accusava di non aver saputorespingere con piú violenza le cortesie del giovine contedi non aver provatoabbastanza ribrezzo di luidi non averne parlato subito a Giacomoe maledicevain cuor suo alla floridezza della sua giovinezzadi cui si era servito ildemonio per perderla. In questo modoco' suoi stessi doloriessa andavafabbricando nuovi strumenti di tortura e finiva col ritrovare la spina delrimorso fin nel fiore dell'innocenza.

In certe orein modo speciale verso seraquandoal moriredella viva luce del dí sentiamo venir meno in noi molte certezzela sua stanzale diventava uggiosa come una prigione. Lampi di follia tornavano a guizzarenella tempesta dei pensieri. Stava immobilecogli occhi perduti in una lentastupefazione sulla campagna coperta di neveo fissi alla linea dei montilontanitra cui andava ricostruendo qualche nota giogaia. Sentiva di esserepiú che mortasepolta vivae piangendodiceva in modo di poter ascoltarsi:

- Giacomoperché mi abbandoni? Vieni a vedere che cosahanno fatto della tua Celestina.

- Non pensiAdelasiache quella ragazza possa averbisogno.di qualche speciale benedizione? - disse un giorno donna Gesumina allasorella. - Ho letto nella vita di Santa Zitapatrona delle donne di servizioche il demonio ama tormentare queste ragazze povere e ignoranti per tirarle almale.

- Certi diavoliquando ci sononon c'è benedizione che lipossa scacciare. Bisogna aspettare che se ne vadano da sè. Sono i fenomeni delsuo stato.

Cosí disse donna Adelasia quasi con solennità scientifica.

- Bastabasta... tu sei piú in grado di me di sapergiudicare - risposeumiliandosila piú giovine delle due vecchie zitelle; enon tornò piú sull'argomento.

Dopo molto aspettareun giorno arrivarono finalmente duelettere di donna Cristinauna per Celestinal'altra per donna Adelasia. ACelestinariferiva in poche righenon tutte sincereil risultato delcolloquio avuto con Giacomo:

«Per quanto il colpo sia stato grande» scriveva la contessa«egli mi ha promesso di perdonaree sarebbe già venuto a vederti costíseun po' di febbre buscata con questi freddi non l'obbligasse a letto. La suapacela sua saluteil destino di tutta la sua vita dipende unicamente da temia cara figliuola. Se tu sarai buonadocile obbediente a tutto quello che tidiranno di fare queste tue benefattricivedrai che col tempo proverai unagrande consolazione. Io faccio pregare sempre per te.»

Nella lettera a donna Adelasia la contessa lasciavatrasparire invece tutte le paure e le preoccupazioni che aveva ridestate nel suocuore il primo incontro con Lanzavecchia:

«Speravo di trovare nel giovine una maggiore arrendevolezza;ma ho paura di aver sbagliato nel giudizio che mi son fatta del suo carattere.Soffre meno per il fatto doloroso che non per l'orgoglio ferito. Il pensiero checi deve qualche cosa gli è insopportabile. Quale altra soddisfazione vorràchiederci? come intende vendicarsi di Giacinto? La mia povera testa si confondee non sa piú che cosa pensare e che cosa temere. Ora è piuttosto gravementeammalatonon si sa se per una minaccia di tifo o per una congestione cerebraleche lo tiene in continuo delirio: e questo dottore non è senza qualcheapprensione. Nel mio egoismo non so piú che cosa augurare a me stessa e aglialtri. Mi pare cheprima d'oranon abbia mai saputo che cosa sia soffrirenémai prima di questa grande battaglia ho tanto compatito chi piange. Orasísento nel cuore le sette spade dell'Addolorata e capisco come le ricchezzeititoli gli onorile vanità del mondonon valgano un'ora di buona coscienza.Non c'è donna cosí povera tra queste contadinecolla quale non farei cambiovolontierise Dio mi potesse restituire la pace. Noil morire non è ilpeggior male: è peggio il non poter morirequando si vuole. Dio sa se iovorrei essere sotto la terra da dieci anni! almeno sarei morta nell'illusionedella mia felicitànella freschezza delle mie gioie maternesarei mortacompiantabenedettae avrei trovato nella memoria de' miei cari il suffragioche ci fa vivere anche dopo la morte. Questa invece non è né la vitané lamorte. È un'agoniaun singhiozzo che non cessa mai. Io sono un dolore solotemo d'ogni scossanon ho piú lagrime e non ho finito di piangerenon horiposo né giorno né notteepoiché non posso morireinvoco quasi lapazziache mi liberi da questa spaventata coscienza. Lorenzoche non deve maisaper nullas'è lasciato persuadere a restare al Ronchetto fino a dicembre:cosí almeno spero di poter rivedere il giovine e di strappargli almeno unapromessache salvi la mia povera casa. Come potrei abbandonare questo campo dibattaglia? Alla ragazza non dite nulla per ora di questa malattia del giovine;ma procurate di secondare le ideeche espongo nella lettera qui inclusa perlei. E poi pregate per me: mai ho avuto tanto bisogno della preghiera di tutti.Giacinto non scrive piúma so che mi rimprovera di non saper far nulla perlui. Non immagina nemmeno quel che mi costa di fatiche e di spasimi questa suacolpa. Dio salvi lui e me dal dover rendere i contiQuando mi sforzod'immaginare quel che accadrebbe intorno a noise uno di questi giornali nostrinemiciche combattono per l'empietàstampasse il nostro nome nella cronacadegli scandali; quando penso al giudizio che di luidi medi suo padrepronuncerebbero i nostri parenti e gli amici che ci stimanodico il verononmi pare quasi che sarebbe un maggior avvilimentose Giacinto riparasse al suoerrorecome si fa in altri cetisposando la ragazza.»

 

IV

 

 

SOGNI E COSE VERE

 

- In quanto a questosignor Giacomoc'intenderemo concomodo. Norma non aspettava che una parola. Dillo tu se non è vero. - Ilsignore della Rivaltasollevando una mano curva e lunga verso sua figliasorridevamovendo le mascelle di can segugiomentre la bella Norma dagli occhidi odaliscaappoggiata mollemente allo stipite dell'usciolasciava caderepiccolissimi baci sulla cucuzza della cagnolina.

L'ex impresario mise l'un sull'altro venti logori bigliettirossi da cento liredopo di che soggiunse:

- Oracaro signor Giacomonon le resta che di firmarequeste due righe.

Giacomo si affaticò inutilmente per chiarire gli sgorbichel'amico protettore gli mise davanti. L'aria della stanza cominciava a diventarecenericcia. Dopo aver esitato un gran pezzonon senza provare in tutto il corpoun inesprimibile senso di cascaggine e come un dolore sonnolentocheserpeggiava nelle ossafirmò e buttò via la penna con un atto di ribrezzo. Ilsacrificio era fatto! Per riscattare la sua dignitàper salvare e sostenere ilsuo ideale moraleera venuto alla Rivalta a cercar questo denaro all'amicousuraio; ma sentiva chefirmando la cartasi vendeva anima e corpo al suocreditore ed alla sua bella zingarache lo dominava coll'occhio della civetta.Ma domani avrebbe potuto dire ai signori del Ronchetto: «Ecco il vostro denaro;ora posso difendermi; ora comincia la mia vendettao signori!». Avrebbe volutoprendere il denaro e andarsene da quella casa: ma si aspettava un caffèuncaffè che non era mai servito. Al di là della sogliaoltre l'uscio dellacucinavedeva passare e ripassare infagottata in una gonnellacolor dell'acquasporcala Serafinala serva ladrachenicchiandogli cogli occhi loschiglivoleva far capire che la bella ragazza era innamorata morta di lui... - Ah!finalmente aprí davvero gli occhie vide che era un altro sognoo qualchecosa di ancor piú irrazionaledi piú manchevole di un sogno. Da immagine inimmagine la sua povera testadivorata dalle fiamme della febbrepassavaattraverso un mondo d'idee posticciedal quale usciva per improvvisi sbalzinervosiper ricadere nella realtàper uscire poi di nuovo a raggirarsi intetri labirintiin mezzo a concetti logici frammentariche avevano già fattoparte della sua ragionema che ora rivedeva come i frantumi sparsi in terrad'un vetriata dipinta.

Questo pensiero che alla Rivalta avrebbe potuto trovare ildenaro del suo riscatto gli era venuto per vie ignote in mezzo a mille altrisuggerimenti nelle due ore cheuscito dal colloquio della contessaera andatovagolandocome un'anima ossessaper il ghiaieto del fiume. Ora la febbre nonfaceva che dar corpo e colore a una fragile ipotesi. E cosí si mescolavano glispauracchi alle piú dolci visioni; cosí si alternavano i giorni torbidi allenotti di profondo assopimento. Al sesto giorno di febbreil dottor Brandaticominciò a notare un certo sostegno nelle forze: poi vide il male ritirarsi apoco a poco in una forma placida e indefinitain parte divorato dalle suestesse fiammein parte vinto dalla natura sana e robusta del soggetto.

- Se fossimo in agostodirei quasi che è un colpo di sole- rispose una volta alla contessa che lo interrogava sull'andamento dellamalattia - ma credo che in fondo sia una malattia filosofica: Giacomo falavorare troppo il cervelloed il padrone di casa si fa pagare i danni e lespese.

In mezzo ai sogni assurdi e contorti della febbrecheversavano nell'anima inerte dell'infermo una tenebrosa tristezzae che duravanopenosi fino a produrgli l'angoscia e il singhiozzoguizzavano brevi immaginichiare festevolitenui memorie di momenti veramente vissuticome sepasseggiasse tra le sue speranzeo in mezzo a dolci presentimentiche lofacevano parlare e ridere forte. Una volta immaginò di essere nel gran giardinodella villatutto pieno di solecolle belle piante nereggianti mosse dal ventomeridiano. Nei pratelli erano molte farfalle e molti fiori tra l'erbe alte cheondeggiavano al soffio caldo. Per un viale ombroso e fresco donna Enrichettascendevanel suo vestitino rosatenendo un libro in mano; e a lui pareva diandarle dietro con passini leggieriche gli davan l'illusione del volare; equando era molto pressomettendole le mani sugli occhila teneva cosíprigioniera. Mentre aspettava che la giovinetta rispondesse col suo riso vivo emolleal sentir le mani umide e caldeal gemito singhiozzante che a leisfuggiva di boccasi avvedeva con umile e profonda pietà di stringere nellemani per un inesplicabile inganno la testa di donna Cristina.

Fu sotto il palpito doloroso di questa visione che una voltabalzò sul letto.

Riconobbe la sua stanzail suo lettola finestra socchiusaein un angoloil tavolino con su accatastati i libri e le carte alla rinfusa.Non c'era nessuno in quel momento nella camera. Vedendo sul tavolino da notte ibicchieri e i barattoli delle medicinecapí ch’egli era malatomalato d'ungran male alla testae che il suo svegliarsi era simile all'uscire da unsepolcro. Facendo leva col braccio vinse la stanchezza del corpoalzò il capoche gli pesava come se fosse cerchiato di ferro; lasciò che la coscienza nelritornare gli riportasse a poco a poco il nome delle cose e il senso dellarealtà. Alla vista della bottiglia dell'acqua stese la mano e bevetteavidamente per spegnere la fiera arsura. Poi si lasciò ricadere in un pesanteabbandono. Cominciò a ricordare in nube che un gran dolore gli era passatovicino e gli avevapiú che il corpoinfranta l'anima. Chiuse gli occhi elottò un pezzo con sé stesso per raccogliere le idee rimaste come dispersealdi là della coscienza; sentendo sonare le ore al campanile della chiesa quellasensazione d’ambasciain cui si era trovato al momento di andare al colloquiocolla contessasi ridestò sotto l'impulso di quel rintocco di campana; laverità gli apparve in tutta la sua brutale crudeltà in un improvviso spiragliodi luce.

Che cosa era avvenuto di lui dopo quel colloquio? che cosaavevano fatto di Celestina? perché non lo avevano lasciato morire?

Un brivido diaccio corse e si mescolò agli ardori dellafebbre seguendo l'onda di questi pensieri che tornavano; nella sua estremadebolezza fisica non seppe respingere un urto di grosse emozioniabbandonò ilcapo sul cuscino e pianse a voce alta.

Mentre ancora le lagrime colavano pei solchisi apríl'uscio ed entrò la mamma.

Al veder la coltre in disordine e il malato cogli occhiapertila buona donna si accostò frettolosamente al letto.

- O Giacomoo mio povero Giacomosei sveglio? come tisenti? benedetto mio figliuolonon sai che cosa ti è capitato e dove ti hannotrovato? Però ti pare di sentirti un po' meglio? piglia una goccia di brodo. Ildottore ci raccomanda di sostenerti le forze. Se non vuoi il brodoc'è qui unalagrima di marsala. L'ha mandato per te apposta di quel vecchio la contessa.Giacomo con un gesto risoluto allontanò il bicchierino che la vecchietta volevaaccostargli alle labbra; e si oscurò in voltocome se avesse visto il veleno.

- Sai che c'è stato anche don Angeloil tuo zio prete? Hasentito a Bergamo ch'eri cosí malato ed è venuto apposta per vederti. Torneràquando starai piú bene.

Per molti giorni non fece che star rannicchiato nel lettotesta sprofondata nei cuscinicogli occhi chiusiin uno stato di pesanteannientamentonon desiderando che il sonnol'oscuritàla dimenticanza di séstesso. Come un fanciullo paurosoche non osa passar da un uscio per nonisvegliare un grosso cane accovacciato noto per la sua ferociacosí egli nonosava moversi per paura di risvegliare la sua riflessione. A certi mali non c'èche un rimedio efficace: il non pensarvi. Ma piú raffinerai la ragione e lacoscienzapiú avrai affilati in te stesso gli strumenti della tua torturaquando la mano spietata del dolore ti lancierà contro te stesso. E Giacomo nonpotè impedire che la forza inesorabile della natura lo portasse nuovamente alsupplizioquel giorno che cominciò a star meglio. Quasi per ritardare diun'ora la necessità di occuparsi di sévolle vedere qualcuno de' suoiefatto chiamare Angiolinolo interrogò sull'andamento degli affari.

Il ragazzocol viso duropiú oscuro del solito e con unaintonazione fredda d'uomo irritatosi fece a riferire minutamente. Erano stateconsegnate seicento tegole al Legnani di Cernusco. La chiesa di Pagnano avevamandato a prendere altri quattrocento mattoni di pavimento. La Lisa avevaincassato cinquanta lire a saldo del conto Lavelli di Brivio... - E restava lícome oppresso da un cattivo pensiero.

- E Battista? - chiese Giacomocheper paura di séandavain cerca degli altri.

- Battista non parla piú di andare in America. S'è rimessoa lavorare.

Anche la Lisaquando seppe che Giacomo cominciava ariconoscere qualcunovolle far la sua visita. Si sentiva qualche rimorso pervia di quella benedetta linguaccia e non aspettava che il momento di farsiperdonarequantunquea esser giustii fatti avessero data ragione a lei e nona lui. Per quanto male avesse potuto dire di madamisellacento lingue come lasua non sarebbero bastatepensava la Lisaa dir tutto il male che madamisellasi meritava. Che fosse una leggerona si sapeva: ma in casa Lanzavecchia non siosavano nemmeno immaginare certe vergogne! Il Signore questa volta aveva volutobene al povero Giacomo col fermarlo a tempo sull'orlo del precipizio. Semadamisella avesse portato in casa certe abitudini... uh spavento! uh ludibrio!- La Lisa entrò nella stanza del malato colla sua andatura angolosa e rigidaavvolta come una vecchia ombrella nei vestiti flosci e cascantiche avevanotutti i colori dell'acqua piovana: eaccostatasi con passi contati al lettodisse al malato-.

- È vero che ti senti meglio finalmente? - e non seppetogliere a quel finalmente un certo tono d'impazienzain cui si sentiva il buoncuore litigare col dispetto.

- Sai che ci hai spaventati bell'e bene? Se ti sentivi cosimale perché non parlare a tempo? Sempre cosí voialtri uomini. Rimproverate anoi donne di parlar troppo dei nostri mali ma neanche il tacer troppocome fatevoinon è un bel sistema. Covare i mali e non pensare a curarli che quando nonse ne può piúè proprio come andare dallo speziale a comperare la febbre. Mapazienzae sia lodata la Madonna! - soggiunse senza intenerirsi troppo suquesta devota giaculatoriaperché in cuor suo sentiva per un razionale istintochequando la Madonna vuol proprio bene a un povero cristianoha tutti i mezzidi risparmiarglieli addirittura certi dolori.

Nello sforzo che la ragazza magra faceva per contenersiumilmente davanti al letto del malato e per dare alle sue parole un senso dimansuetudinei gomiti le uscivano acuti e irritati dai fianchila sua testaspettinata s'irrigidiva nella luce cruda della finestra.

- Adesso cerca almeno di guarir prestoperché tu sei piúnecessario di prima a questa povera casa senza tetto. Questa povera donna -soggiunse indicando la mammache rientrava colla tazzetta del brodo - non èpiú quella di prima e non parla che di morire. Io dico che per morire moriremotuttiquando sarà la nostra orae non c’è bisogno di mandare suun'istanza; ma il Signore dice: «Aiutati che ti aiuterò». Cerchiamo didimenticare le cose passate e amen. Anche tuGiacomodevi farti una ragioneperché tutto il male non vien per nuocerese dobbiamo credere a quel che èvenuto a dire lo zio prete.

- Che cosa è venuto a dire? - domandò con aria stanca ilmalato.

- Ha detto che tornerà e parlerà con piú comodo - fupronta a interrompere la mammalanciando una viva occhiata di rimprovero allafigliuola. - Ora pensa a guarireche è l'importante: al resto penseremo poi.Le some si aggiustano per via.

- C'è stata due o tre volte la signora contessina colla suamaestra a domandare tue notizie - disse Angiolino che capí la necessità disviare un discorso difficile.

- Ti va? - chiese la mammaincoraggiando il malato aprendere il brodomentre lo aiutava a mettersi un cuscino dietro la schiena. -È tutto brodo di cappone.

- Lo si doveva mangiare per Natale- disse la sorella - maè sempre buono quel che arriva a tempo. Per Natale metto in collegio un beltacchinose avremo voglia di mangiarlo. Intanto io son del parere che tu abbiaa vendere allo stracciaiuolo tutta questa filosofiache ti guasta lo stomaco. -La Lisa indicò i libri e le carte ammucchiate sul tavolinofacendo colle duemani il segno di chi spazzola l'aria. - Giàcredi pureil mondo non lo sirappezza piú nemmeno con la carta stampata e una buona digestione vale unadozzina di belle massime. Quando c'è la salutea che cosa serve la spezieria?

- Tu gli fai la testa grossa cosí - rimproverò la mamma.

- Badate a tener nota esatta di tutto quello che spendete perme... - disse Giacomorannuvolandosi in voltocon uno sforzo dolorosoche glifece la fronte umida di sudore.

- Non parlar di contiadesso- riprese la mamma - e nonpigliarti pensiero per noi. Don Angelo ha detto cheper tutto quello che cipuò abbisognaresi abbia a ricorrere a lui.

- L'ha mandato san Giuseppe coll'asinello questa volta -aggiunse la Lisa.

- Del restonon siamo in un deserto e non manca la gente checi vuol bene.

Anche Battista si lasciò rimorchiare dalla mamma a far lapace con Giacomo. Questi lo salutò colla manomentre l'altro entravaraggirando con una mano il cappello e grattandosi coll'altra la nuca.

- Voletevi bene e addio! - disse la mamma. - Ora dobbiamolavorare tutti per ciascuno e ciascuno per tuttianche per benedire allamemoria di quel pover'uomoche ci aspetta in paradiso.

La Santina passò in fretta un angolo del suo grembiale neglispigoli degli occhi e continuò a promettere per Battistache s'induriva sottole carezze della tenerezzafino a perdere l'uso della favella. La mamma invece(e non isfuggí al nostro malato questo fenomeno) rianimata dal pensiero diessere utilecontenta di vedere un po' di pace tornare in famigliastava perritrovare la sua antica alacrità di spirito. In fondola disgrazia diCelestina rappresentava per leia parte il dispiacerela liberazione del suoGiacomoche con tanto sapere e con tanta abilità poteva aspirare a qualchecosa di piú bello che non sia lo sposare una stracciona senza un soldounamezza contadinauna figlia di nessuno. Nel suo orgoglio materno la Santina erapersuasa chese Giacomo metteva il suo cappello sulla soglia dell'usciolepiú belle doti dei dintorni ci saltavano dentro.

Non poteva mancare la visita del vecchio Blitz. Quando capíche il padrone cominciava a veder qualchedunoil brutto caneche da cinque osei giorni non abbandonava la loggettasi fece coraggio e venne innanzi afiutare il letto. Giacomoaprendo gli occhiincontrò quelli buoni e lagrimosidel fedele animale; sporse una mano dalla coltregli strinse il musolocarezzòlo interrogò a lungo con uno sguardoa cui il vecchio filosofopessimista rispose con un tremito convulso di tutto il corpo e con un lentodimenar della coda.

- Hai sentitoBlitzquel che ci hanno fatto? - mormoròGiacomocome se volesse provare la voce e le forze in presenza del suo prudentecompagno. - Hai sentito quel che hanno fatto della nostra povera Celestina? Enon è finitave'Blitz; ne vedrai di piú brutte.

Se non propriamente pronunciatequeste tristezze furonoespresse dallo sguardo dell'uomoraccolte e compatite dallo spirito del canecheposate le due zampe pelose sulle coltri del lettomandava un gemito comed'anima sofferente.

 

Le forze fisiche tornarono a poco a poco einsiemeandavacrescendoal tornare della coscienza del suo statoil terrore e la vergognadell'oltraggio ricevuto. L'animogià cosí paziente e tollerante dei malicorrevaal divampare dell'odioa pensieri di estrema violenza: l'occhiofissavasi in una sua idea lugubre: l'infermo stringeva i pugni sotto le coperteo si metteva a sedere sul lettocome se cercasse di misurare le sue forze peruna estrema battaglia. Non poteva finir cosí! Era un risveglio assai doloroso egrottesco per un filosofo idealistache stava sognando l'amabile conciliazionedegli uomini colle forze nemiche della natura! All'urto feroce della realtàegli si avvedeva d'aver riflesso nella sua filosofia le cose del mondo forse conuna certa limpidezzama semplicemente capovolte! Aveva creduto nell'illusionefantastica della sua solitudine di stendere il volo ai piú alti cieli e inveceera semplicemente la terra che gli mancava sotto i piedi. Mai ingenuitàfilosofica era stata piú punita! mai s'era vista una piú grande incapacità!

Che gli restava di fare? egli non poteva restar eternamentecosí immerso in un morboso letargoné chiudere gli occhi bastava per nonvederené sprofondarsi in un sepolcro significava esser morto. Dalla rovinadelle sue costruzioni fantastichecome tra gli sconquassi d'un'immensaimpalcatura posticciaqualche cosa d'immobile e di massiccio era di sottocontro cui ogni uomo va a battere la testaove non sappia edificarvi sopra lavita. Cadevano i vaghi pensierima restava il dovere da compiere. Bisognavainsomma far qualche cosa per séper Celestinaper il suo onoreper lafamigliaper l'opinione del mondoper la pace dei buoniper il riscatto dellacoscienzaper il sollievo dell'animo esulceratoper la difesa degli innocentiper il castigo dei tristi. Ma dove cominciare? a chi chiedere la forza dell'odioe della vendetta? come rompere le catene ormai irrugginite della sua anticaschiavitú morale contro questi benefattoriche non poteva pagare? All'immaginelaida del miserabileche aveva vituperato con bestiale brutalità quanto dipiú sacro e di piú puro può contenere il cuore d'un uomo sentiva a un trattola sua volontà ingrandirsifarsi di ferro; coll'occhio arroventato fissonell'aria cercava il vilelo ritrovavagli si scagliava addossometteva lemani nel suo sangue e di questo sanguedi cui nella squisita debolezza nervosavedeva le chiazze vermiglie vagolare sulle pareti e sul bianco del lettoprovava una vertiginosa ebbrezza.

A queste fiammateda cui il suo spirito debole e titubanteera trasportato a esagerate emozioniseguivano molte ore di depressione moralee di sonnolenzadurante le quali la forza critica della sua mentequellach'egli era abituato ad adoperare di piú e di cuicome di un coltello delmestieresi serviva per recidere i lacci e le corde degli inviluppi moralirispondeva con una lunga e ironica argomentazione alle rodomontate delsentimento. «Un assassinio? una strage? un duello? Ci vuole un bel coraggio aliquidare con un delitto o con una elegante pantomima il crudele doloredell'anima tua! Forse che il sangue ha mai potuto lavare una macchia e spegnereuna sete? E deve proprio toccare a te questa parte di romantico Ernaniperchési tragga dall'agonia mortale di due cuori un drammaccio volgareche rallegri econtristi di tragica pietà i lettori delle cronache e dei fatti diversi? A chigioverebbe una vendetta volgare? poco a tese pur ti pare che giovi alfrenetico il rotolarsi nel fango; nulla agli altrise non a rendere volgari lepiú delicate sofferenze; nulla a pagare il danno d'una vita spezzata; nulla asoddisfare la legge morale; nulla a nessuno insommatranne che a far piacereagli invidiosi e agli imbecilli». Ma che poteva fare dunque per quellapoverina?

All'immagine di Celestina le lagrime gli correvano agliocchiun nodo angoscioso minacciava di soffocarlopareva che le ultime forzedella sua vita si ritirassero e lo lasciassero esangue. La voce malinconicailviso sconvoltoquel tono di morta disperazionecon cui gli aveva parlatol'ultima volta nel viale del giardinotutto questo tornava vivo e presente ascoraggiarlo di piú. Che cosa rimaneva di tutto il caro edíficio della suavita di lavoro idealedi quel loro amore cosí naturale e ridentecosí tenerodi tutte le dolcezze piú spontanee della vita? Questo loro affetto nonintessuto di astruseriecome sogliono fabbricarne gli spiriti stanchi esciupatima semplice come un fioreera stato il suo orgoglio. Celestinaoltrealle virtú native della donna innamoratache cede all'amore dell'uomo forte esapienterappresentava per lui gli adunati desiderila bellezza idealeilsospirato riposoquanto insomma di eletto sovrabbonda alla vigorosa virtúdell'uomo savio e che la donna raccoglie e conserva per i giorni dellastanchezza e del dubbio. All'idea che di un cosí incantevole edificio nonrestava piú che un mucchio di cenereegli si rivoltava nel lettocacciava latesta sotto il cuscinourlava come una belva ferita chiedendo: perché?perché? L'immaginazione gli procurava non minori tormenti nel fargli sentirequel che al propalarsi del sordido casoi soliti beffardi avrebbero dovuto diredi luidella ragazzadella burla giocata al filosofodella superbia punita dicasa Lanzavecchia. O Dio! qualche soddisfazione egli doveva pur domandare aquesti signori. Nessun anacoreta avrebbe tollerato che una creatura debole einnocente rimanesse senza difesa e senza giustizia sotto l'obbrobrio di unsimile oltraggiosenza assumere nella sua pigra sonnolenza morale unaobbrobriosa responsabilità. Il male che si compieaccettando in silenzio ilmaleè una formae non la piú coraggiosadi complicità. Molte ore restavacosí confittocome un povero Cristoalla croce dei suoi pensiericogli occhifissi alla luce della finestrain cui sbatteva irrigidito il candore dellaprima nevicata; e ripensando per un ozioso abbandono dello spirito ai fatti piúlontani della sua fanciullezzaevocava gli episodi di quel suo antico amore.Sul muro di quella stessa stanzadove giaceva a invocare inutilmente la morteerano rimaste le vecchie traccie di un altarino in due striscie dipinte inmattone rossosimulanti un padiglionetra le screpolature dell'intonaco.Celestina era venuta spesso ad ascoltare una messache il pretino recitavasopra due sedie con indosso il grembiale della mamma in luogo della sacrapianetacon in testa un logoro berretto dello zio prete. Qualche altra voltaegli l'aveva confessatastando seduto in un vecchio armadio; poi l'avevacomunicata con un manus Christi della zia Veronica. Quante volte avevanopreparato insieme le feste del mese di Mariaaddobbando la loggetta dipezzuoledi fraschedi corone di fiorio avevano preparata per la sera unalunga illuminazione di moccolettiin mezzo alla quale sfilava una processionedi ragazzine e di villanelli scalzinel frastuono d'una musica di coperchid'imbuti e di scatole di lucilina! Quando Giacomo predicava dall'alto delseggioloneCelestina con sulla testa il grembialone della zia Santinastava asentirlo tutta raccolta e compuntaridendo a qualche citazione in trappolorumgamberellische usciva di bocca al predicatorecon quel suo risoirresistibile che metteva in iscompiglio la divozione.

Dal suo letto egli vedeva la chioma biancheggiantedell'antico frassino in fondo alla vignettain cui solevano ricoverarsi nelleore calde e cercar nel fitto dei rami una aerea abitazione e fabbricare collafantasia case e palazzi incantatiche tremolavano ad ogni soffio di vento.Venivano ad una ad una queste memorie e partivano da luicome pietosevisitatriciche escano dalla casa di un morto. Che potevano dare questi signoriin compenso di tanto bene perduto?

 

 

V

 

 

FINIS PHILOSOPHIAE

 

 

Il dottorevedendo che la stanza del malato non aveva fuocogli consigliò di cercare un rifugio piú riparato nella vicina camera dello ziopretedove si poteva accendere il caminetto.

Imbacuccato nel gran tabarro a cinque mantelline del poveropàil nostro malato passò i primi giorni della sua faticosa convalescenzasprofondato nel seggiolone dello zio pretecolle gambe fasciate nello scialledi sposa della mammaprovando nella sua sfinitezza e nel tiepore morbido dellacameretta il pigro piacere di sentir la vita rinascere e di contemplare in unavuota estasi i grossi fiocchi di neve cadere sui tetti già bianchi dei casolaricontigui e sui fracidi pergolati. Appoggiava la testa allo schienale alto delseggiolonesul fondo bruno del quale la sua facciaresa piú sottile e nobiledalla malattiaspiccava in una delicata bianchezzae rimaneva cosí lunghe orecogli occhi perduti nella festa luminosa della fiammain cui si agita in modocosí vario e cosí bello lo spirito sottile della vita.

Una mattina pregò la mamma di mettergli accanto sur untavolino tutte le carte stampate e manoscritteche formavano il materiale delsuo libro.

- Non aver troppa fretta di metter le mani in queste tuecartaccie- gli disse la mamma - prima hai bisogno di guarire. Libro piúlibro menoil mondo va innanzi lo stesso.

- Non ho che a fare una piccola correzione... - risposeGiacomo con un malinconico sorriso.

La mamma lo contentò. Gli portò nel grembiale quel granfascio di carteche lo spavento di quei di casa aveva scompaginateevedendoche il figliuolo stava bene e non aveva bisogno di nullasoggiunse:

- Oggi è festae son tre domeniche che non sento una messa.Posso andare?

- Andate puremamma; per ora non mi manca nulla.

- To'vien Blitz a tenerti compagnia - disse la donnanell'uscire.

Il cane venne anche lui a sedersi al fuoco eappoggiando lagrossa testa alle gambe del padronelasciò che questi si attaccassefamigliarmente alle sue orecchie.

Nevicava con forza lenta e silenziosa. Erano usciti tuttienon uno zitto si sentiva per la casa. Se tendeva l'orecchio ad ascoltareparevaa Giacomo di sentire nella delicatezza della sua debolezza la solennità dellagrande inerzia che teneva la campagna e come se quel gran freddo invernaleentrasse a stringere e a irrigidire la sua speranzaappoggiò la testa pesantealla mano e si carezzò dolorosamente la fronte. Era solo nella povera casa disuo padrech'egli non aveva piú la forza di sorreggere.

- Blitz - chiamò con un lento singhiozzo. Il cane sollevògli occhi umidi e stette ad aspettare che il padrone gli dicesse una buonaparola.

- Sta attentoBlitzcome va a finire l'ideale...

Il cane riaprí gli occhi davanti a una luce piú vivachesi alzò nel caminetto. A mazzettia mazzettiGiacomo seguitò a gettare sulfuoco il manoscritto e i fogli di stampafin che rimasero immersi nella braced'oro in un misero pugnetto di carte carbonizzate. Tratto trattosotto icontorcimenti dei marginiuscivano in una traccia sanguigna le righe e perfinle parole dov'era passatadove aveva palpitato l'anima del filosofo. Esitandoil ventoche scendeva dalla cannaa scomporre e a rapire le povere spoglieGiacomo nel furore con cui un suicida si pianta un coltello nelle carni viveurtò colla pala quell'inerte mucchio di vani pensieriche svolazzando in unafuga sgominatasi dispersero per la nera gola.

- Finis philosophiae - mormorò con grave accoramentochiudendo gli occhi e appoggiando la testa affaticata al palmo della mano. Diche cosa avrebbe vissuto domani? Per rompere con un atto materiale la cupamisantropiache minacciava di soffocarloprovò a muoversiuscíappoggiandosi alla parete sulla loggettada dove l'occhio correva sui campiaperti e sui tetti delle fornaci; posò lo sguardo sulle suppellettili e sullecento coseche il tempo e l'uso della vita avevano radunato nel portico e chenell'aria livida dell'inverno gli parlavano con un senso d'infinita tristezza.

Sentendosi abbastanza sicuro sulle gambeprovò a scenderele scalee quando fu abbassonella cucinasi accostò al caminodove bollivasommessamente un caldanoe sedette nella poltrona di legno del pàche erastata la poltrona dei vecchisempre davanti a quel medesimo camino dallepanchette logoratedagli alari consuntidagli oscuri ripostiglichecontenevano le cose dei morti. Ogni generazione vi aveva dimenticato qualchecosachi una pipachi una scatola di fiammiferichi una tabacchierachi unamonetachi un cartoccio di tabaccochi un libro da messa o un rosarioo unbastoneo un falcetto; e si sa che ogni cosa lasciata indietro ha dentro di sèun poco dell'anima di chi è partitocome resta il calore della vita per brevetempo anche dopo che la vita ha cessato di battere nel corpo. Molta cenere erastata portata via e dispersa dal giorno che davanti alla pietra scolpita delcamino era stata accesa la prima fiamma; e ogni cenere morta contiene un pugnodelle nostre speranze! Ma nessuno de' suoi era stato avvilito e amareggiato comeavevano avvilito e amareggiato il filosofo di casail grand'uomoche intorno aquell'affumicato edificio di casa sua aveva creduto d'innalzare un tempio idealericco di pietre preziose. Non era passato un mese dal dí che aveva sognato difar sedere Celestina al suo fiancolí davanti a quel caminoe di rinnovarecon lei nella casa dei Lanzavecchia un nuovo patto; ma intanto ch'egli costruivai sogni suoi nella cenerec'era chi faceva di lei e dell'onore di tutti e dueil piú orribile strazio. Nononessuno dei vecchi padri era passato perqueste verghe; nessuno avrebbe saputo immaginare per sé una simile ignominia.Questi era riservata al discendente filosofoal raffinato analizzatore dellavitaperché avesse con comodo a scriverne un bel libro. Questo gli andavanoripetendo con ironico aspetto le sediele cassegli utensili accostati almurola polverosa cicognache alzava il collo di mezzo ai trespoli consuntisull'armadioquesto gli suggeriva ogni altra apparenzaa cui l'occhiol'abitudinela memoria avvessero attaccato un po' della sua vita. Che stavaegli a tener in conto questa sua miserabile esistenza senza benesenza coraggioe senza rassegnazione? L'odioche gli stillava dal cuorenon faceva checorrodere come un acre veleno le sue visceresenza infondergli l'ardimentod'una vendetta o di una qualunque azione vigorosache giovasse alla suadignità. Il suo posto nel mondo non poteva essere che un oscuro nascondigliocome si riserva agli arnesi scassinati; e allora che giovava il vivere?

Ancora una volta si mosse e girò intorno alla tavolanonpotendo star fermo su questi aculei; ma nell'alzare gli occhiun cupo pensierosi fermò sullo schioppo da caccia a due canneattaccato per la bandolieralungo il muro sulla cappa del camino. Era un vecchio schioppo di buona fabbricabresciana d'un calibro solido e pesanteche nelle mani del pà non aveva maisbagliato un colpo. Giacomo osservò che uno dei cani aveva la capsulasegnoche c'era dentro una carica. Con un braccio appoggiato alla sponda della tavolaa cui cercava di reggere il corpo affievolitosi domandò con terrore se ilcaso ha i suoi suggerimentisocchiuse gli occhivolò con l'immaginazione aquel che poteva essere di lui al di là d'un gesto fatale. Un gran picchio dicuore gli fece sentire il rombo della schioppettata e si rimirò disteso colpetto squarciato attraverso la pietra del camino. Cedendo al fiero invitomontò sopra una sediadistaccò il fucilealzò il cane sulla capsula...girò gli occhi intorno... Proprio in quell'istante presero a suonare le campanedel Sanctus della messa.

- Povera donna...! - mormorò: e buttò la capsula nellacenere. La notteebbe un breve ritorno di febbre; tanto che il dottore gliconsigliòanche in vista della brutta stagionedi restare a letto qualchegiorno di piú.

 

 

VI

 

I CONSIGLI DELL'ESPERIENZA

 

 

Don Angelo Lanzavecchiaincaricato da monsignore di trovarea questa dolorosa avventura una risoluzione che accomodasse senza scandalo leparti offese e che nello stesso tempo fosse di soddisfazione alla giustiziatornò alle Fornaci verso la metà di dicembre per avviare con Giacomo undiscorso semplice e praticoispirato alle necessità e ai freddi consiglidell'esperienza.

Il vecchio preteche era un uomo di fondo ruvidotto ecampagnuolocolla trascuranza propria di chi sa che a questo mondovoltala erivoltalauna cosa val l'altraconvinto per la lunga pratica della vita cheatirarla tropposi rompe anche la corda del pozzoespose con naturale bonomiatutte le ragioniper le qualia parer suonon si doveva respingere la manoche i signori del Ronchetto stendevano a chiedere perdono e ad offrire una buonariparazione.

- A far degli scandali si fa presto- disse il vecchio uomoche colla persona colossale e tarchiata riempiva tutta l'aria di un uscio - maio ho sempre visto che gli scandali non sono che il teatrino dei gonzi. Chibutta in aria il fango se lo butta facilmente in viso. Quel giovinastroseduttore non me lo puoi ammazzareperché si ammazzano le galline e non icristiani: e poiquando pure ti fossi abbeverato di sanguenon puoi fare chenon sia avvenuto quel che è avvenuto. Non te la puoi pigliare colla poverinache non ha nessuna colpa. La contessache avrebbe tutto l'interesse adaccusarla e a farla passare per una civettavedi invece che la difende a spadatratta e mette la sua innocenza fuori di discussione. Non ti resta dunque che dipigliartela con te stesso; bravoma tu sei il meno colpevoleavendo semprenelle tue azioni operato con buona intenzione e con sincerità. Se l'ammazzareè un mestiere da beccaiol'ammazzarsi è da asino. A chi gioverebbe unatragedia? a te noa Celestina nemmenomeno ancora a tua madre e alla tua casa:tutt'al piú servirebbe a far sapere anche a chi non lo sa che ti hanno fatto ungran torto. Sicuro che fu un gran torto! e capisco come tu possa averne la testamalata: malasciando stare che anche a nostro Signore ne hanno fatto dei tortie grossiiose dovessi sceglierevorrei sempre essere tra coloro che liricevono i torti e non tra coloro che li fanno. Il mondo fu sempre e saràsempre pieno di trappole e di dolori. In qualche modo bisogna che anche il malesi manifesti. Oggi è una grossa flussionedomani è un tremendo mal di dentidopodomani è una ladreriache ti fanno patireo un'ingiuriao una coltellatache ti dànno nella schiena: è inutile! il diavolo c'è e vorrà sempre metterle corna nelle faccende del mondo. Che possiamo e dobbiamo fare noi cristiani difronte a questa dichiarazione di guerra? Darla vinta a berlicche? Rinunciarealla battaglia per paura delle botte? Il diavolo lo si piglia per le corna e glisi dice: Io sono piú forte di te! Alle tue cornate non c'è nulla che piúresista come un buon cuscino imbottito di pazienza. E lo sai meglio di me tuche hai letto i classici; e sai quel che dice Virgilioche non era un coglione:«Durate et vosmet rebus servate secundis...» - Qui il vecchioprete tirò una presa dalla scatola d'ossopoi continuò: - Stando cosí lecosenon vedo che un mezzo possibile per uscire da questo ginepraio. Chinar latesta alla volontà di Dio e lasciare che il tempo faccia maturare ilsacrificio. Tu non puoiqualunque sia il tuo modo di vedereabbandonareCelestina in mano agli altrinon puoi chiuderle l'uscio in facciacome sefosse una donna perdutanon puoi spingerla sulla brutta stradacome purtroppocapita a queste povere figliuole senza protezione. E se la disperazione leandasse alla testa? e se in un momento di pazzia commettesse uno sproposito? Nonv'è bisogno d'avere studiato per capire certe necessità. Non puoi nemmeno farcadere il castigo delle colpe altrui su tua madresu tua sorellasulla tuacasaa cui oggi sei piú necessario di prima. L'amore saràanzi deve essereuna bella cosadal momento che Dio lo mette nel cuore degli uomini; ma il mondonon lo si mantiene soltanto coll'amore. Ci deve essere anche il dovere perfodera. E non si abbandona mica una povera madre vecchia a morire di stenti e didolore colla scusa che un fringuello ci ha rubata l'amorosa. I tuoi crediti nonpagano i tuoi debiti. Queste massime le sai meglio di meperché se non misbagliodevi averle stampate con altre parole in qualche sito: ebbeneeccoarrivato il momento di metterle in pratica. Il miglior modo per fare dellafilosofiaè quello di viver da uomini onesti e coraggiosi. Ad agitaredell'inchiostro ogni fedel minchione è filosofo: e se la va a parolenon c'èun prete che non meriti d'essere messo sugli altaricaro Giacomo- soggiunsestringendo tra le due mani massiccie lo stomaco e la schiena del nipote cherannicchiato nel seggiolonepareva diventato ancor piú poco - ma vedi invecequanti pochi sappiano essere quel che si dovrebbe essere. Coraggio e pazienza!Prima di morire ne avrai a vedere molte ancora delle corbelleriee non c'ènulla di piú inutile quanto il meravigliarsi; l'ha detto anche Salomone qualchebuon secolo prima che si inventasse d'attaccare il picciuolo alle ciliege. Civuol pazienza! Lascia operare il tempoe vedrai che tutto passa e ripassa. Peruna foglia che cade ne spuntano mille. - E siccome Giacomo non sapeva che cosarisponderedon Angelo si offrí di prender lui l'iniziativa: - Vuoi dare cartabianca a me e a tua madre per accomodare questa faccenda? Tu non ci dovraientrare. Cosí potrai dire di non essere venuto a patti con nessuno. Lascia farea quelli che hanno stracciate molte paia di scarpee ti troverai contento dinon aver impedita la pace.

Che cosa poteva opporre Giacomo a queste ignudeargomentazioni di un senso comune cosí attaccato alla realtà delle cose?

Il nostro idealista non poteva impedire che le ragioni dellafilosofia pratica e dell'esperienzacontro cui venivano a battere le sueillusioninon fosserodureimmutabiliinamovibili. Chinò la testachiusegli occhie pregò che lo lasciassero riflettere.

 

 

VII

 

UN MAZZETTO DI LETTERE

 

Donna Fulvia di Breno a Giacinto

Milano15 dicembre.

Dunque siamo sulla buona strada. Monsignore non ha perduto ilsuo tempo e forse la patria è salva. Riservandosi di regolare la partediremocosícanonica della questioneMonsignoreche ha fiutato il pericolo in ariaha fatto chiamare subito il parroco del sito. Da prete in pretesi scoprí cheun Lanzavecchia è vicedirettore d'un collegio vescovile e fu chiamato anche luiad audiendum verbum -(excusez le latin) - e a lui il vescovoordinò tutto quel che un vescovo può ordinare in una circostanza come questa.Don Abbondío andò al castello dell'Innominatovoglio dire cercò i parentidella povera innocentina (glissonsn'appuyons pas)mise innanzi laparola autorevole del vescovo e qualche altro argomento piú persuasivo. Tantofece insomma questo nuovo Boccadoro che a quest'ora il tuo peccato mortale hareso o sta per rendere a quei disgraziati come un doppio raccolto di bozzoli. «Eltempesta mai a dagn de tucc..». dicono i nostri contadiniche hannoanche loro una filosofia degna di essere stampata. Pare che anche don Abbondioavrà il suo compensoappena resterà vacante un posto di canonico in duomo.Lodovicoche mi ha dato queste preziose notizieè aux angesperchéha potuto scongiurare un diabolico complotto clericale contro il nostro partitoe consolidare la sua base elettorale presso questi buoni curatichese fosserotrattati un po' meglio dal governosarebbero in fondo una nostra forza.Lodovico dice che il partito moderato ha sempre esagerato sulla sua politicaecclesiastica e che fu una grande insipienza l'aver disgustato il basso clero.Vedo che dovrò anch'io regalare almeno una lampada all'altare della Madonnadella Nocequantunque abbia il cattivo gusto di lasciarsi vestir cosí male.

Revenons à nos moutons. La ragazzache fu tenuta finorasotto la protezione di quelle due farfalle angeliche delle tue zie di Buttinigosarà per raccomandazione del vescovo inviata a un ospedaletto di suorefuoridella diocesidove troverà nei conforti della religione e della carità quelcoraggio di cuipoverinaavrà presto bisogno. O iniqui peccatori! Vedete diquali tristi conseguenze siete cagione? e potete ancora andar saccheggiando comei lanzichenecchi le fragili virtú e le riposte dovizie della bellezza? Scherzia parteGiacinto; se vuoi proprio bene alla tua povera mammàcome vuoi farcrederenon star piú colle mani in mano. Prendi una bella penna e scrivi unletterone coi fiocchiin cui ti mostri riconoscente di tutto quel che ha fattoper tee chiedile perdono di tutto quel che le hai fatto soffrire. E promettidi lasciarti guidare da' suoi consigli. Quando si ha una mamma santa e ditalento come hai la fortuna di possederela strada della virtú è giàsegnata. E colla medesima penna scrivi allo zio Monsignore un'altra letterapiena di lagrimeche cominci colle parole: «umilmente prostrato a' suoipiedi...» e finisca colla promessa che gli fai di piangere tutta la vita questotuo giovanile traviamento. Non ti pesi troppo di riempire tre o quattrofacciateche non mai fatica letteraria sarà piú ricompensata. L'esperienza lasi deve pagare a proprie spese: ma tu saresti indegno del nome che portise daquesta esperienza non ricavassi qualche insegnamento e non ne uscissi collanausea per tutto ciò che è volgare e poco pulito. L'aristocratie c'est dela politesse. Perdona ad una vecchia amica la predica: ma questavolta te la sei meritata.

La tua quasi zietta Fulvia.

 

 

Il conte Lorenzo a Giacomo Lanzavecchia

 

Cremona15 dicembre.

Caro Giacomo

Son dovuto partire dal nostro Ronchetto senza primasalutarvicom'era desiderio mio vivissimo: ma il rigor del verno e questocuoreche da qualche tempo mi travaglia non pocomi hanno impedito di scenderea salutarvi alle Fornaci. Sento tuttavolta che andate via viaper quanto dilento passoriacquistando la sanitàla qualesecondo che parve a tutte lefilosofie del mondoè il miglior dono di natura. Noi abbiamo ritrovato inCremona le solite nebbie e le tristezze solite; e temo che il verno per lepresenti difficoltà politiche non abbia a rimuovere i dolori di questa plebecui già troppe voglie mettono in quello statoche non può trovar posa insulle piume. Spero nella diligenza vostra (tosto che le forze vel consentano)per dar opera a ordinare un primo catalogo di quelle mie iscrizionialle qualièposso direattaccata una parte della mia vita e di quella vanitàchenella vita serve come l'olio delle lampade a rischiarare il sentiero che menaalla morte. Vorrei che l'opera del padre tornasse di sprone al figlioquandoquesti occhi saranno morti alla luce del soleper nobilitarsicome dice ilnostro divino Petrarcain qualche bell'opera di mano o d'ingegno. La classenostraper troppa sete di godimenti sensualitrascura oggidí quell'articheai nostri maggiori diedero lustro e autorità nel mondoonde nessunameravigliase all'insorgere dei nuovi ordini e dei nuovi dritti popolaril'aristocrazia epicurea si mostri impari al compito suo. Questocome sapeteèmia intenzione dire in quel «Discorso preliminare»che premetterò allaraccolta delle iscrizioni gentilizie e che sarà la mia fatica e il mio ozio inquesto tenebroso verno. Vi mando la copia definitiva dell'iscrizioneche hopreparato alla memoria del vostro compianto genitore. «Brevis esse laboroobscurus fio»posso dire con Orazio: ma nulla è piú tedioso quanto unaparola vana; e qui sonmi ingegnato di stringer la maggior quantità di fatti nelminor numero di segni. Ditemi tuttavolta il parer vostroché non tantom'ingegno di piacere quanto di non dispiacere agli amici. Ho dovuto lasciar talee quale la frase arte lateriziachecché dica quel bon'omo del canonicoOstinelli a cui sono cosí care le cianciafruscole manzoniane. Abbiatemi pervostro.

 

Lorenzo Magnenzio di Villalta.

 

 

Giacomo a Celestina

Fornaci15 dicembre.

 

Mia cara e buona Celestinamia buona sorellasono statomolto malatomolto malato per te. Per poco morivo del tuo doloremia poverainnocente. Sarei venuto prima a consolartiad asciugare le tue lagrimese Dionon avesse avuto pietà del mio patimento e non mi avesse per molti giorni toltele forze e la coscienza di me stesso. Ma verròsta certaappena potròsopportare questi freddi e le fatiche del viaggio senza pericoli. Ho bisogno dipiangere con te e di dirti una parola che ti consoli. Qualunque sia la tuadisgraziaper me è certa l'innocenza tua come è certa la luce del sole. Dioterrà conto de' nostri patimenti e farà giustizia. Se anche la contessa nonavesse sostenuta la tua parte contro l'iniquo che ti ha oltraggiatapuoicredere che io avrei dubitato un istante della tua virtú e del tuo affetto?

Gli uomini e Dio giudicheranno il colpevole come si merita;ma tu lasciati giudicare da me. SíCelestinail tuo cuorela tua vitalatua virtú sono nelle mie mani come il giorno che ho raccolto il tuo primosguardo d'affetto. Hanno empiamente calpestato questo nostro affettohannotrascinata nel fango la nostra virtúe questo colpo sarà il principio dellanostra mortema noi possiamo guardarci in faccia senza rimproveri e senzarossore. Io ti assolvo e ti benedicomia povera figliuola! Se potessi esserecostívorrei metterti le mani sulla testa per rendere piú forte questabenedizione. Lascia che essa scenda fino al tuo cuore e lo rinfranchi. Immaginotutto quello di piú spaventoso agiterà i tuoi giorni e le tue notti. Forseavrai maledetta la vitala fedela religionee nel delirio del male avraimeditato cose perverse e terribili. Ebbenenon pensar piú a nullanon dirpiú una parolanon far piú un passo senza prima interrogarmi. Se qualchevolta ti par di morire di dolorecome è sembrato a mepensa che la tua vitanon è tuae che nella tua disperazione io perderei l'ultima forza e l'ultimosostegno di quel coraggiodi cui ho molto bisogno per me e per gli altri. Se mivuoi proprio benein nessuna maniera potresti dimostrarmelo di piúcome nelmostrarti dolce e ubbidiente a' miei consigli.

Fino alle feste di Natale io resterò alle Fornaci: dopoandrò a insegnare in una scuola del Lago Maggiorea Pallanzadove hannobisogno d'un professore supplente per il principio dell'anno. Lasceròaccomodare queste nostre cose in modo che non manchino a' miei fratelli i mezziper lavorare. Se la mamma vorrà venire con meimpedirà che m'intristiscanella solitudine. E chi sa che tu non possa tenerle compagnia? Essa potrebbeavere in te una mano che l'aiuti e nello stesso tempo avresti in lei una dolce ematerna assistenza. In paese nuovo molte malinconie passeranno da sée puòessere che Dio trovi nell'avvenire e per te e per me un compenso a questeterribili prove. Quel che ti scrivomia povera creaturaè la voce sincera delcuoree vorrei scrivere ancora di piúse non mi sentissi gli occhi velati dilagrime. Ho bisogno di sapere che tu sei buonatranquillaobbediente: epoiché queste signore ti usano molta caritàpregale per me di mandarmi spessotue notizie. Prega l'Addolorata e abbi davanti che nelle nostre afflizioni Dioè presente: anzinon è mai cosí vicino a noicome quando ci sembra che ciabbia abbandonati.

Il tuo Giacomo.

 

Mai filosofo s'era abbassato tantofino a invocare in suoaiuto il nome della Madonna addolorata! mai sapiente s'era tanto rimpicciolitoper farsi perdonare il peccato d'esistere! Ma è pur forza riconoscere chedovendo parlare ad un'umile creatura della terrapoco gli potevano servire leingegnose argomentazioni degli stoici e i sillogismi della coerenza scientifica.La bontà ha questo di superioreche non disdegnaquando occorredi essereirragionevole e incoerente. Il cuore ha detto un filosofo corazzato dimatematicaha delle dimensioni e delle ragioniche la ragione non conosce.

Fu questo medesimo sentimento di umile convinzioneche lopersuase qualche giorno dopo a scrivere alla contessa Magnenzio una letteracheegli considerò quasi come il suo testamento morale: «Mio zio - le diceva - miha fatto sapere che la S. V. Ill. desidera avere da me una parola che lemanifesti i miei sentimenti e i miei propositi di fronte ai fatali avvenimentiche hanno colpito la mia povera esistenza. Sarebbe ormai un vano orgoglio perparte miase volessi opporre un glaciale silenzio alle domande angosciose diuna madreche per antiche ragioni ho l'obbligo di riveriree che la comunesventura rende oggi agli occhi miei ancora piú degna di rispetto. Mi pare chele mie stesse sofferenze vadano rimpicciolendosi come ghiaccio che si sciogliein un'acqua mortale e profonda. Non sarò morto del tuttoma sento il freddodella morte salire da tutte le parti e circondarmi il cuore. Ho scritto aCelestina paroleche mi uscirono spontaneema che non saprei ripetere perpaura di me stessocome non ho saputo rileggerle al momento che mi sgorgavanodalla pennamentre una nuvola pregna di lagrime circondava la mia testa. Se milascio trascinare da qualche atto che ha apparenza di perdononon mi lodi comedi una prova di forza morale; ma consideri quel che faccio e quel che dico comela conseguenza dello stato di atonia e d'incapacitàin cui sono ridotto daquesti mali troppo crudeli. Credo che anche il mio povero cervello non sia ingrado di connettere e di formulare gli elementi di una risoluzione. Come unvinto ferito a morteaccetto tutti i patti e tutte le catene nella convinzioneche l'umiliazione non potrà durar moltoe che io non potrò vederne la fine.Non posso non volere io solo e per un inutile intento ciò che è desiderio ditutti quelli che mi vogliono bene. Avrei troppo poco rispetto e troppa pocapietà verso i miei stessi dolorise respingessi con insolente asprezza lacarità di questa medicina. Ho accettato un umile posto provvisorio a Pallanzadove mi recherò subito dopo le feste di Natale. Avrei voluto partir subitosedi tempo in tempo un resto di febbre non mi avvertisse di usare prudenzae micuro non per troppa voglia di guarirema per il timore di rimanere troppo tempoinvalido a consumare la carità di questa povera mia genteche non possosacrificare al mio risentimento. Al mio disinganno basto ioe bene ho fatto asacrificargli tutte le illusioniche andavo raccogliendo in un fascio di cartea cui non potevo piú credere. Perché avrei pubblicato le menzogne di un sogno?Se la cenere è tutto quello che resta in fondo di ogni veritàtanto fa noncredere alla fiamma...». - E mentre scriveva queste parolesi compiaceva dicarezzare il presentimento che l'eccesso del patimento l'avrebbe prestodispensato dal cercar altre ragioniriducendolo all'ultimache comprende tuttele altre.

 

VIII

 

 

ENTRA IN SCENA LA DEMOCRAZIA

 

Una mattinaqualche giorno avanti le feste di NataledonLorenzocon indosso la veste rossa di flanellache Fabrizio aveva avuto curadi riscaldare alla stufastava scrivendo nel suo studio a Cremona alla luced'una lucernache faceva lume a una giornata nebbiosapiovigginosatristecome la politica.

In giro sulle quattro pareti luccicavano quattro massicciscaffali di moganocon modanature di bronzo doratopieni di bei volumi legatiin pelle colle intestazioni d'oro: e sopra ciascun scaffale era un busto dibronzo scurorappresentante uno dei quattro nostri grandi poeti. Un'iscrizioned'oro in lettere greche maiuscole correva lungo la cornice dei quattro armadiracchiudendo una sentenzache don Lorenzo spiegava volentieritraducendo: «Ilibri essere medicina dell'anima.»

In uno degli scaffali il conte teneva la raccolta deiclassici grecilatini e italianicoi lessici e colle opere fondamentali diconsultazione. La sua filologia però non andava piú in là del sapore dolceche hanno in sé i libri della bella antichità classica; anziegli non avevamai potuto comprendere la fissazione di certi nuovi cosí detti filologichesputano il fiore per il gusto di masticare delle amare radici. In un altroarmadio dominavano gli storicima intendiamocii buoniquelli cioè che hannosaputo vestir di broccato la veritàscrivere con dignitàcon magniloquenzaromananon questi raccoglitori di notiziole e di quisquiliechesull'esempiodei tedeschi confondono l'istoriamagistra vitaecolla nota del bucatoo colla spesa del cuoco. La sua raccolta cominciava dunque con RicordanoMalispini e scendeva fino al Bottaal Colletta e all'Amari. Non potendosopportare le traduzioni mal fattee non sapendo leggere il tedesconon avevadel Mommsen che qualche dissertazione latinaquel che bastava per fargli dircorna di un uomoche ha rovesciata la Storia romana e negato agli italiani ilsenso della poesia lirica. Che fortunadiceva su questo propositoche fortunache certe corbellerie sian dette in tedesco!

In un riparto separato il buon classicista teneva sottochiave i buoni novellatori del trecento e del cinquecento e anche qualchebirbonata del Casti e del Portach’egli poteva leggere e gustare collasuperiore licenza ecclesiasticaridendo volentieri coi pochi amici del suotempo e del suo gusto alle facezie grassoccie síma sanedei nostri buonipadri. Non voleva però che Giacinto mettesse le maninemmen per isbaglioinquesti fiori del giardino di Armidaperché ogni età ha i suoi pericoli. Ilbuon padre non immaginava nemmeno che venissero da Parigi dei profumi ben piúpericolosi.

Da alcuni giornidopo che le stanze furono ordinate e dopoche furono messi i tappeti in terrail contenel tepore di quindici gradicostantiandava riordinando gli elementi del suo «Discorso preliminare»di cui qualche periodo non da buttar via cominciava a correre sulla carta. Eraper provare la rotondità delle frasiche di tanto in tanto lo scrittore avevabisogno di leggere a voce alta uno de' suoi fogliettisu cui la scritturagrossa ed obliqua correva come altrettante note musicali:

«Parlare a' giorni nostri degli uffici della nobiltà potràforse parere a taluno pressoché opera vanaper non dire ridevoletanto oggigli uomini si affaticano a non stimare se non quel che in oro si traduce o chedell'oro abbia le fallaci apparenze. Che giovano (dice la gente al vil guadagnointesa)che giovano gli emblemi e le larve d'una polverosa nobiltàcondannataa un perpetuo esilio dal consorzio civilebuonanon dico a reggeremasolamente a far gemere le meste rovine degli aviti palagi...?»

- Fabriziomi pare un po' troppo caldo qua dentro -interruppe il conteche cominciava a infiammarsi nel fervore delle sue frasicadenzate. - Forse è meglio che tu mi dia la veste verdeche riscalda meno.

Di queste vesti foderate di flanella ce n'erano quattro comei quattro poetidi peso e di imbottitura diversache Fabrizio doveva farindossare a norma del termometro e del barometro giudiziosamente combinatiinsieme. Veste verde significava quasi sempre depressione atmosfericaariamorta e soffocantepioggia imminente. Indossata la nuova zimarrail conteriprese la sua letturasollevando un visoche la luce della lucerna circondavadi gloria.

«Ciò non di meno pare a me che all'umano consorzio levirtú del passato non giovin meno di quel che giovin le forze del presentenonessendoa parer mionull'altro il presente momento che la somma risultante ditutte le forze antecedenti. E stando cosí la condizion delle cosenessunordine è piú indicato a conservare intatta e venerata la tradizion del passatodi quel che sia l'ordine della nobiltàche dei tempi trascorsi conservadiròcosíle pietre piú preziose e le già intrecciate corone. Che se l'antico hapotuto suscitareal volger del passato secolocontro l'instituto gentilizio lareazion popolarenon fu giusto che insieme alle colpe andasse travolta latradizioneavvegnaché...»

- Fabrizioportami il brodo liscio stamattinae di' alcuoco che quella sua lingua di manzo era troppo grassa. Mi pare di sentirmelaancora in bocca.

Don Lorenzo si mosse per consultare un passo dei «Discorsi»del Machiavellidove si parla del dominio dei pochi: e pochi istanti dopoFabrizio entrava colla posta del mattinaraccolta in un vassoio d'argento.C'era il solito «Bollettino dell'Istituto Veneto»quello dell'«IstitutoLombardo» colle prime comunicazioni del Lattes sull'italianità degli Etruschiun argomento che stuzzicava la sua curiosità e insieme il suo orgoglionazionale contro quei signori della Spreache ti farebbero tedesco anche il beltempo. C'era la «Perseveranza» di Milanodetta donna Paoladella qualedivideva or síor nole opinioni. Se come umanista non aveva ripugnanza adaccettare anche le idee di Lucrezio Caroche egli traduceva di nascosto per uncerto gusto del difficile; se nel campo libero della filosofia indipendente nongli facevan paura né gli atomi di Epicuroné i vortici del Cartesioné lapluralità dei Mondi del Leibnizio; in politicaerasecondo il suo modo divedereun altro paio di pantofole. Come cittadinocome Magnenziocome padredi famigliaera di opinione che una buona messa e un buon rosario valgonoperla felicità dei popolipiú che tutta la scienza della famosa Enciclopedia.

- S'è visto il bel risultato della dea Ragione applicata algoverno dei popoli. O l'utopia di Platoneo la ghigliottina a vapore. Quel chepiú importa ai popoli è di star bene e di vivere in pace.

Siccome però per pace intendeva specialmente la suacosíil buon uomo era tratto facilmente a giudicare le teoriche sociali un po' troppocolla bocca dello stomaco. Questa pace benedetta se la faceva seder vicina tuttele volte che poteva chiudersi nel suo studioin un angolo della casadove nonarrivava mai nessun rumore della stradatranne il rintocco delle ore del vicinoconvento dei cappuccini. E per amore di questa paceai libri dei vivi preferivaquelli dei mortiperché sulle guerre dei morti son già cresciuti gli ulivi oson scaramuccie già messe in musica: mentre queste controversie politichesocialieconomicheparlamentariamministrativeanche quando si fanno per otiumphilosophiaelasciano sempre la bocca impastata come una lingua di manzonon ben sgrassata.

Don Lorenzodopo aver crollata la testa su un articolod'intonazione rosminianache la «Perseveranza» riportava in difesa dellequaranta proposizioni quasi ereticali del filosofo roveretano (tutte beghe chesconnettono la fede)prese dal piatto una letteraccia mal piegatache puzzavadi pipa lontano un migliocon sopra una scritturacciache pareva dipinta collascopae voltandola e rivoltandola nelle mani

- Chi è questo Gioppino che scrive L'orenzo coll'apostrofo?- brontolò un pezzosquadrando con un certo sospetto la letterache parevasuggellata coll’unto. - Vien da Calusco? Chi può scrivere da Calusco? Dov'èquesto Calusco? - All'avvicinarsi delle feste di Natale ne arrivavano molte diqueste lettere di poveri supplicanti bisognosi di qualche sussidio e di solitoil conte le passava a Fabrizioperche se l’intendesse col ragioniere Riboni ecercassero con prudenza di liberarlo dalle mosche e dagli scrupoli. Ma era laprima volta che Gioppino osava scrivere L'orenzo con l'apostrofo. - Birbonaccioaspetta che t'insegnerò io l'ortografia. Aspetta measpetta me... - Estrofinando le babbuccie morbide di panno sul pelo del tappetoil conteche davecchio ammiratore dei Sacchetti e del Lasca aveva il gusto delle faceziemordacigirò intorno allo scrittoiosedette sui tre cuscini della poltrona eafferrò la penna per far scoppiare quell'epigrammache gli faceva gli occhipiccini e il naso crespo. - «Se lor con l'or confondi...» avrebbe volutocominciare; eper richiamare la rimacorse coll'occhio alla firma delsupplicanteuna firma che pareva uno scorpione schiacciato sotto una pagina dialtri scorpioni... veri scorpionicorpo di Bacco! pieni di veleno. La letteracorreva in questi termini:

 

Ill'ustrissimo Sigor Cote

Se L'ei non fa trovare per s’abato a mezzanote L'iretremila al l'uogo detto S'asso del Pin presso il Roccolo noi metteremo in piassail gran segreto con suo disonore di L'ei e di tutta la famiglia. Non parli conness'uno si no guaja.

Galiasso...

 

Un canea cui sia dato a mordere un ferro rovente avvolto inuna polpettanon lascerebbe cascare il boccone con piú dolore e raccapricciodi quel che il conte lasciò cadere il foglio di mano. In cinquant'anni e piùcioè dal dí che i suoi occhi correvano sull'alfabetonon aveva mai lettoquattro righe piú spropositate e piú spaventose. Altro che Gioppino! Chipoteva essere questo bardassa di Calusco? e di che segreto andava spropositando?disonore di chi e di che?

Quando Fabrizio entrò colla scodella del brodo si spaventònel vedere il volto del padrone piú smorto della carta.

- Che cosa è accadutosignor conte? si sente male? - glidomandòfermandosi in mezzo alla stanza.

- Sto benesto benonesto d'incanto... - rispose il contefacendo saltare quel brutto foglio da una mano all'altra. - Quando si bevono diquesti brodetti a stomaco digiunoun uomo non può che sentirsi bene. Guarda unpo' quel che mi scrivono. Non badare all'ortografiama cerca di penetrare nelconcetto. Una deliziavedraiun sorbetto. Conosci tu questo signor Galiasso?C'è dalle nostre parti qualcuno che porta questo bel nome?

- Non ho mai sentito che ci sia nessuno che si chiami cosí.-disse il vecchio Fabriziomentre correva cogli occhi sulla letterafingendonel viso meno sorpresa e meno turbamento di quel che veramente provasse in cuorsuo. Segreto aiutante della contessa in questa segreta congiura diretta anascondere al conte una dolorosa e pericolosa veritàquesta improvvisaminaccia di ricatto non poteva che confondere i piani di guerra e dare al cuoremezzo malato del suo padrone una scossa dolorosa.

- Non ci deve badaresignor conte - prese a dire il fedeleservitoremostrando indifferenza. - Asini e malviventi ce ne saran sempreesiccome sanno che lei è buono e amico della pacecredono forse di spaventarla.

- Grazie tante. Minaccia di mettere in piazza un gransegreto. Che segreto c'è da mettere in piazza? E non si contenta mica di pocoil sor Galiasso riverito; ma domanda solamente tre mila lire. Catteri! tre milalire non sono un quattrino e in che modo le domanda il sor Galiasso!...

Il conteche aveva già la bocca impastataper via diquella sciagurata lingua di buese la sentí diventar piena di una salivasalata. Ballando sulla poltronasi lamentò con voce quasi piagnucolosa:

- C'è da perdere la fame per quindici giorni.

- Non si spaventile diconon dia importanza. Son cose chea loro signori càpitano tutti i giorni.

- Nossignorea me non è mai capitato. Quando un uomo non famale a nessunoha diritto che gli altri non faccian male a lui...

- Guai se questi cani dovessero mordere tutte le volte cheabbaian! Essi tentano il colpo. Se vadiconoè segno che la cosa ha le gambe.Ma qualche volta son loro che ci lasciano le gambe e la coda.

- Chi conosci tu a Calusco? non hai sentito che ci siaqualcheduno dalle nostre parti che ci voglia male?

- Le pare? una casa come la sua?

- Non son piú quei tempinon son piú quei tempi... Dacchési son formate queste società segrete operaiedacché si va seminando l'odiotra le classiè una disgrazia nascere nei nostri panni. Anche l'elemosinasembra un'ingiuria adessoe i Galiassiche oggi scrivono queste letterinedomani metteranno la dinamite sotto il portone.

- Oh caro signor contelei corre troppo... interruppeFabrizioridendo...

- Ti dico che si precipita. Tu non hai sentito a dir nullan'è vero? In questa casa tu sei piú vecchio di me e devi volermi bene.

- Lo domandasignor conte?

- Non sospetti che possa essere quel servo di stallacheabbiamo licenziato tre anni fa...?

- Or fa un anno che è andato in America.

- Ma dall'America si ritorna - disse sospirando il buon uomoche all'idea d'un viaggio in America si sentiva venir le vertigini. -Dall'America si ritorna: e poi si lascia sempre a casa qualcuno...

- Conosco questa gentestia sicuro. Solamente sarà prudenzanon dir nulla di questa letterané alla contessa né alla contessina...

- Sicurosicuro! le donne si lasciano facilmenteimpressionare. Anzi bisognerà stare attenti che non facciano loro qualchebrutto scherzo nella strada... Ahimèsi precipita! È una cosa che dobbiamotrattare fra teme e il Riboni... Dovresti chiamarlose c'è...

- Tornerà stasera. Ora beva il suo brodo e non ci pensi.

- Portalo vianon mi va giú - disse restituendo lascodellacon una mesta espressione di abbattimento. - Guasterei anche quellapoca colazione delle undici e mezzo. Lasciami vedere ancora una volta quegliscarabocchi. Altro che! si precipita maledettamentesi precipita!

- Non ci pensi piú. Vedrò io il signor Riboni - disseFabriziofacendo scomparire il foglio nella pettorina del suo grembiale diservizio.

- Vedete se con una cinquantina di lire si può mandare inpace un povero affamato.

- Se lei comincia a darenon si salva piú. Queste lettereè meglio fingere di non averle ricevuteo si consegnano al questore.

- Guardatevi bene dal metter in mezzo la polizia! non vogliogendarmi in casa. Ve lo comando! - gridòalzandosi quanto era lunga la suapiccola personalasciando cadere un gran pugno sul «Dizionario dei sinonimi».- Non voglio intrighideposizioniarrestidiavolerie di questo generenéper tre mila né per sei milané per dieci mila. Avete capito? comando io! -Mai la paura d'un uomo aveva parlato con piú coraggio. Fabrizio finseacconciarsi e disse:

- Come vuolesignor conte... Del restocreda purechequando non si dà nulla e non si ha nulla a temerequeste lettere son buone perla stufa.

- E soprattutto si badi a non far saper nulla ai giornali.Non voglio pettegolezzi... Come si semina si raccoglie! - brontolò parlando consé stesso - Per certa gente è già una grande colpa il nascere bene. Come seavessi domandato io al padre creatore di farmi nascere dal grembo d'una nobileMagnenzio. Si precipita...

Fabrizio lasciò il conte in preda alle sue smaniepiagnucolosee corse a far leggere la lettera alla contessaperché fosseavvertita in tempo di questa nuova minaccia.

Donna Cristina aveva ricevuto alcuni giorni prima la letteradi Giacomo e in seguito a una nuova visita di don Angelo cominciava appena aveder un po' di lume in mezzo a quella spaventosa oscuritàin cui si dibattevada cinque mesi. La bontà di Giacomo l'aveva commossa. Seguendo l'ispirazionedel cuore riconoscentestava preparando una lettera di conforto al generosoamicoche non rifiutava d'essere suo alleato nell'opera di riparazionementregli sarebbe stato cosí facile vendicarsi colla rovina di tutti. Il cuore delladonnadella madredella cristianaravvivato da un raggio di speranzainsiemealla riconoscenzasentiva un ardore insolito di benequasi un desiderio diemulazione in questa gara di sacrificioe andava pensando quel che potevarestituire di bene al mondo in compenso di tanto male e quale soddisfazionedegna di sé e dell'uomopotesse offrire al giovine avvilito e trafitto neisentimenti piú sacri.

«Io non so scrivere» gli diceva «e mi manca l'arte diesprimere tutta la pietàche ho provato e che riprovo leggendo la vostralettera. Non al professorenon all'uomo dottoma immagino dunque di scrivere aquel giovinetto Giacomoche in altri tempi frequentava la mia casa e al qualenon mi pento ancora d'aver dato un forte consiglio. È invocando questa miabenevolenza quasi maternache vi parlo come da amica ad amicoda donna che hasalito il Calvario ad uomo che ha salita la crocenella fratellanza dei comunidolori. Conforti materialiriparazioni degne di voi non potremo darvene.Indegna io stessa d'ogni consolazionesarei quasi spregevolese volessioffrirne a voi; tanto meno ho consigli a darvi. Vi dico soltanto questo: cheprego per voi colla stessa anima con cui prego pe' miei figlinella fiducia cheDioche ha la mano miracolosavoglia versare nelle vostre piaghe l'unicobalsamo che può col tempo ristabilire le forze perdute. Lasciatemi almenol'illusionepovero Giacomoche io non pregonoper il riposo d'un mortomaper la pace di un vivo. Davanti ai mali irreparabili l'uomo forte ha sempre unrifugio nell'idea che non vi è cosí gran male che non possa essere superato dauna piú grande speranza. I mali vengono piú dalla fatalità che non dallacattiva volontà degli uomini; ma l'idea del bene vien tutta da noi. Io hotroppa stima della forza del vostro cuoreper non sperare che chi ha scrittoqualche pagina virtuosa e sublime non sappia arrivare col cuore fin là dove ungiorno è volato col pensiero. Spero che in molti istanticosí piagato comesieteabbiate a sentire la santità e la dignità della natura umana ingranditain voi.

«Il fuoco raffina i nobili metalli. Il dolore ha scoperto emesso a nudo molta parte di voich'era prima ignota a voi stesso e chesenzaqueste scossesarebbe rimasta per sempre sepolta. Non dite dunque come unpovero merciaio alla vigilia del suo fallimentoche la vostra vita è finita.Provate a chiedervi una volta se per caso una vita nuova non stia per cominciareper voi. Che voi abbiate gettato alle fiamme il manoscritto in cuicome diteeran raccolte le illusioni della vostra giovinezzanon mi fa penacome pareche in fondo faccia a voi. A me basta che non abbiate abbruciata la vostra fede.Purché la fiamma salga al cielopoco importa che abbruci l'altare. Provate acercare nella cenere e ritroverete il vostro diamante. Per quanto grande possaessere il vostro sacrificioi meriti che acquistate agli occhi di Dio e aquelli della vostra coscienza sono tali che non potranno produrre col tempo cheun gran bene. Voi siete giovine e dovete conservare intatte le vostre idealità.Seguitate a studiare. Noi abbiamo bisogno di chi sostenga la fede nella virtú.I nostri figlilo vedetenon credono piú all'affetto delle madrie quellistessiche dovrebbero combattere in prima fila per l'onoresono i primi aimbrattarsi di fango. Voi potrete fare del benenon solo coll'ingegno che Diovi ha datoma anche coll'esperienza che vi siete acquistata. Nessun privilegionobilita tanto l'anima nostra quanto la coscienza di aver molto sofferto...» Aquesto punto era arrivata e stava quasi per chiudere la lettera nella quale ilsuo cuorenella felice improvvisazione del sentimentosi esaltava dellamisteriosa dolcezza che hanno le umane consolazioniquando Fabrizio con unpasso sospettoso entrò a farle vedere la scarabocchiata letterache avevatanto spaventato il povero conte. Essache quasi s'illudeva di toccare ilportotrasalí a questo nuovo inaspettato assalto. Quel mondo geloso e avaronelle sue pretensionia cui aveva sperato di sfuggiredava segno dirisvegliarsi e già si presentava all'uscio come un esoso creditore. I debitidel male voglion essere scontati e pagati; l'esattore era qui. Pallidatremantenascose il lurido scarabocchio tra le carte profumate dello stipetto.

- Non dite al conte che mi avete fatta vedere questa lettera:cercherò di parlare col Prefetto... Non parlatene con nessuno... Ah mio Dionon abbiamo finito!

 

 

IX

 

UNA VISITA INASPETTATA

 

 

Seguirono due o tre giorni di agitazionepieni di sinistripresentimentidi reciproci inganniin cui ciascuno dovette fingere di ignorarequel che era scritto a ciascuno sul viso. Don Lorenzoper quanti sforziacrobatici facesse fare alla sua tremante volontàper quanto sferzasse uncoraggio che non era mai statonon che esercitatonemmeno preso inconsiderazionenon poteva nascondere a Cristinaalla figliuolaa quei di casail grande sgomentocome si nasconde un librettucciaccio proibito. A colazionea pranzonon gli riusciva quasi d'assaggiar nullao tutt'al piúse sisforzava di inghiottire una mezza fetta di galantinao una gamba di pollosele sentiva lí inchiodate sullo stomaco come un errore d'ortografia. Molto menosi poteva pretendere ch'egli si distraesse nei giri de' suoi periodi... Altroche «Discorso preliminare»! altro che «la tradizion del passato»! Vipere escorpioniminacciericatti per il momento; domani sarebbero state bombe epugnali.

Non potendo pigliarsela con Galiassosi sfogava a brontolareo perché la stanza era freddao perché il brodo era lungoo perché Giacintonon scriveva maio perché l'Istituto veneto gli aveva lasciato scappare treerrori di stampa; emesso sulla strada delle malinconiecadeva a parlare delleteorie sovversiveche distruggono ogni sentimento di religione e di rispetto.La figura torbida di Galiassoch'egli s'immaginava con un ceffo di bravacciocieco d'un occhioper tre o quattro giorni entrò a frastornare le sueoccupazioni e i suoi stessi pensierisia ch'egli pigliasse in mano un libro odun giornalesia che arzigogolasse colla penna nei complicati incisi del suo«Discorso preliminare»sia che parlasse con quei di casa o coi pochi amiciche venivano a fargli passare la sera. In mezzo ai discorsi e alle distrazioninon cessava mai dentro di lui il lungo monologo contro i tempi e contro le ideesovversive: aggrottava le cigliai gesti gli scappavano involontariamenteeinconsapevolmentefaceva sentire a sé stesso il ritornelloche non cessava dimartellargli il cuore: «Si precipita».

La contessaper non essere obbligata a chiedere e a daredelle spiegazioni incresciosefingeva di non accorgersi di questi suoipatimentie questa sua noncuranza riusciva di maggior pena al povero contechenelle tribolazioni amava d'essere consolato e amorosamente contraddetto. Dopoaver ruminato un pezzo nel suo segretopensò che Giacomo Lanzavecchia potevaessergli di qualche aiutoessendo il luogo detto il Sasso del Pinindicato daGaliassopoco lontano dalle Fornacisulla stradetta che mena al"Roccolo" di Don Andrea. Colse il momentoche la contessa e lafigliuola erano fuori ad assistere a una pia conferenza del santo Cenacolo(un'altra francioseria introdotta da poco tempo dai gesuiti)si chiuse nellostudiofece accendere la lucernettache anche di pieno dí aiutava arischiarare il nesso delle ideesi raccolsepassò due volte la mano sullafronte per rimuovere le ultime titubanzeche facevano sempre di lui l'uomo piúindeciso del mondoprese una faccia oscuraseverad'uomo oltraggiatocheconosce i doveri suoi e cominciò a scrivere: «Carissimo Giacomodeve esisterein cotesti paesi un cotal nominato Galiasso o Galeazzopersona veramente deditaa cattivi manegginon saprei dire se piú bisognosa o perversala quale mi hain questi giorni trasmessa una letteravero oltraggio ortograficocon cui vienchiedendo una non misera somma a mo' di minaccia o di ricatto. Comeché iopossa...»

- Signor conte - disse Fabrizio entrando col suo passosoffocato: - questo signore ha una lettera di presentazione per la signoracontessama siccome non può fermarsi a Cremona che poco tempodomanda ilpermesso di dir una parola al signor conte...

Il conte accostò il bigliettoche Fabrizio gli offríallume della lucerna e lesse il nome dell'avvocato Genesio Brognòlico.

- Brognòlico! - ripetérimpicciolendo gli occhi come chicerca di fissarsi in qualche cosache vede e non vede. - Non è quel nostroradicalone rosso di làche insieme al farmacista ha fondata la Societàoperaia?

- Precisamentequel pancione. Dice che ha una lettera delsignor conte di Breno.

Don Lorenzoa cui balenò subito l'idea che questa visitainaspettata potesse avere qualche relazione col fatto del famigerato Galiassoparendogli che convenisse abbondare nelle cerimonie eove fosse opportunofarsi dell'avvocato radicale un difensoreordinò che entrasse. Si mosse ancheluigirò due poltrone in modo che l'una guardasse l'altracollocò lalucernetta sulla sponda della scrivania in cima a un muro di libri e movendoincontro al suo avversario politico e amministrativocon tutto quel buon garboche non si spende mai tanto volentieri come quando si tratta d'un avversario:

- Qual buon vento- esclamò - signor avvocatoaCremona?...

Un uomo fatto a guisa di un pallone aereostaticoa cuifossero state attaccate due gambee sul quale fosse stata messa una testaarruffatariempí tutto il vano dell'uscio. Gli occhi eran nascosti da un paiodi lenti affumicateche mettevano due macchie scure e fisse nello scompigliod'una zazzera e d'una barba bianco-sporco-rossiccia. Vestito di panno oscurocolle mani insaccate in due otri di pellecolla grossa catena d'ororisplendente sull'equatore di quel globoche viaggiava come un galleggiantel'avvocato Brognòlico salutò il conte con un inchino alla rovesciache glifece cacciare indietro la testa leonina e sporgere una protuberanzache nonavrebbe mai potuto piegarsi diversamente.

- Perdonerà Eccellenzase non potendo disporre che di pocotempotra una corsa e l'altraoso interrompere i suoi preziosi studi. Vengo anome dell'onorevole di Brenoche ha visto il Sottoprefetto e che mi ha datoquesta lettera apertaper la signora contessa.

- Caro avvocatosi accomodi - disse don Lorenzoal qualenon capitava troppo spesso l'onore di sentirsi chiamare Eccellenza. E mentrel'altro scendeva a poco a poco a riempire lo spazio vuoto del seggioloneilconte corsebrontolandosulla lettera aperta di don Lodovico di Brenochesonava in questi precisi termini:

«Gentilissima signora contessa

«Ho sudato tre camicie e un farsetto a persuadere questisignori del Vessillo democratico a non sollevare un putiferio. C'erangià le mine cariche e non mancava la voglia di farle saltare. Peròa furia direciproche concessionici siamo accordati in un non intervento. La direzionedel Vessillo incarica l'egregio avvocato Brognòlico di liquidare in viaamichevole la parte materiale in un compenso corrispondente ai danniche questaneutralità porta al giornale. E veramente è giusto riconoscere che questisignori si mostrarono discreti e ragionevoliquando si pensa all'autorità cheuno scandalo di questa natura avrebbe dato a tutto il partito. Direi quindi ditransigere fin dove si può. Fulvia ha scritto a Giacintodandogli notizie diqueste pratiche...»

A questo punto don Lorenzo non ci vide piú. Il suoturbamento però non gli impedí di ritrovare l'egregio avvocato Brognòlicoche pareva addormentato nella poltrona.

- Credo di capire qualche cosa... non tutto però... In checosa posso servirlaavvocato? - dissemettendosi anche lui a sederecon unfare timido e trepidantesull'orlo della sua poltrona.

- L'onorevole di Breno ha avuto la bontà di leggermi questalettera e siam perfettamente d'accordo. Aggiungerò che ieri ho veduto ancheMonsignor vescovo. - L'avvocato credeva che per farsi capire bastasse accennarea questi nomisenza bisogno di scendere a troppi ingrati particolari.

- Come sta Monsignore?- chiese ingenuamente il conte.

- Anche Sua Eminenza pienamente d'accordo coll'onorevole diBreno...

- Hanno fatta la pace?

L’avvocatoa questa domanda cosí fuori d'intonazionerimase un po' perplessocome accade spesso ai furbiquando si trovano alcospetto d'una cosa troppo sempliceche si dipana da sé. Si sforzò dirispondere che l'aspetto di Monsignore gli era parso buono; poi soggiunse subitoper venir presto all'argomento della visita:

- Stamattina ho parlato con Ferrazzi.

- Ferrazzi... - fece il contecorrugando la fronte ecercandocon uno sguardo internose nel magazzino delle cose viste c'era unnome cosi... - Quale? il canonico Ferrazziche ha scritto qualche cosa sullabasilica di San Pietro in Oro?

- NonoFerrazziil direttore del Vessillo... - ribatté l’avvocatocon una certa forza impaziente per far capire al conte ch'era informatissimod'ogni cosa e che con lui si poteva discorrere liberamente. - Ho parlato conFerrazzi in seguito al colloquio avuto coll'onorevole di Breno e con Monsignoree gli ho dimostrato chein ultima analisigli conveniva accettare un accordoperché in queste guerricciuole di scandali e di personalità non ci siguadagnané da una parte nè dall'altra. Egli voleva sostenere che in momentidi lotte elettorali un partito non può buttar via nemmeno una cartuccia senzadefezionare la bandiera...

Il conteche seguiva con un viso fermo ed attonito questopreambolosempre nella speranza che da una parte o dall'altra avesse a saltarfuori il famoso Galiassonon poté a meno di inarcare un poco le ciglia aquesto mostruoso defezionare la bandierache puzzava di gergogiornalistico lontano un miglio. L’avvocato non se ne accorsemavolendovenir presto a una perorazioneche gli permettesse di concludere e di partirecolla corsa delle tre e mezzo tirò avanti:

- Ferrazzi mi dimostrò che molte spese eran già fattechesi era dovuto dare dei contrordini ai corrispondenti e ai reportersmodificaretutto il piano generaleperchése prima l'onorevole di Brenoche si potevasperare combattuto dai clericaliaveva i piedi d’argillaora li ha dibronzo; permodoché - (l'avvocato caricò di voce questo suo avverbio favorito)- una campagna contro di lui sarebbe per il nostro partito un mezzo disastroper cuitutto sommatofaressimocome si diceun buco nell'acqua.

Il conteche non respirava nemmenosempre in attesa diveder sbucare Galiassoe che aveva inghiottito in pace il reporternonpoté non protestare con un addolorato batter di ciglia contro questo barbino faressimoche sconnetteva le piú legittime coniugazioni. Ma l'amicomigliore dellasua grammaticatirava via come un violino:

- Ad onta di tutto questoanzi in forza di tutto questoènaturale che i miei amici del Vessillo non possino digerire questasconfittacome se fosse un uovo fresco; poiché si deve perderediconofacciamo strage dei Filistei... - Brognòlico cercò di ammorbidire questaminaccia biblicaaccompagnandola con una risata bonaria e con un colpetto dimano leggiero leggieroche lasciò cadere su un ginocchio del conte. - Ènaturalevede adunque Eccellenzache que' miei amici scapestrati si servinodi quel segreto che hanno in manocome di una fiche de consolation.

- Amici scapestrati? - disse in cuor suo il conte. - DunqueGaliasso non è che il capo dei ladri.

- Il signor conte è troppo amico della pace per star aguardare un quattrino di piú o di meno.

- Scusiavvocato... - interruppe con uno sforzo penoso ilconte. - Sa lei quel che mi hanno scritto?

- So tutto e son venuto apposta a Cremona per accomodarequesta faccenda.

- Conosce anche questo Galiasso?

- Chi sia non soma conosco benissimo la famigliaLanzavecchiaso dov'è la ragazza.

- Crede lei dunque che con un centinaio di lire una voltatanto si possano persuadere questi signori scapestrati a...

- Io credosignor conteche ella non abbia un senso troppoesatto della gravità della situazione - osservò con forzata benevolenza ilmediatore della pace. - Se Ferrazzi dichiara la guerraè un uomo che sa tenerbene la penna in mano.

- Oh síme ne sono accorto... - scoppiò a direbuffonchiando il conteche aveva sotto gli occhi il famoso L'orenzo.

Brognòlico a questi sgambettia questa diplomaticaimpassibilità del contedubitò per un momento o di essere arrivato troppotardicioè a cose già accomodateo di avere a che fare con un politiconeraffinatoe che sapeva rappresentare a meraviglia la sua parte di gonzo. La suagrande furberia gl'impediva d'immaginare il caso d'un uomoche di furberia nonne aveva né puntoné poco. Temendo rimetterci anche le spese del viaggiosiaffrettò a sparare tutte le batterie di guerranella speranza d’intimorirecol rumore quelli che non poteva ferire colla mitraglia.

- SentaEccellenza- ripreseattaccandosi colle due manialle spranghe degli occhiali - a parte la questione personalecreda pure che seFerrazzi... o altri... - (e tenendo la mano sollevata in aria aspettò unistante per dar tempo al conte di capire quel che egli credeva che l'altrofingesseper una politica sopraffinadi non capire) - se Ferrazzi... o altrimettesse alla luce questa storiasarebbe una vera degringolade per tuttoil partito cosí detto ben pensante. La tensione dei partiti del nostro Collegioè tale che basta una goccia d'acqua a far traboccare un mare d'inchiostro. Selor signori non trovano il modo di appianare la cosa sulla modesta baseconcordata dall'onorevole di Breno e da Monsignor di San Zenogarantisco chequesta primavera portiamo un deputato radicale massonico a Montecitorio. Unoscandalo in casa Magnenziocompromettendo i piú bei nomi dell'aristocraziafarà perdere vent'anni di lavoro al partito clericale. Noi abbiamo le nostreSocietà operaie fortemente organizzateese tre o quattro giornali voglionodivertirsilo scandalo MagnenzioSan ZenoLanzavecchiaabilmente lanciatoin quindici giorni fa il giro di tutta Italia. Siccome sono amico politico nonsolo di Ferrazzima ho qualche relazione all'Estremaso quel che si può farequando c'è l'interesse di fare. D'altra parteho molta stima perl'onorabilità e la rispettabilità della sua casacaro signor conte; conoscoanche il signor Giacomo Lanzavecchia e so che uomo è; finalmente son uomoanch'ioso capire e compatire questi peccati di gioventú; anziè il caso didire: chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra. Ma la politica non haviscere di pietà; quando ha fame divorase non altroanche i suoi figli.Permodochétutto sommatovale a diretenuto conto degli interessi morali dauna partedegli interessi pubblici dall'altraio credo chein ultima analisinoi dovressimo proprio venire a una soluzione pacifica. Ci vuol pazienzacaro conteil mondo va pigliato com'è. Pensi che nel grosso del pubblico nonc'è nulla che faccia tanta impressione come un romanzetto galante tra unelegante della jeunesse dorée e una povera ragazza del popolo. Le figliedel popoloche servono ai piaceri dei ricchiè un tema non ancora sfruttatomolto piú in questo casoin cui c'è modo di battere insieme al blasone anchel'eroismo d'un ufficiale di cavalleriachementre gli altri vanno a farsiammazzare in Africaresta a casa ad abbracciare e sedurre le cameriere...Perdonidon Lorenzose oso dare al cuore d'un padre queste crudeli trafitte;ma è bene che ella abbia sott'occhio tutto quel che si può dire e tutto quelche domani potressimo stampare. Qualorainvecesi cercasse diaccomodare lo strappo inter nossenza bisogno di testimoni e direciproche scritturené ventiné venticinque mila lire devono parere unasomma esorbitante.

A questa lunga e corrente esposizione dell'avvocatoBrognòlicodon Lorenzotenendo le mani appoggiate ai ginocchi e gli occhiimmobili nel volto del suo interlocutoreprestò un'attenzione che andò disorpresa in sorpresadi meraviglia in meravigliadi curiosità in curiositàdi paura in paura come proverebbe un villano ignorante davanti ai prodigidiabolici d'un abile prestigiatore. Partito col desiderio di conoscere chi fosseil famigerato Galiassoprima trovò che il brigante era un giornalistapoi cheil giornalista era d'accordo col deputatoil qualenon capiva bene in qualmodose l'intendeva col vescovo per minacciare qualche cosa di grossonon aluipover'uomoma a qualcuno de' suoiche aveva abbracciata una cameriera. Equel ch'era piú bello ancorale tremila lire di Galiasso diventavanostradafacendoventimilaventicinquemila... Nello sforzo che egli faceva dentro disé per entrare nello spirito di questo strano raccontoin cui vedevapeggioche nelle Metamorfosi d'Ovidioun brigante trasformarsi in un narciso eun framassone in una mitriatutte le rughe del volto confluirono sulla suafrontele grosse ciglia bianche formarono come un cespuglio spinoso sopra ilnasola sua carnagione andò oscurandosi come sotto una nuvolache passassedavanti al globo della lucerna. E di mano in mano che l'avvocato andava pesandoil pro ed il controriferendosi con certezza a fatti che erano ignoti a uno diloroil povero conte si sentí inondare da una fredda paurada un febbrilesgomentoche gli tolse la capacità di rispondere.

Quando il Brognòlico cessò di parlaredon Lorenzo rimaselí colle mani sui ginocchigli occhi attenti ad aspettare il resto dellacuriosa storia. Vedendo che l'avvocato non aveva piú nulla a dire e che oratoccava a luiproprio a luidi parlarealzò lentamente una manoche tennesollevata un pezzo in ariamosse le labbra entro una frase sconnessain cuipassò ancora una volta il nome di Galiassoeallungato il braccio tremantefino a toccare il bottone del campanelloa Fabrizio che comparve sull'usciochiese:

- È tornata la signora contessa?

- Sísignor conte.

- Digli che l'aspetto qui.

Nel breve intervallo che rimasero ancor solil'avvocatochestava studiando l'effetto della sua proposta sulla cera appannata del conteinterpretando il suo silenzio come un freddo e disdegnoso risentimentocercòdi raddolcire la sua propostadicendo che non si sarebbe mai fatta unaquestione di numerichecon un po' di deferenza dalle due partisi sarebberofacilmente messi d'accordo.

Donna Cristina era appena tornata dalla conferenzaquandoFabrizio venne ad avvisarla che il conte aveva bisogno di parlarle. Al nomedell'avvocato Brognòlicoch’essa conosceva come un suo nemico natovale adire quanto un giacobino deve essere nemico di un aristocraticoindovinò quelche poteva essere accaduto. Fabrizio non osò disingannarla. Si può immaginareche cuore fosse il suoquando con passo rottocon una pesante spossatezza ditutto il corpoentrò nello studio del conte

- Guarda un po’Cristinase sai spiegare questo bigliettodel deputato di Breno - Il contein piedi dietro la scrivaniaindicò coltagliacarte d'avorio l’avvocatoche all'entrare della contessa si era tiratoin piedi anche lui e stava in attitudine rispettosa: - Presento il signoravvocato Galeazzi: voglio dire Ferrazzi...

- Brognòlíco - corresse l'altro; il qualevolendo in pocheparole far capire alla signora lo scopo e l'importanza del suo mandatosiaffrettò di soggiungere: - Signora contessavengo a nome di Monsignor vescovo.

Il contesempre in balía d'un tremito convulsotoccandoora un libroora un calamaioora una pennacome se cercasse con questicontatti materiali di scaricare una corrente di elettricitàagitando iltagliacarte in ariadomandò volgendosi alla contessa:

- Devi tu qualche cosa a Monsignore? ti sei forse impegnatain qualche obbligazione politica? chi è che abbraccia le cameriere in casa mia?Si può sapere qualche cosa di quel che si fa e di quel che si búggera inquesta casa? mi scrivono lettere minacciosevengono in casa mia a farmi delleproposte disonorantimi oltraggiano in ciò che mi resta di piú nobilee nonmi è dato nemmeno sapere a chi devo dir grazie. E che c'entrano i giornali coifatti miei? Io non li leggo nemmeno i giornaliper non guastarmi lo stileequindi posso pretendere che non abbiano a occuparsi di me. Sai che cosa ha avutoil coraggio di dire questo signore a un nobile Magnenzio di Villalta? - Il contenel metter fuori queste parole appuntò il tagliacarte d'avorio come una spadaverso gli occhiali affumicati. - Ha avuto il coraggio di dire che in casaMagnenzio le figlie dei popolo servono ai piaceri dei padroni...

La contessanon potendo piú sostenersi sulle gambesilasciò cadere col corpo quasi sfasciato sopra una sedia.

Era un'altra battaglia perduta. E il contesempre piúacceso in viso d'un color rossoche faceva comparire ancor piú candidi icapelli lunghi ed i baffibattendo col tagliacarte sul legno della scrivaniaprese a direcolla dignità con cui avrebbe declamato all'Ateneo di Bergamo ilsuo «Discorso preliminare»:

- Signor avvocato Brognòlicolei è entrato in casa nostracolla presentazione d'un amico e d'un parente e io amo rispettare in lei ilcarattere sacro dell'ambasciatore; ma mi permetta di dirlee lo dica pure a chil'ha mandatoche i Magnenzioda Berengario in poinon solo non hanno mairisposto a proposte disonorantima possono dire con Dante: la vostra miserianon mi tange...

E come se in questo supremo sforzo morale si fosse consumatal'ultima energia della schiattail contearruffato un gran gesto colla manostanca in ariarestò a bocca apertaparalizzatonell'incapacità fisica dicontinuare. Accorse Fabriziochesorreggendologl'impedí di cadere. Lacontessa gettò un grido spaventato e si affrettò a riceverlo nelle braccia. Simosse anche l'avvocatoche ritirò le sediefece largo per aprir la stradaverso l'uscio della cameretta vicinadove il povero conte fu adagiato su undivano. Preso da uno dei suoi accessi di cuoresbarrando gli occhinon facevache mormorare delle sillabe scuciteche parevano invocare un po’ di caritàun po' di compassione. Agli squilli dei campanelli uscirono altri serviaccorsemiss Haynesche fu mandata indietro a trattenere donna Enrichetta. Il contecominciò presto a riaversi. Allora donna Cristinatirato in dispartel'avvocatodefiní con lui in un discorso concitato e positivo quest'ultimaparte della vertenza e gli consegnò un biglietto per il ragioniere Riboni.

- Sono addoloratissimocredasignora contessadi esserestato causa innocente di tanto male; se avessimo immaginato che il signor contenon era al fatto delle cosenon avressimo certamente... - Ma la contessagli voltò le spalle prima che egli avesse potuto finire. Col prezioso bigliettoin mano Brognòlico traversò le due anticamereuscí sullo scalonesi feceindicare da un servo lo studio del ragioniere Ribonie guardando l'orologio perrifare i suoi conti sul temposi rallegrò in cuor suo di aver spazio avanti asé anche per mangiare un boccone. Se avesse potuto formulare in parole laconfusa compiacenzache rischiarava in quel momento la sua diplomaziasenzapretendere di far ombra a Nicolò Machiavelliavrebbe potuto riassumere il suopensiero in questa grave sentenza: «La miglior politica non è quella checorrebensí quella che arriva a tempo».

 

 

X

 

CELESTINA VA IN CERCA DI GIACOMO

 

Dal giorno del suo arrivo a Buttinigo eran passati quindicigiornisenza che Celestina ricevesse notizie di Giacomoe cominciava a pensarech'egli l'avesse dimenticatadopo averla sprezzata e maledetta; ma poteva ancheessere malatomorente di dolore. In questo stato di crudele incertezza nonpoteva durar piú. Capiva che le signoreoltre a carpirle le lettere e atenerla rinchiusa come una prigionieracominciavano a inventare pretesti permandarla ancora piú lontanoin mano d'altra gentecome si fa quando si vuolperdere una persona. Era necessario che vedesse Giacomo. Anche a costo d'esserebattuta e respinta da luivoleva buttarsi a' suoi piedifargli sentire comel'avevano sorpresatraditamartirizzata; e poi non le sarebbe importato nulladi morire su una stradain mezzo ad una campagna; ma non l'avrebbero sepoltaviva in un ospiziodopo averla trascinata all’ultima disperazione.

Quantunque a questo nuovo tranello sentisse quasi una lamafredda passare in mezzo al cuorepure un sentimento quasi d'indignazione leimpedí di avvilirsi e di piangere. Simulò un contegno freddorassegnato; allecarezzevoli dimostrazioni di donna Adelasia non oppose che un silenzio umile erispettoso; ma l'idea di cercare uno scampo con una fuga s'impossessò con tantaforza del suo spirito che per alcuni giorni non seppe pensare ad altrocome sequest'idea avviluppasse ogni altro sentimento e rendesse sterile ogni altraconsiderazione.

Si può aggiungere che in questa nuova speranza e nellosforzo mentale di preparare i mezzi per deludere la vigilanza delle suecarceriereil suo cuoreprovò quasi un senso di riposo e di distrazione daogni altro doloreuna specie di esaltazione fantasticache scosse il suospirito inoperoso e stanco.

Nei giorni che precedettero le feste di Natale si mostròalacredocilevolonterosa; ma nel segreto del suo animo andava preparando imezzi della fugacosa facile in una casa aperta come quella in cui l'avevancollocatanon custodita che dalla buona fede di chi l'abitava e dal rispettodei vicini. Le pie signore nella loro timida debolezza non pensavan nemmeno cheuna ragazza potesse uscir sola e mettersi sola per una strada; molto meno questodubbio poteva entrare nell'animo del Rebecchino e delle altre persone diservizioche non conoscevano i segreti motivi di questa schiavitú. Essaavrebbe potuto uscir dalla porta ed incamminarsi per un sentiero in qualunquemomentotanto di giorno come di notte; il coraggio solo di saperlo fare avrebbelevato alle signore ogni voglia di inseguirla. Dopo aver scartato moltiprogettisi fermò in unoche piú d'ogni altro le si presentò sicuro. Ognimartedí sul far della mezzanotte soleva uscire dalla corte rustica il cosídetto cavallante della casasoprannominato il Pasquacol carro dellaroba che le signore e altri proprietari del paese mandavano a Monza ed a Milanoai loro amici e corrispondenti. Piú volte Celestina era stata svegliata dalrumore grosso del carro rotolante sul selciato del cortile e dallo scalpitaredel mulo nel gran silenzio della notte. Sentiva lo sgangherato portone dell'ortocigolare sui cardinipoi un gran sbattere. Vagolava per un istante un lumenell'ariail rauco brontolío delle ruote perdevasi a poco a poco nellalontananzae tutto tornava in silenzio... Il pensiero che essa avrebbe potutofuggir da questa partein un'ora in cui tutti dormivanocol vantaggio d'avermolte ore per sèprima che alcuno si accorgesse della sua scomparsasi imposecome il piú naturalee non stette a cercare altre vie. Sapeva che ilRebecchino era solito attaccare la chiave dell'uscio che mette nel cortile a unchiodo infisso nel battente. Non si trattava dunque che di scendere al primorumoreaprir l'usciomettersi in coda al carroprotetta dall'oscuritàesvoltar subito per la strada opposta a quella che il Pasqua soleva far batterealla bestia. Ma non parendole ancora un giuoco abbastanza sicuropensò dicercare anche un pretesto per allontanare i sospetti e per ingannare il vecchio cavallante.Fece un grosso involto con un fazzolettoin cui mise alcune sue vesti e unascatolastrinse i gruppi del fagottoche nascose sotto il lettoe si preparòad aspettare la sera. Fu una giornata eterna quel benedetto martedí! DonnaGesumina venne una volta a leggerle una lunga Enciclica papale intorno allasantificazione della festa: poi le raccontò quel che a Milano un Comitato dipie signore intendeva di fare per imporre ai negozianti e ai rivenditoril'obbligo del riposo festivo. Celestina l'ascoltò benevolmente e lasciò che lasignora mettesse anche il suo nome in una lunga listache monsignor Vicariodoveva trasmettere a Roma. Queste pie preoccupazioniaccostate al grande eaffannoso pensiero che le faceva il cuore duro e pieno di dolorinon potevanoaver nemmeno la forza di irritarla; ma servirono invece ad accorciare il tempointerminabile dell'aspettativa. Piú tardi venne di sopra anche Menicoilfiglio del Pasquacon in braccio un gran fascio di rami d'edera e di laurofrescocon cui le due signore solevano ogni annonella settimana di Natalecostruire il presepio nel vano d'un armadio. Celestina fu lieta di poter aiutarela vecchia Costanza a levare da una cestaa sciogliere dai loro involucri dicartaa nettar dalla polvere i pastori di terra cottale statue del Bambinodella Madonnail buel'asinelloche facevano di quel presepio una delle pochemeraviglie di Buttinigo.

- Quest'anno aggiungeremo anche un molino mobilevedrai -disse donna Gesumina. - Le monache della Noce non hanno un presepio piú bello.La vigilia vengono qui tutte le ragazzine e i bambini del paese colle loromamme; e si dànno tre noci e una mela a ciascuno; ma prima si cantano lelitanie.

Un fuggevole senso di pentimentoun mezzo rimorsovenne unavolta a indebolire le sue disposizioni. La sua scomparsa non poteva che turbarequeste sante feste dell'innocenza e della pacee procurare alle povere signoreun grandissimo spavento. Se invece avesse mandato i suoi progetti a qualchegiorno dopo le feste? Ma rifletté che piú tardi non sarebbe stata sicura ditrovare Giacomo a casa. Poteva ella passare il giorno di Natale come unaprigioniera in casa altruisenza aver nessuna notizia de' suoinella cupatristezza di chi si sente abbandonata?

Dopo aver rispostocome gli altri giornial rosario dellaservitù nella grande cucinaverso le nove e mezzo accompagnò di sopradonn'Adelasiaportò l'acqua nella camera di donna Gesuminadette e ricevettela buona notteridiscese in cucina a provvedersi d'un mazzetto di zolfanellisi assicurò che la chiave dell'uscio fosse attaccata al suo chiodo. Finalmentequando le parve che tutti fossero ritirati nelle loro stanzecalzò le scarpedi vitello sopra un paio di calze puliteindossò un giubbetto di lana e ilvestito piú pesante della festaintascò la corona del rosarioil suolibretto di preghiereuna collana di granata e il borsellino con tutto ildenaro regalato dalla contessasi ravviò i capellisi affaccendò piú chenon abbisognasse a mettere in bell'ordine il lettole sedieil telaio deiricamiil cestello delle sete e dei gomitoliin modo che le signore avessero aritrovare tutto a posto. Quando ebbe finitosentí sonar le undici. Avevaancora un'ora da aspettare. Spense il lumes'inginocchiò a fianco del lettosi dispose a raccogliere la mente in qualche preghiera: ma l'anima non suggerivanullacome se la coscienza fosse già partita. Rimase però sempre inginocchiocolla testa sprofondata nelle coltri in atto di pregareperché ilSignore e la Madonna vedessero il suo stato e l'aiutassero in questo passo. Eintanto cercava di riandare nella mente la traccia della strada che avrebbedovuto battere per arrivare alle Fornaci. Fino alla Madonnina della Noce laconduceva la solita strada del molino; al di là passa la grossa stradaprovincialenè poteva sbagliare se camminava sempre verso i monti. Rifacendo iconti a memoriacalcolò chese la carrozza della contessa aveva impiegatomeno di due ore a venire dal Ronchetto alla Madonninaquesto voleva dire chepartendo a mezzanotte e camminando semprelei avrebbe potuto essere alleFornaci sul far del giorno. Se anche non ci fosse stato Giacomola zia Santinanon l'avrebbe lasciata morir di freddo sulla stradano povera ziacosí buona!E forse anche la Lisa non avrebbe avuto il coraggio d'incrudelire contro unadisgraziata. Le stesse bruscherie gelose della invidiosa cugina sarebbero statequasi una musica per le sue orecchiequando avesse potuto ríposare nelpensiero d'essere nella casa de' suoi parenti. Del restofacessero pur di leiquel contoche si può fare di una poveretta senza meriti e senza diritti; latenessero pure in casa come l'ultima delle serveavrebbe lavorato per tuttisenza piú alzare gli occhi in faccia a nessuno; ma non dovevano permettere chequeste signore la facessero chiudere in un ospizioforse in compagnia dicattive traviateo che la mandassero lontanoin paesi sconosciutitra gentebrutalesenza timor di Dioche l'avrebbero forse maltrattatao fatta morire atradimento.

Abbandonandosi senza ritegno alla corrente dei pensierichenel silenzio e nell'ombra della notte risonavano nel suo capo in una specie digorgocorreva a immaginare colla fantasia sconvolta le piú terribili insidieda parte di questi signoriche temevano in lei un parlante testimonio dei loropeccatie che avrebbero avuto della sua morte un sollievo immenso. Che cosavale la vita d'una ragazzache nessuno conosceche nessuno difende? Se non cisono piú nei palazzi i trabocchettidove una volta si facevano sparire lepersonenon mancavano ai signori altri trabocchetti di ogni sorta persopraffare i poveri. Non l'aveva forse la contessa intronata di parole e dipromesse per metterla nelle mani di queste vecchieche ora volevano seppellirlaviva in un ospizio?

Da questi pensieriin mezzo ai quali errava la suaimmaginazione sgomentatafu tolta dal fragore del carroche il Pasqua stavaallestendo nella corte per la partenza. Si mossefece due volte il segno dellasanta crocesi alzòtrangugiò un mezzo bicchier d'acqua per scioglierel'amarezza della boccaavvolse le spalle e la testa in uno scialle bigio dilanaprese da di sotto il letto l'involtoche vi aveva preparato; edopo aversoffiato sulla candelasi mosse per uscire. Allo sparire del lumela finestrasi disegnò nella luce umile della lunache dal mezzo di un cielo rigidosolcato da leggerissime ale di nuvole biancheincombeva sulla campagna immersanella neve. Celestina fu assalita da un panico immenso. Per poco il cuorericusò d'obbedire alla volontàche fin allora aveva comandato con tantaforza. La sua energia oscillò un breve istante in uno di quei dubbi dolorosi etremendida cuicome dal fulcro d'una bilancia delicatissimadipende spessoil male e il bene di tutta una vita. A sospingerla sottentrò la riflessione cheper lei non vi poteva essere un male che fosse peggiore del perdere per sempreil suo Giacomo e del lasciarsi seppellir viva; e che ogni passoin qualunquesenso si facciaper uscir dalle bracinon può essere un passo perduto. Spinsel'uscio e stette ad ascoltare ancora un momento sul pianerottolo. Quando fupersuasa che dormivano tuttiscese al buio la piccola scala di serviziotenendosi attaccata alla parete. Guidata dal chiaroreche entrava da una mezzafinestraraggiunse l'uscio di cucinacercòpalpandola chiavel'infilònella toppaprovando al rumore che fece nel girarequasi uno scricchiolamentoin tutte le ossa; stette a sentire se alcuno dava segno di vita: e coperta dalrumore che facevan di fuori nel caricareuscí nel cortile. Il Pasqua finivad'attaccare il muloaiutato dal suo ragazzettoche rischiarava con unalampadina la stalla. Affogato in un ferraiolo di schiavinacol cappuccio calatosulla testail vecchio cavallante lasciò qualche ordine al figliuoloche si curvò ad accendere la lanterna a vento sotto la traversa del carro. Unaluce giallognola e oleosa si sparse sul biancore lucente della neve e proiettòl'ombra incappucciata del vecchioingrandita come quella di un gigante delletenebresul muro livido e muto del palazzo. La bestia istigata dalla vocesepolta del padronecominciò a raspare sul terreno per cercar sotto la neve ilsasso; il carro si mosseballottando la lanterna e portandosi seco le ombre inuna danza sconvolta.

Quando fu per uscir dal portone e per svoltareCelestinauscí dal suo nascondigliotraversò il cortile; aspettò che Menico tornasseper rinchiudereeandandogli incontro gli dissefingendo una certaapprensione:

- O Menicoavete dimenticato questo fagottoche va allemonache.

Menico prese l'involto dalle sue mani e chiamando: - O pà-corse dietro al carro. La giovane colse quel momento e voltò a sinistra.Camminando in fretta lungo il muro del brolouscí sulla strada del molino. Nonera ancora sonata la mezzanottequando cominciò a camminare verso la stradadella Madonnina della Noceche apparve ben presto in fondo al viale in unamassa densaresa piú oscura dal riflesso vivo della campagna. Tirava unabrezza acutaquale può mandar giú la montagna in dicembre; ma essa se nedifese imbacuccandosi fin sopra agli occhi nel grosso scialle di lana eaffrettando il passo. L'idea del trovarsi soladi notteper una strada desertatutta piena di nevein un paese sconosciutoquesta sola ideache qualche meseprimapassando in sognol'avrebbe risvegliata in un sudor freddoora non leincuteva piú nessuna paura. Non c'è nullache abitua cosí presto al malequanto la minaccia del peggio: e anch'essa ritrovava nella necessità delle cosequella forza misteriosache meraviglia cosí spesso la nostra stessapresunzione. I ladrile ombre dei mortiche vanno attorno per il mondogliorrori dell'oscuritàgli spauracchi delle ombrei gemitii fischicheescono dai profondi silenzi della nottele reminiscenze delle fiabe spaventoseudite raccontare dalle comarii terrori addensati nello spirito umano dasecolari pregiudizi passati in lei per ereditànon mai scossiche non sipossono scuotere del tutto nemmeno dai piú fortitutto questo era semprequalche cosa di piú sopportabile in paragone di quel che gli uomini avevanofatto e volevano fare di lei. La nottenon limpida del tuttoera peròrischiarata dal quarto abbondante di una lunache le nuvole sparse per il cieloe più accumulate verso i monti non riuscivano a nascondere; e quella lucefreddaquietache scivolava sulla neveeccitandone i segreti splendoridavaalla notte e alla solitudine un non so che di tenerodi seducenteo almeno dinon cattivoche parlava con una certa indulgenza all'anima primitiva dellagiovine. Quandouscita dal viottolo del mulinosi trovò davanti la stradaprovincialelargapianarotta dai lunghi solchi delle ruoteche parevacorrere senza fine al piede dei monti oscuri; e quandofissando questi montiavvolti nelle nuvoleli vide lontani lontanirimpicciolitisprofondati nellalontananzaun senso di nuovo terrore e di scoraggiamento ghermí il suo cuore.Il suono improvviso e pesante delle orescoccando sulla sua testa dal vicinocampanileruppe quel breve istante di titubanza e di inerziache l'avevafermata nel mezzo della stradal'incoraggiò a continuare. A spingerla aiutòla vista d'un alto carroche lentamente lentamentecol moto ondeggiante d'unabarca che si avanzaveniva dalla parte di Bergamodondolando una lanternasulla neve.

L'idea d'aver dietro di sé in un momento di pericolo questoappoggio la sostenne. Volendo però stargli davanti per sfuggire alle questionicuriose dei carrettierisi affrettò a riprendere il suo cammino nelladirezione dei montiche la chiamavano.

A destra e a sinistra taceva la campagna nella sua gelidainerzia; ma questo silenzio avrebbe finito collo sgomentarlaseoltre alsoffio del suo respiro non fosse arrivato di tempo in tempo a sostenere il suocoraggio il rumore spezzato del carro che la seguivaa cuicol raccorciare unpoco il passocercava di accompagnarsiappoggiandosi a quel rumore amicocherappresentava per lei gli ultimi aiuti del mondo: cosí il bambino che sisveglia per un brutto sognosi riaddormenta al rumore dell'arcolaioche gliparla della mamma. E andò cosí tre o quattro chilometrisenza incontrar animavivasempre nella strada apertasempre col pensiero e coll'occhio rivolto aquei montiche non mutavano di aspetto. Intanto pensava:

- Prima che a Buttinigo possano pensare a meio sarò quasialle Fornaci. Troverò Giacomo? egli non può non tornare a casa a passar lefestespecialmente quest’anno di disgrazia. Se la zia non mi volesse ricevereandrò a cercar un ricovero in qualche cascinalefinché Giacomo non torni; ese anche lui non mi vuol ricevere e mi serra l'uscio in facciaandrò a cercarlavoro a Brivioa Leccoin qualche filatoioandrò a far la servaa lavar labiancheria dei soldatia cercarse Dio vuol cosíla carità sulle strade; main un ospizio non ci vado a farmi rinchiuderea morire disonorataarrabbiatacome una cagna...».

Col capo circondato da questi pensiericome da uno sciameirritato di vespecamminava sull'orlo della stradadove la neve era già statabattuta da altri passifissando lo sguardo a qualche gruppo di piante lontaneche vedeva disegnarsi coi rami duri e neri sullo sfondo dell'ariaprovando nelsuo muoversi rapido e nel calore che andava sviluppandosi dal suo corpo giovinee robustoun senso quasi di soave energia. Dopo quattro mesi di sottiliangoscie e di spasimidurante i quali la volontà degli altri aveva fatto ognisorta di strazi di leiavviluppandola di fili invisibiliubbriacandola difalse dolcezze e di carezze e di moine snervantiorafinalmentesi sentivaliberapadrona di sé e dei suoi dolorilibera di soffrire e di morire a modosuo.

Il calore del corpoeccitato dall'andar lesto e faticoso sudi una strada rammollitadopo aver con una segreta delizia rianimato i suoispiriticominciò a salire in un'afa soffocante alla testachiusa nel pesantescialle di lana. Lo lasciò andare sulle spallee provò un vero refrigerio acamminare cosí a testa nuda. Dopo quasi un'ora di non interrotto viaggio in cuipoté piú di una volta abbandonarsi e dimenticare sé stessa nella successionerapida e luminosa di immagini lontaneche uscivano dal fondo scosso dellamemoriacominciò a scorgerenel bianco della stradaun gruppo di caseunvillaggioo un grosso cascinale da cui sentiva venire un abbaiare ingiurioso dicaniche si chiamavano nella notte. Stette un momento e si chiese se dovevaaspettare e unirsi al carro che brontolava dietro di lei. Ma vinse quest'ultimaincertezza con un senso crudele di disprezzo verso di sé. Se anche i caniuscivano a sbranarlatanto meglio. Si affrettò a raggiungere le casechedormivano tutte chiuse in una quiete che aveva un non so che di pensoso e diaccigliato. Attraversò un grosso borgo passando prima davanti ai tarlatiportoni dei cascinalidietro i quali sentiva l'urlare e il raspare dellabestiapoi davanti alle botteguccie chiuse e alla chiesa che dominava col vastoprofilo nel vuoto d'una gran piazza desertanon incontrando anima vivacercando inutilmente coll'occhio una fessurada dove uscisse un filo di luce.Dormivano tutti: i vecchi che hanno il sonno scarsoi giovani che portano aletto il corpo inquietoi ragazzi che giocano anche in sogno; dormivano anchele povere mammeche hanno i figli al camposanto; essa sola andava come un'animain pena per le strade deserte a cercare qualche cosa che nemmeno il Signore lepoteva dare... Non avrebbe domandato a Giacomo che una parola. Era persuasodella sua innocenza? bastava un suo síche fosse la convinzione in lui che intutta questa disgrazia il suo amorenon solo non gli era mai venuto menomanon era stato toccato. Capiva che non poteva essere piú suama l'essereabbandonata da lui non era nullase egli diceva di credere alla sua innocenza.Il suo amore gliel'aveva dato tutto e nessuno glielo poteva togliere.

Questo pensiero le avrebbe infusa la forza di vivere inqualche manieralavorandomendicando: nessunonemmeno il Signorele potevatogliere l'orgoglio di essere stata amata da Giacomo... Ma se lui la cacciavaviase non la voleva vedere... oh allora... chi poteva assicurare della suatesta? E come se si spaventasse all'insorgere intempestivo di questa neraprevisionesi fermò sui due piedistrinse la testa nelle mani per aiutarsicon un atto vivace a non disperareinvocò tre volte il nome di Gesúcheaveva tanto patito anche Lui su questa terra; e per chiedere un aiuto a unasensazione esternache la sorreggesse in quel momento di vertiginesi voltò acercare il suo carro. Ma la strada era vuotaimmersa nella tristezza d’unanuvola che passava sulla luna. Forse il carro s'era fermato al borgo. Alloraper non lasciarsi prendere dallo scoraggiamentocorse con affannosaprecipitazione fino allo svolto della stradache cominciava a discendere e apenetrare in certe boscaglie tenebrose piene di una neve piú biancachecopriva un terreno piú tormentato e mosso. Sentendo passar nelle ossa unbrivido di freddosi strinse lo scialle indossosi coprí di nuovo la testaper schermirsi dalle minute goccioline d'acquache stillavano dai rami sotto lescosse del vento: e fatto il segno della crocetrasse la corona e incominciò aintonare il rosario con una voce sostenuta ch'essa ascoltava.

La preghiera lunga ed ugualeche nel suo sonoro meccanismopar fatta apposta per condurre gli spiriti piú inerti verso una lontana eindeterminata speranzadopo aver rimesso in movimento la sua volontàsegnandoquasi la battuta dei passila sottrasse per qualche tempo alla sofferenza de'suoi pensieri; non cosí bene però che gli sgominati fantasmisospinti da unapartenon rientrassero a poco a poco da un'altrainsinuandosi tra le avemarieintralciandone la seguenzainterrompendone la benefica energiafinché a pocoa poco la parola le moriva sulle labbrai passi si facevan piú piccoli epigril'infelicecontinuando a muoversi collo spiritodimorava coi piedi nelmezzo della viarivolta e intenta a cercare dietro di sé qualche cosa di cuiaveva piú il desiderio che la memoria.

Una volta la scosse da quest'attonita immobilità il vociaregrosso d'un carrettiereche svegliatosi all'improvviso arrestarsi della bestiagridava con anima assonnata a quest'ombrache gli impediva di passare.Celestina trasalí con un guizzo acuto di spasimo in tutti i muscolibalzò indispartesi rimbacuccò nello scialle e riprese a correre sull'orlo dellastrada.

Camminò un'altra mezz'oraconcentrando gli sforzi mentalinel richiamare la memoria di un sitoil cui nome ora le sfuggivadove sapevache si passa l'Adda. Nel disordine sparpagliato delle immaginila risonanzaconfusa del nome d'Imbersagodov'è il passo del fiumeserviva come di nucleoe di centro a' suoi pensieri dispersiin mezzo ai quali passavano dellefosforescenze febbrili.

Lasciò indietro altri casolari isolatisparsi nellacampagna dai quali non usciva un filo di luce. Sentí muggire dal fondo dellestalle: incontrò altri carri schierati che seguivano il passo affaticato dellebestie e mettevano dei cupi rumori nell'aria intirizzita e chiusa.

Scivolòpassò via non avvertita dagli uominiche dormivansulle robesempre sostenuta dall'orgasmo febbrileche la faceva sognare aocchi apertiaprendole davanti delle prospettive luminosein cui nereggiavanoi camini e i tetti bassi delle Fornaci. In questa mètache essa fabbricava asé stessala fantasia inferma andava collocando le figure del suo pensieroincostruzioni false ed illogiche. - Che avrebbe detto donna Gesuminaquandoentrando la mattina nella stanza della guardarobanon l'avesse piú ritrovataseduta davanti al solito telaio? forse avrebbe fatto bene a lasciare una parolascritta in un biglietto: le due signore l'avevano sempre trattata bene; maGiacomo avrebbe scritto meglio di lei per giustificare la sua fuga. Non c'erache Giacomo che poteva disporre di lei: essa era sempre stata sua fin dal giornoche lo zio Mauro l'aveva condotta alle Fornaci sulla timonelladopo la mortedella povera mamma Mariannina. Aveva allora poco piú di cinque anni. Lo zioMauroche durante il viaggio se l'era tenuta sul ginocchionel calarla dallatimonellal'aveva collocata in braccio a Giacomoche la portò subito invignetta a vedere i conigli. Fu ancora lo zio Mauroche per una sua ideacominciò fin d'allora a chiamarla «Frulin»un nome senza sensoche parevaaverli tutti al suo orecchioquando ricordava i bei giorni passati. La ziaSantina volle subito indossarle una sottanina di lana d'un color rosso vivochespiccasse bene in mezzo all'erbaquando andava a correre nel pratoperché nonv'era buco in cui «Frulin» non si cacciassetanto era piccina e inquieta. Equando Giacomo sonava la chitarra nella stanza del torchio dell'uva? Lui sonavazufolando sull'aria: Tant che l'era piscinin; e lei ballavagirando inuna grande tinozzache mandava il forte profumo del mosto. Nei sensi le parlavaancora questo acuto profumo d'uva calda. Un'onda spumante le pareva di vederscorrere qua e là in macchie purpuree sul candore della neve. E quando Giacomose la recava sulle spalle nella gerla in mezzo alle colorite pannocchie delgranoturco?

Camminò su questi pensierisenza poter distinguere sempretra le impressioni reali e le immaginiche apparivano alla memoriaor più ormeno confusefin che giunse all'incontro di piú strade. Qui si fermònonsapendo per quale andare avantie novamente l'assalironocome se fossero iviappiattati ad aspettarlai terrori della sua vita di ragazza oltraggiatareiettaingannatafiglia di nessunoche nessuno voleva piú. Al chiaror dellalunache ricomparve un momento con improvvisa nitidezzavidesulla nevepestal'ombra della sua persona rimpicciolitadella sua testa nudacheperdeva le trecciedello scialle chescivolando dalle spalle e mal trattenutoin vitaandava strascicando nel molliccio. Si videe cominciò a singhiozzaredolorosamente ed a cercare intorno a sé un'animache volesse aver compassionedel suo stato. A sostenerla nel tristo momento venne un primo colorirsi delcielo dietro i montiquasi un sospiro dell'alba in mezzo ad una nuvolagliaspessache si ammontonava sulle creste.

Di là scendevano soffi piú densidi un vento umidopienodi ghiacciuoliche le avviluppavano il capole stiravano i capellilefacevano desiderare qualche rifugio. Le strade del crocicchio partivano lunghe elarghe per direzioni diverse nel vasto piano di neve solcato dalle ruotecalpestato dai cavalli e dagli uomini: ma non un'anima viva nel deserto!Solamente un capanno di paglia presso una piantaun trenta passi fuori dellastradausciva dalla neve e pareva invitarla a prendere un po' di riposo. Vi siavviòavendo creduto d'intendere voci di ragazzeche la chiamassero; mafatti alcuni passi nella neve mollecominciò a sprofondare fino al ginocchio;e allora tornò indietro; poiper quanto cercasse intornonon vide né ilcapannoné la strada.

Si fece il segno della croce erichiamate con uno sforzoacuto della volontà le energie dello spiritoavviò un secondo rosario collaintonazione altacon cui soleva precedere la processione della chiesa alcamposantodurante la novena dei morti.

La preghiera traboccava dalle labbra per un impulso meccanicodella voce; ma il pensiero andava a ritrosorisaliva a tempi lontanis'immedesimava con cose passate e morterivivendocon lucida illusione imomenti trascorsiindimenticabilidi una vita umile e dolcepiena di affettidi tenerezzedi gioie nascostedi pudibondi sogniche non aveva mai osatoesprimere a sé stessaquando il piú santo dei desideri le pareva cosí belloche non osava carezzarlo senza qualche rimorso. Si sparpagliavano come foglietrasportate dal vento le immaginiche illustravano la storia segreta del suoamore per Giacomodal dí che se l'era veduto venir davanti vestito da pretino(allora essa non sapeva ancora che cosa fosse amore) fino all'altro dícosídiversoal tempo della guerraquandodopo aver provato tutti gli spaventidella morteseppe che era tornato sano e salvo. Essa era in vignetta a coglierdei piselli per la minestraquando il Manettache amava le grosse celieledisse: - Cerestinac'è il Garibaldi: non senti pim pum pam? - Essarispose: - Che mi fa a me il vostro Garibaldi? - Ma non aveva ancora finito diparlareche dietro il verde dei fagiuoli vide muoversi qualche cosa di rossocome sarebbe stato un grembiale che sventolasse all'ariae invece era luicheappiattandosicercava di avvicinarsi senza farsi scorgere... era luicollacamicia rossa del garibaldinoarrivato improvvisamente; era lui annerito dalsolelacero come un povero ladro; chesenza pensarcise la prese tra lebraccia: e anche leisenza pensarcigli aveva buttato le braccia al collo...mentre il Manetta cantava l'inno di Garibaldi e batteva le manipiangendo comeun ragazzo.

Era cosí viva e presente questa scena che la poverinacomese l'allegria la portasse in ariaaffrettava il passovolando sulla neveridendo ancora giulivamentementre vedeva verdeggiare la strada ein mezzo alverdevedeva uscire il suo garibaldino. Cercava buttargli le braccia al collosenza poter raggiungerlo mai; e correva innanzisorretta dalla calda ebbrezzadella febbre crescenteche non le lasciava sentire i brividi dell'ariamattutina. Una volta fu repentinamente arrestata e svegliata da un fischioacutissimo e dal passare rumoroso di un trenoche scivolòlanciando unafiammata di scintille. Si fermògirò gli occhi intontitasi raccapezzòsentí la sua febbrela sua pesante stanchezza; ma si consolò nel vedere giàchiaro il cielo e nel trovarsi in mezzo alle note alturepoco lontana dalle suemontagne. Piovigginava da una mezz'orae non se n'era accorta. Sentendosi loscialle e i vestiti inzuppati e freddi come ghiacciuolili scossesirimbacuccòringraziò il Signore d'averla accompagnata e (poteva dire d'avercamminato in sogno) si volse a cercar qualcunoche le insegnasse la strada piúcorta per andare al traghetto del fiume. Al rintocco d'un'avemariache venne dauna chiesuola poco lontanadi cui scorse il campanile disegnarsi tra duecipressisi avviò a quella partesi mise a sedere sul gradino della chiesaestette ad aspettare che qualcuno aprisse la porta. Cosí accovacciatacollatesta sui ginocchisi assopí un istanterotta dalla fatica. Le furiose scossedella febbre la svegliarono: temette di morir intirizzita sulla stradae collaforza nervosa ed esaltatache dà il deliriosi mossesi volse a trecontadineche andavano al mercato a vender uovae chiese loro la strada per ilpasso dell'Adda. Le fu indicata una stradettache scendeva al fiumesenzabisogno di girar tutta la carrozzabile; ed ecco dopo cinque minuti potéscorgere dall'alto della riva l'acqua incassata d'un color nero inchiostroe aldi lànell'ombra grigia del crepuscolonel biancore della nevela macchiadel Santuarioil palazzo del Ronchetto e i neri camini delle Fornaci. Nonsentí piú a quella vista né stanchezzané brividiné titubanze: di làc'era il suo Giacomo.

 

 

XI

 

 

GIOBBE E LE SUE TRIBOLAZIONI

 

- Il dottore seguita a dire che tu devi mangiare e tener daconto le forze - ripeteva la rnamma Santina nel metter davanti al suoconvalescente un tegame di buon fritto di cervelloin cui aveva fatto saltarealcune creste. Dopo avergli versato un bel calice di vino vecchio di Marsaladiquel che bevono soltanto i signoririprendeva a dire: - Il meglio che tu possafare è di non pensare piú a quella meschina che in mezzo alla sua disgraziapuò dire d'essere caduta nella bambagia. Tu non puoi raccogliere certe ereditàe... amendi' anche tu: Sia fatta la volontà del Signore. Don Angelo mi hadomandato sea cose finiteavrei difficoltà a ricevere Celestina in casa. Horisposto che dipenderà dalle circostanze. Naturalmente non siamo in caso dimantenerlamolto piú se non tornerà sola. Don Angelo assicura che Celestinaavrà quel che ha diritto di averee quasi voleva ch'io dicessi una somma. Horisposto: nono: son cose che regolerete meglio con Giacomo. Ho detto bene? Hoaccettato per il momento qualche soccorsoperché non si sapeva piú dove daredel capo. I bisogni son molti e quest'annoin medici e medicinesi è spesauna dote; ma desidero che in questa faccenda dica tu la prima parolaperchél'affronto e il danno è stato piú tuo che nostro. La Lisa ha sentito dire allafontanada una donnache fu a servire in casa Fulgenzicome in unacontingenza simile s'è potuto chiedere fin centomila lire- mangiabenedettofigliuolo- ma non tutte le circostanze sono uguali; e non bisogna nemmenoabusare delle disgrazie. Credo invece che convenga mostrarsi discreti eragionevolinon solo per riguardo a questi bravi signoriche sono i piúcastigatima anche per semplificare un accordo. Meglio stornello in mano chetordo in frasca. Siano trentasiano quarantaquel che importa è che si mettatutto sotto un mucchio di cenere e che non se ne parli piú. Con questi denarinon solo si potrebbe provvedere alla disgraziatache non ha piú che questacasa; ma c'è anche questa povera diavola della Lisache ha sempre lavorato pertutti. A proposito della quale ti devo dire che si è fatto avanti il Bogellinofiglio del fattore del Ronchetto. Ha finito il servizio militare e cerca moglie.Sai che la Lisa non gli è mai dispiaciuta. Se non si è fatto avanti primaèperché sapeva che i Lanzavecchia litigavano coi debiti e col fallimento; maquando si potesse assicurare alla Lisa una parte della sostanza di vostro padreanche su una piccola ipotecail Bogellino dice che la sposerebbe subito. E iovedrei volontieridico la veritàquesto matrimonioperché la Lisa non vad'accordo con Battista; e se domani dovessi ripigliare in casa la Celestinadice che non resta un minuto in questa casama va a servire un curato dimontagna. Il vecchio Bogella non ci vede quasi piú e aspetta di cedere lafattoria al figliuoloche è stato tenuto al battesimo dal conte. Tutti lochiamano Bogellinoperché hanno cominciato a chiamar Bogella suo padre; ma ilsuo vero è Lorenzo Limontail nome del conte. La contessa sarebbe disposta adaiutarci anche in questa circostanzase si combina; ma non si può dare laragazza in camicia- bevibenedetto ragazzo. - Quando io mi sono maritatahoportato le mie trenta paia di calzele mie ventiquattro camicie di tela fattein casae ventiquattro camicie di tela forestieradodici sottanesei vestitiquattro di lanauno di setauno di cotone e ottomila svanziche. Sarebbe unvantaggio di poter fare gli acquisti nell'invernoquando si può aver la roba abuon mercatocosí il matrimonio potrebbe farsi in principio di primavera. DonAngelo conosce un mercante di Bergamoun galantuomoche avrebbe giustorilevato in questi giorni una camera da letto per duecento sessanta lirecolsuo letto matrimonialeil cassettone col marmodue tavolini da notte e laseggiola col cuscino elastico... È un'occasione da non lasciar scappare...Anche Angiolino avrebbe bisogno d'un paio di calzoni...

A questo genere di discorsiche la vecchia Santina trovavamodo di ripetere e di far entrare in testa a quel benedetto figliuoloGiacomonon rispondeva mai nulla; ma lasciava capire che per conto suo non avrebbeimpedito né allo zio prete di accettare tutto quel che nella sua coscienza diprete credeva onesto d'accettarené alla Lisa di sposare chi volevané allamamma di ripigliare Celestina in casase Celestina non desiderava che questo:gli affari di casa non lo riguardavano piú. Egli non avevao credeva di nonavere più la forza né di combatterené di resistere. Dopo che il suo cuoreaveva cessato di muoversicome se il dolore ne avesse paralizzato le forzepoco gli poteva importare che gli altri sfruttassero e accomodassero la suadisgrazia ai bisogni del loro egoismo. D'un cavallo morto è sciocchezza nontrarre tutto il profitto che si può. Perfino quel che vi poteva essere di piúgrottescoin queste rattoppature della coscienza coll'avarizianon aveva lavirtú di farlo sorridere. È giusto che ognuno pensi a sé; l'errore è nelcredere che si possa vivere d'idee; e molto meno si può vivere d'idee inutili!Dal momento che aveva trovato quel posto a Pallanzanon aspettava che dimettersi in forzepoi avrebbe dato un addio per sempre alla casa di suo padrenon piú suaal passatoai libri... Al finir della supplenza avrebbe fattadomanda per aver qualche altro postoin fondo alla Siciliao in Sardegnaundi quei posti che nessuno vuoleche sembran fatti apposta per seppellirvi unuomodove arrivi sconosciutonon desideratosenz'obbligo di dar conto di tedove con un poco di pazienza puoi arrugginirti del tutto in una cinica inerziadi spiritoo in un meccanismo di occupazionichese non è la morteè perlo meno idiotismo laureato.

 

Stava una mattina raccogliendo alcuni pochi libri in unacassetta (quei pochi che dovevano servire al mestiere) quando l'uscio fu spintobel bello e comparve nella luce della loggetta la figura tozza e strapazzata delManettach'era venuto per dir qualche cosa anche lui al povero sor Giacom.Il vecchio fornaciaioche aveva veduto nascere e crescere tutti i figliuolidella casa e che nella sua rugosa scorza abbruciata dal sole e dal fuoco potevadirsi il genio affumicato delle fornacinon aveva potuto rimanere di pietraalle disgrazieche da qualche tempo tempestavano le tegole dei Lanzavecchia.Dopo la morte del povero sor Maverpareva che il diavolosceso per lacanna del caminosi fosse seduto sul seggiolone del pà. La storia della poveraCerestina non era da credere; e se in conseguenza diretta anche il sorGiacom deliberava di morirea lui Manetta non restava che di andar a sonareil violino. Quando un uomo ha lavorato tutta la vitaè duraoltre al vedercrepare gli altridi dover finire come un cane rognoso su un pagliaio. Eraquesto il discorso che gli stava sul cuore di fare al sor Giacomperdimostrargli che di mali ce n'è per tutti e che il peggio rimedio è quello dinon volerli portare.

- Lei diràsor Giacomch'io ho buon tempo e che nontocca a me di fare il professore - disse il vecchio faunotenendo sollevato ilcappello sull'osso della testa per tutto il tempo che durò il gran discorso: -Per grossa è stata grossa; e quando ci pensomi vien voglia di bestemmiarecom'è vero che ho ricevuto il battesimo. È il vizio che fa gli uomini cattivi;e quel che mantiene il vizio è la troppa pietanza. Ma don Angelo dice che laProvvidenza non si addormenta mai e bisogna crederci. Dal momento che questoMonsignor vescovo ci mette lui le mani dentrosaprà ben trarne fuori qualcheingrediente per far buona la bocca. Il tempo è un vecchio sartoche rattoppaanche al buio. Se va la combinazionemi raccomando anche per meche sono ormaida vendere per ferro frusto. Non si desidera mica mangiar manzo e mostardadiodedei! A settant'anni non sono i peccati di gola che fan paura; ma c'è chel'asino è stracco come una vaccaparlando con poco rispetto; né lavorare sipuòquando si hanno i conti da aggiustare colla vecchia Caterina. Far contisulla cassa di risparmio? caro vita! è come voler scaldarsi a un fuoco spentoperché ai calzoni del poverodice quelloil sarto si scorda di fare letasche. Il male piú grosso è chequando uno si è fatta l'abitudine dimangiare tutti i giorniè difficile che muoia d'inappetenza. Per conseguenzadirettase domani si vendono le fornacicome sento direa qualche grossaditta di Bergamoè probabile che nessuno voglia prendere un uomo cosírovinato nel telaio. E non faccio per dire: ma di pesi ne ha sollevati in vitasua questa carcassa di corpoche ora scricchiola come una cesta. Vede la chiesadi Calusco quanti mila mattoni? Ebbene son passati tutti per queste due maniche ora stentano a stringere il pane. Lei sa che cosa è la filosofiae diràche io sono una bestia e che della gente ce n'è fin troppa al mondopeggio chele mosche d'estate; ma si vorrebbe morire nel suo lettonon su una strada: chene dicesor Giacom? Se mi buttan via perché son vecchio e scassinatoaddio bella! non mi resta che di andar a quattro gambe come quel poveraccio delFoppache è uno sproposito di Dio. Chi ha provato il tossico sa che cosa vuoldire bocca amara; chi ha patito sa che cosa vuol dire patire. E se lei dice unabuona parola al vescovoo alla sora contessao a Don Angelotanto che non mibuttino ai canipregherò sempre per il suo pàper la povera Cerestinachese dovesse morir ogginon la tocca nemmeno le fiamme del purgatoriotanto èbianca nella sua coscienza che non piú questa neve che viene dal cielo. Lo soio il bene che gli voleva la Cerestina. L'ho scoperto io questo amorequando lei andò col Garibaldi; e se Dio mi dicesse: Manettametti la manonella fornace accesa! com'è vero che questa è carne vivagiuro che ve latengo il tempo di tre salveregine.

Il vecchio fornaciaio stese il braccio affumicato enocchioruto e lo tenne sollevato col pugno in ariacome se aspettasse veramenteil giudizio di Dio.

Giacomoche all'assalto di questa nuova tenerezza sentivafarsi il cuore sempre piú debolestrascicando a fatica le paroleanziparlando piú coi segni che colla vocefece intendere che fin che ci sarebbestato pane pei giovaninon sarebbe mancato ai vecchi.

Ma capiva sempre piú che l'opera sua era finita; non soloma ch'egli era piú d'impedimento che di aiuto. Forse era meglio ch'egliaffrettasse la sua partenza. Quando la battaglia è perdutaal vinto non restache di ritirarsi. Durando il bel tempo seccoben coperto dal tabarro del pàsi fece accompagnare una mattina da Angiolino in timonella fino alla stazione diCernusco e mandò via la sua poca roba per Pallanza. Nell'andare volle che sipassasse per strade meno battutequantunque la gran neve caduta facesse iluoghi quasi deserti. E anche procurava di rintanarsi nelle pieghe del mantelloe di nascondere il viso sotto le tese larghe del cappellonon tanto per lapaura del freddoquanto perché immaginava che la gentericonoscendolodovesse dire: «To'colui che si lascia rubar l'amorosa e par che sirassegni!».

Nel ritornare dalla stazione fece fermare la timonelladavanti al camposantoe senza discendere girò l'occhio sulle crocicheallargavano le braccia sulla neve. In mezzo alle croci quasi soffocate esepolteun mucchietto di neve piú alto degli altrisegnato da un piccolopiolo rusticoera tutto quanto oggi parlava ai vivi di un Mauro Lanzavecchia.

- Sei morto a tempopover’uomo! - mormorò a mezza voceGiacomomentre Angiolino colle mani nel cappello recitava il suo requiem dicuore.

- Amen! - soggiunse Giacomoquando Angiolino s'ebbe fatto ilsegno di croce. - Questa primavera penseremo a mettergli una croce di sasso.

- Sí - soggiunse Angiolinocon quel tono un po' acerbochemostrava da qualche tempo in qua. - Síma vogliamo mettergliela del nostron'è vero?

- Cioè...? - fece Giacomo ch'era lontano dal capire.

- Voglio direnon coi denari che vengono dal Ronchetto.

A questa improvvisa rimostranzache uscí sbadatamentedall'anima rustica del ragazzottoGiacomo arrossí con tanto fuoco che sentíper un pezzo il calore della vergogna durare sulla pelle e quasi bruciargli laradice dei capelli.

- Il povero pà non ha mai voluto l'elemosina di nessuno enemmeno a me piace di mangiare il pane sporco.

- Perchéperché il pane sporco? - balbettò fievolmenteGiacomo.

- Lo dicon tutti eh! - soggiunse Angiolinomenando un colpodi frusta alle orecchie della grigia. - Tu sei troppo buono: ma io non l'avreifinita cosí.

- Di chi intendi parlare? - interrogò smarrito il fratellofilosofo.

- Non farmelo nominare. Per me avrei fatto il conto cheavesse finito di respirare l'aria di queste parti.

- Chi ti ha parlato di queste cose?

- Chi? chi? come se non lo sapessero le campane. Basta! tusai leggere il latino e può essere chedal lato del messalela ragione siatua; ma io gliel'avrei data una coltellata nel ventre.

Nel dire queste fiere paroleil ragazzottoche mandavascintille dagli occhilasciò andare un'altra bieca frustata al capo dellapovera grigiache s'impennòbalzò e prese la corsa. Il corpo forte edelastico del piú giovane dei Lanzavecchiascosso dall'irafremeva in tutti imuscolicomunicando al sedile sospeso della timonella un moto convulsochefaceva tremar Giacomo nelle pieghe grosse del tabarro.

La grigia si arrestò sudata e spumante nella corte.Angiolino saltò a terra e la condusse verso la stalla. Giacomoche parevaschiacciato dall'umiliazionegli andò dietroe quando quello ebbe legata labestiamettendogli una mano dolcemente sul pettogli disse:

- Sai quel che hai dettoAngiolino?

- Lo sonon è da cristiano; ma bisognerà pure aggiustarlain qualche maniera. Celestina è una nostra sorella eh?... e noi le vogliamobene... - Ora la fiamma divampò sul volto del ragazzoche fremeva tutto sottola mano pallida del fratello.

- Son ionon tuson io nel casoche devo aggiustarla... -pronunciò faticosamente Giacomoalzando un ditoche tremava nell'aria.

- Non importa chi siaGiacomo: purché non si dica che noimangiamo il pane sporco.

- Non si dirà - scappò detto al povero filosofoche parverianimarsi in un improvviso coraggio. - Non si dirà... ma son io che devoaggiustarla.

- Fa conto che io sia con teGiacomo: anche fino all'inferno- soggiunse il giovinettoche sputò per disprezzo di qualcuno sul muro.

- Non si dirànon si dirà - andava ripetendomacchinalmente la forza d'argomentazionementre il convalescente si trascinavasu per la scaletta.

Fu ancora una brutta notteuna vera notte d'inferno! Leparole sconsiderate d'Angiolino non avevano ridestato il vecchio uomose nonper dargli la coscienza della sua vergognosa incapacità. Angiolinosíparlava come un forte. Egli inveceavviluppato da considerazioni filosofiche emorboses'era lasciato disarmare della forza naturaleche fa operarecoraggiosamente per il bene contro il male: e trascinavasi in una meschinainettitudinepermettendo che i suoi mangiassero il pane sporco. Angiolino lofaceva piangere di rabbia. Questo ragazzo quasi analfabetache lavorava per lasua mammache pregava cosí fervorosamente per i suoi mortiche non avrebbeesitato a dar l'animo al demoniopurché fosse ristabilita una legge digiustiziaera un rimprovero vivente alla sua gretta acquiescenza. - Quando laLisa gli portò in camera la cenalo trovò quasi morto di freddo.

- Tu hai fatto male a uscir stamattina; lo dicevo poco faalla mamma. - Prese a cantare la ragazzona: - Che bisogno c'era di mandar viaproprio quest'oggi la tua roba? par che la tua casa ti bruci sotto i piedi.Invece quel che importa adessopiú di ogni altra cosaè che tu stia beneprima per te e poi per tutti gli altri. Chi ci aiutase tu non ci aiuti? Èstata una grande disgraziae veramente tu non la meritavi; povero Giacomocosí buono come sei: ma da una disgrazia non dobbiamo mica cavarne cento. E oramangiasforzati di bere una goccia di vino. Questo me l'ha portato per te ieriil Bogellino del Ronchetto. È vin di Mondonico di cinque anni fafatto dalvecchio Bogellache ne ha una cantina piena. T'ha parlato la mamma di quel chec'è in aria? Se ti pare che io abbia fatto qualche sacrificio per questa poveracasadovrai compatire se desidero mettermi a posto. Qui finirei coll'essere lazia senza dentio col mangiare un paneche non mi vorrà passare quel giornoche madamisella tornasse in casa a comandare piú di prima. Ti parevo troppoingiustaquando dicevo che madamisella non era fatta per noi: sarà stata unadisgraziama a me non è capitata. Comunque non sarò io che starò adingrassare sui peccati degli altri. Questo matrimonio invece arriva a tempocome l'arca di salvazione. Lo zio prete ne avrebbe già parlato alla contessa: equando tu non avessi nulla in contrariosi potrebbe fare questo carnevale. Nonè l'anno d'allegriano di certo: ma il povero pàse dà un'occhiata in quavorrà ben perdonarese non lasciamo finire l'anno di triste condizione. Questenon sono allegriecara Madonna! son rimedi da far passare la miseria... Mangiadunque: non lasciarti prendere dall'ipocondria; son già troppe le tribolazionisenza bisogno di andarle a cercare col lanternino.

Giacomo si sforzò di mangiare; ma nel mettere in bocca ilpanegli risonò nell'animo con una violenza irrefrenabile la frase diAngiolino: Che non si dica che noi si mangia il pane sporco... Uno stringimentodella golauna nausea nervosa dello stomaco gli fece sputare nella cenere ilbocconeche egli non sapeva né romperene inghiottire. Sentendosi il cuorepesante e tormentatocosí ch'egli temette per un momento di non potere piútrascinarlo innanziné potendo togliersi dalle ossa i brividiprima ancorache la giornata fosse scura del tuttoandò a letto e pregò che lo lasciasseroquieto.

 

XII

 

 

POVERA FRULIN!

 

 

Si rannicchiò nelle copertesprofondò il capo nel cuscino;ma l'immagine di Angiolino gli tornava davanti colla baldanza alquantooltraggiosa d'un rivale. Questo ragazzo aveva parlato semplicemente come un uomoche ama; mentre i libril'analisil'aristocrazia dei pensierola ripugnanzaper il lavoro che logora le manil'ebbrezza cercata e ripetuta dalle astrattespeculazioni avevano snervata la volontà del filosofo. Eccoecco: dopo di nonaver saputo né prevederenè impedire il maleora non sapeva nemmenorespingerloma vi languiva sopramiseramentedi obbrobrio a sé e agli altrinon più uomoma spoglia vuota d'ogni energianon piú savioma cadaveremummificato d'un filosofo morto d'inazione.

Chi disprezza l'opera sua lascia libero il campo ai predoni.I piccoli egoismi s'affollano come mosche sul cadavere dell'imbelle. Ecco ilcastigo dell'orgoglio! ed era naturale che nel mal esempio si guastasse anche lavirtú dei buoni. È sul terreno dei doveri trascurati che piú crescono le erbevelenose del male.

Fu solamente verso le quattro del mattino che il poveroafflitto poté addormentarsiabbattuto dalla sua stessa fatica. Sognò cosemeno torbidecose lontanein cui entravano le camicie rosse dei garibaldiniil lago di Gardale montagne del Tirolo e certi viottoli angusti esdrucciolevoliper cui passava una compagnia di soldati sotto un'acquerugiolafinafreddanoiosa; finché gli parve di arrivare a un certo poderedovebisognò piantare le tende... Fu allora che intese per la prima volta chiamare:GiacomoGiacomo!

Gli pareva di stringersi nella meschina copertadirannicchiarsi sotto la tenda umidicciacercava di riprendere sonnoquando dinuovo sentí la voce che lo chiamava. Stava per rispondere: presente: e inquella alzò la testa dal cuscino. Riconobbe che aveva dormito e sognato.Cominciava appena ad albeggiare.

- Giacomo! - risonò di nuovo la vocedalla parte dellacorte.

«Chi mi chiama?» domandò mentalmentesenza alzare latesta.

- Oh il mio Giacomosono io...

- Sei tu? DioDioè lei... - disse a voce alta mettendosia sedere sul lettocome se si sentisse afferrato da una forza non umana.

- Giacomosentisono la tua Celestina - chiamava la vocedolente con una intonazione di tenerezza.

- Non sognoDio! è lei... - Prese i vestiti dalla sediaseli indossò in frettamentre andava ripetendo macchinalmente: - Dioè lei.Sei tu? - gridò aprendo la finestra e sporgendo il capo a cercar nella corte.

Il giorno era appena chiarodi quella prima luce che lottaancora colla pigrizia della notte: ma il riflesso vivo della neve aiutava a farvedere le facciate delle case e i contorni degli oggetti. Giacomo cercò lungoil muro e vide la figura di una donnaritta in piedicolla mano sul palettodell'uscio.

- Sei tu? o Madonnaaspetta che vengo...

Calzò le scarpeavvolse la gola scoperta in una sciarpa dilanauscí sulla loggettascese nel buio passaggio della scalaattraversò atentoni la cucina fredda come una ghiacciaiafece saltare l'arpione dell'uscioandò fuori...

- O Giacomonon mi cacci via? - La voce di Celestina avevain sé qualche cosa di ridente. Giacomo aprí le bracciastrinse quel poverocorpo indurito dal freddofracido di pioggiale impedí di gridare mettendoleuna mano sulla bocca: - Tacidormono: entra. Sei proprio tu?

- Sísono ioproprio io: tu non mi cacci via...

- Da dove vieni? sei venuta sola?

- Sono scappata. Lasciami morir quiGiacomo.

Egli la fece entrare e nell'oscurità dell'usciocherichiusero dietro di séi due promessi sposi si baciaronosi carezzaronopianseromescolarono le loro lagrimesi strinsero cuore su cuoreper finir disoffrire tutto quel maleche non aveva piú paroleche non comprendevano piúche li travolgeva come un grosso fiumeverso una profonditàin cui non senzaun'idea di contentezza sentivano che c'era la fine di tutto.

- Tu sei malatatu hai la febbre... - disse Giacomoquandosentí il povero corpo guizzare nelle braccia in un tremito violento e convulso.

- Nosto beneGiacomo - risposesempre colla sua voceridente la poverina.

- Vieniche accendo il fuoco. Sei scappata? soladi notte?che cos'hai fatto? Sei venuta da Buttinigo fin qui a piedi? - Giacomochetremava anche lui di freddo e di emozionedopo aver cercato gli zolfanellisulla pietra del caminoaccese un moccolettotolse dal cassone un gran fasciodi sottili stramagliel'ammucchiò sul focolarevi appiccò il fuocoequando la fiamma cominciò a farsi strada e a crepitaretrasse la Celestina asedere sulla cassapancale tolse dalle spalle lo scialle impregnato d'acqualeasciugò col fazzoletto la testa grondante evedendola rianimarsi al caloredella fiammasi domandò se per caso non fosse ancora uno strano sogno. Chi samisurare la grossezza del filo che intercede tra la verità e il sogno? e chinon ha vistosognandola segreta anima delle cose?

- A Imbersago ho dovuto aspettare quasi una mezz'ora che lachiatta del porto venisse a portarmi di qua: pioveva e non mi sono accorta. Maora sto bene: questa fiammata è il paradiso.

- Hai camminato tutta la notte nella neve?

- Sempre. Era cosí bello... Fu nel discendere verso il portoper un sentiero gelato e liscio come un vetro che son due volte sdrucciolata...ma non è nulla... Ora sto bene qui accanto a te.

Giacomo dallo squallido disordine delle vestiche portavanoi larghi segni dello strapazzo e del fangoe piú ancora dell'animazioneeccessivaquasi nervosache spingeva la poveretta a ridere e a celiare sullasua avventurafu tratto a pensare che lo strano viaggio non fosse andato senzapericoli e senza spaventi.

Le scarpele calze erano una pietà. Il fangoimpiastricciava le balzanei gomitiil volto fin sopra i capelli. C'era sullafronte qualche riga di sangue. Al bagliore dei fuoco gli occhi di leirisplendevano d'una luce fissa e cristallinache pareva mirar lontano. Lebraccia avevan bisogno di stirarsi: il corpo pareva desiderare d'annidarsi inquella gran fiammache riempiva il camino. Purecon tutto questoessa eracontenta d'essere arrivatae parlava sempre con voce elevataridentepienad'infantile contentezza.

Giacomo cercò nell'armadio la bottiglia della vecchiaacquaviteche il povero pà soleva versare nel caffè.

- Beviquesta ti farà bene: ti scalderà lo stomaco.

Essa prese il bicchierino colla mano traballante e tracannòil liquore con aviditàcome se fosse latte. Le sue gote si rianimarono subitod'un calore interno.

- Grazie della carità. Come sei buonoGiacomo!

- Togliti le scarpe: fai pietà - pregò con voce sommessa.

- Hai ragione: ho i piedi rotti. Fu un grande andare... - Econ docile obbedienza lasciò che colla lama del temperino egli tagliasse lestringhe e aiutasse a levar le povere scarpeche non erano più scarpette daballo. Le tolse anche le calzeche parevan state in molle e volle cheasciugasse i piedi nudi alla fiamma. Celestina lasciò fare con una infantileaccondiscendenzaprovando nella gioia fisica di quel caloreche la ristoravaqualche cosa di lieto e di splendidoche correva ad accendere tutti gli spiritidella vita.

Cominciò a raccontare con tono eccitato e molto sconnesso leavventure della sua fuga: come avesse ingannato le due signoreperché lei inun ospizio non ci voleva andare: si era accorta che volevan seppellirla viva:disse anche come da qualche tempo le mettevano nel paneche aveva un saporeamarognolouna piccola goccia di veleno per farla morire a poco a poco. Allorapensò di fuggire: uscí di casa dietro il carretto del Pasqua e s'eraincamminata per quella benedetta strada lunga lunga lungatutta coperta dineve. Una volta incontrò il Manettache le disse: È arrivato il Garibaldi...Allora s'era consolata tutta: ma alcune donneche andavano al mercato diMeratela volevano condurre con loro per raccomandarla alla Madonna del Boscodove c'è un lupo che mangia i bambini... Ma essa capí che volevano farlaperdereperché eran streghe travestite. - Il portolano d'Imbersagoquando mivide comparire cosícome se fossi stata pescata allora dall'Addanon voleva atutti i costi trasportarmi dall'altra parte. C'era una nebbiave'... Provò achiamare un ometto colla barbetta rossache voleva sapere chi aveva colta lacastagnachi l'aveva sbucciata e mangiata. Io dissi a quei due burloni cheavevano buon tempo e feci vedere un cinque franchi. Allora si persuasero aportarmi di qua. L'acqua era verde come una biscia. Poi non ebbi piú paura dinessunoperché sapevo che di qua c'eri tuGiacomo; ma devo aver perduto ilborsellino colle sessanta lire della contessa. Credi che abbian potuto rubarmeloquei vecchi? l'ometto dalla barbetta rossase non era il diavolo colle scarpeera uno de' suoi figliuoli piú vecchi... - La febbricitantementre raccontavacosía spizzicosconnessamentenon cessò dal togliersi le forcine daicapelliche sciolse interamente e spremette colle manifissando con un sorrisodi tenerezza il suo Giacomo. A un trattocome se venisse meno ogni motivo digioiasi rannuvolòstrinse nella mano convulsa una treccia e rimase immobilecogli occhi fissi sulla bragesimile all'immagine simbolica dell'afflizione. -L'Adda era verde come una biscia- ripigliò colla voce di chi parla in delirio- ma quando fui al di qua del fiumenon ebbi piú paura di nulla. Di qua ci seituGiacomo; tu sei il mio Gesú. - E sporgendo un piede nudo verso la fiammasoggiunse con dolorosa ironia: - L'ometto dalla barbetta rossa voleva che losposassi; ma io gli dissi: «Levatevi la scarpa: fate vedere il piede. Certo erail diavolo».

Detto questoappoggiò la testa stanca al palmo della manochiuse gli occhiabbandonò il corpo ese Giacomo non era pronto a riceverlafra le bracciastramazzava nelle fiammerotta dal sonno e dallo strapazzo.Egli lasciò che posasse la testa dolente sulla sua spallala sorresse colbracciocircondandolale ricoprí colla sciarpa i piedie se la tenneaddormentata un pezzorannicchiandosi nell'angolo del vecchio caminomentre lafiamma si spegneva a poco a poco nella cenere e cresceva la luce bianca del día schiarire le cose. Il gallo cantò. Poco dopocominciarono le campane asonare l'avemariarompendo l'aria muta e ghiacciata con una specie di domesticacantilena. Era proprio Celestinache dormiva sulla sua spalla colle labbraaperte a un inerte sorrisosotto i colpi di piccoli fremiti. Era leiera lasua povera Celestinache gli parlava coi gemiti del suo dolore assopito.

E nel carezzarne i capellisentiva uno strano bisogno diripeterle cose dolci e soavi; come se tra lor due non fosse mai discesa alcunafatalità.

Nella luce ardente di questo istante presente impallidivano iricordi del passato. Alla realtà l'animo commosso non sapeva opporre che unamorta resistenza. La ragione non parlava piúfinalmentein luima dall'animasua buona e commossa traboccava la santa pietàla santa forza operosa chelibera e redime.

Che cosa diventano i piccoli argomenti della piccola logicadavanti all'onda di quel sentimento di amore e di carità?

- Tu sei il mio Gesú - essa aveva detto nell'invocare la suamisericordia; e forse parlava veramente al suo cuore una carità piú grande delmondoquella che Gesú recò sulla croce e che vinse contro le leggi del mondo.

- O povera «Frulin» - le andava ripetendoparlandolesommessamente nei capelli: - Che cosa hanno fatto di te? perché ti hannoridotta cosí? che male abbiamo fatto noi due per essere cosí puniti?

L'ascoltava essa? pareva che uno spirito vegliassenell'oscurità profonda di quel sonno letaleche impiombava le sue palpebre esnervava tutte le sue forzeperché alle parole carezzevoli rispondeva talvoltaun breve corrugare delle cigliaun movimento languido delle labbrachecercavano ancora un sorriso. Di mano in mano che la luce si diffondeva nellastanza e i pensieri della realtà entravano a dominare la sua commozioneGiacomonel contemplare quel povero corpo rattrappito nelle sue bracciaqueipiedi nudi illividitile vesti sciupatei capelli cascanti sul viso arso dallafebbrenon seppe più trattenere il pianto. Credeva che fosse inaridita persempre la fonte delle lagrimee invece se le sentiva colare tiepide e larghenei solchi del visole vedeva scorrere come un vero lavacro dagli occhi suoisul viso e sulle mani della disgraziata...

- Povera Celestinapovera «Frulin»! se ti vedesse lo zioMauroche ti voleva tanto bene... Perché dovevo provare questo dolore? nononon avrei mai creduto che si andasse cosí lontano nella via del patimento. Senon si muore di questi maliè segno che veramente c'e in noi qualche cosa chenon può morire.

Cosí parlava o credeva di parlare a leima in fondo nonfaceva che ascoltare sé stesso. E intanto non osava muoversi per paura dirompere quel breve momento di riposo e di benedetta dimenticanzache laristorava. Pensava cheperché la poverina avesse avuta l'audacia di fuggir dauna casa ospitale di nottee di mettersi tutta sola per una strada piena dineveaffrontando i pericoli e gli sgomenti di un viaggio cosí paurosoquestovoleva dire che la febbre dei suoi mali l'aveva eccitata fino al delirio. Ne'suoi discorsinel suo stesso ridere festoso c'era già qualche cosa di troppodi oscurodi irregolare; e questa febbre cresceva spaventosamente adabbracciarlala faceva gemere nel sonnoemanava in una vampa roventein cuicominciava ad ardere egli stessocome di un fuoco che si propaga...

Finalmente sentí muovere nella stanza di sopra glizoccoletti della Lisache poco dopo sonarono sulla loggetta. Aspettò ch'ellavenisse dabbasso equando la vide entrare in cucinale fece un richiamo collamano.

 

 

XIII

 

 

QUOD DEUS CONJUNXIT..

 

 

- Guardafa piano; è Celestina...

La Lisa alzò le maniaprí la bocca e rimase senza fiatoimmobilesenza poter trovare tra cento parolequella che valesse ad esprimerein una volta la meravigliail disprezzola gelosia e anche un certo sensoserpeggiante di compassioneche suscitò in lei l'improvvisa presenza dimadamisella in casa sua.

- Ha una febbre terribile- continuò sottovoce Giacomo - vaad avvertire la mamma; fate scaldare un letto.

«Quando son malate...» ebbe una gran voglia di dire laLisa; ma dalla faccia di Gesú crocifissocon cui le aveva parlato Giacomocapí che non era il momento di pigliarsi di queste soddisfazioni di stomaco.Tornò di sopra e cinque minuti dopo le due donne rientrarono insieme.

- Sicuro ch'è malata questa pover'anima... - dissepietosamente la mamma Santina tenendole una mano sul capo. - Il meno che sipossa fare è di metterla subito in letto e di chiamare il dottore. Mentreraccolgo un po' di brace nello scaldinotu Lisaprepara il letto nella stanzadi Giacomo. Da dove vien fuori questa povera martire?

La Lisachedalla roba giudicò lo strapazzo dellacreaturanon osò replicarema tornò di sopra a stendere un materasso sullettonella stanza che occupava Giacomo prima di passare in quella dello ziopretesforzandosi di vincere colla furia dei movimenti un'agitazionein cui ilsuo risentimento bisbetico si azzuffava col presentimento pauroso di qualchenuova disgrazia.

- Non ci manca che questa - cominciò a brontolare dentro disémentre stirava i lenzuoli sul letto. - Càpita in una bella condizioneseDio vuole! Se si deve giudicare dalle scarpe e dalle calzemadamisella non haviaggiato in carrozzama ha camminato abbastanza per arrivare a tempo per farsicurare da noicome se non ne avessimo abbastanza dei fastidi nostri; giàfinirà col guastare anche quelle poche feste di Natale. Questosi saèl'ospedale degli invalidi. Finito l'unocomincia l'altrae nois'intendecidobbiamo prestare per tuttigratis et amorese dobbiamo guadagnarci un belposto in paradiso. Per loro il buon tempola filosofiai buoni bocconiicomplimentila corte dei signorie quel che seguefin che il buon tempo dura;quando la festa è finitasi torna a casa a farsi curare; e allora allondonctocca a noi far pezze della pelle per medicare le loro piaghe. Sarebbebella chedopo aver fatto quello che ha fattomadamisella venisse a morir quiproprio a tempo per liberare da ogni obbligazione quei bravi signorichel'hanno rovinata! uscir lei dai fastidi e lasciar a noi le spese del funerale.Non mi stupirei che lo facesseperché è sempre stato nel suo carattere diguastare le combinazioni...

Mamma Santina entrò in quella collo scaldino. Pallida etremante di emozionequando la Lisa cominciò a voler far sentire le sueragionitroncò ogni discorso col dire:

- Fosse la figlia di nessunoquel che importa è che lapovera figliuola sia assistita; non sei cristiana?

- Non neghiamo la nostra carità nemmeno ai cani; ma io direidi scrivere subitoa buon contoallo zio preteper avvertirlo del fatto e perindurlo a conchiudere qualche cosa con quella benedetta contessa. Sapete cheGiacomo non è uomo da risolvere una questione. Teme sempre di mancar dirispetto alla gentela quale poi lo ripaga nel bel modo che s'è visto; e nonvorrei chea furia di aver misericordia agli altrici riducessimo a morir noidisperati come ladri. Se questa disgraziata deve ammalarsi in casabisogneràpure che qualcuno pensi alle medicine. Sarebbe bello che toccasse a noi di farla penitenza de' suoi peccati...

La Lisa non avrebbe finito cosí presto dal predicarese lamammafacendole un vivo segno colle maninon l'avesse avvertita che Giacomostava per entrare.

Questi s'era presa Celestina sulle braccia e raccogliendo lesue forze a un'estrema faticaveniva su per la scaletta col peso lento dellapersonache rovesciata sulla sua spallanel languore pesante di un corpomortolasciava cadere le braccia incapaci in un desolante abbandono. I capelliumidi e sciolti scendevano sul voltovelando i lineamenti già irrigiditi emettendo una striscia quasi funebre sul candore marmoreomentre i piedi ignudiche uscivano dalla povera gonnadavano alla giovine una tristezza d'infinitamiseriadi vittima spenta che portassero a seppellire.

- Come l'hanno conciatapover'anima - scappò detto allaLisaquandodeposta sul letto la malatadette mano a svestirla; e maleresistendo alla violenza della naturale compassionegli occhi le si fecerogrossi di pianto.

Giacomo ordinò con tono frettoloso e sostenuto che lamettessero a lettomentre egli andava a chiamare il dottore. Uscí e corsecosí come si trovavaa capo nudocol petto mezzo scopertoin cerca delBrandati.

Celestina si lasciò svestire senza dar segno di vita. Era unletargo di piombo fuso e colato in un corpo di ghiaccio.

 

- Non vede domattina - pronosticò don Angelo crollandomalinconicamente la testa.

- Nel suo stato lo strapazzo fu troppo - soggiunse lalevatriceche il dottore aveva dovuto far venire in fretta.

- Santa Madonnache brutto Natale! - La Santina nascose ilvolto nel grembialee dopo aver asciugati gli occhi grondantisi volse alprete: - Glielo dite voidon Angeloa quel povero figliuolo?

- Dov'è?

- Dabbassoin studietto. Da ventiquattro ore non par piú unuomo vivo.

- Vado io a pigliarlo.

Lo zio prete scese lentamente la scaletta e andò in cerca diGiacomo. Lo trovò nello stanzinoche serviva di studioseduto in una vecchiasedia di cuoiocol capo curvo e colle braccia incrociate sul pettocogli occhifissi sul suoloin una attitudine di attonita tranquillità.

Nella luce grigiache entrava dai nudi vetri della finestrache dava sulla vignettail suo volto reso quasi trasparente dai malicomparivaancor piú delicato e giovanile. Ma tutta la testasotto il cespuglio d'unachioma fatta folta e lasciata incoltaaveva un'espressione di bellezza forte eresistente.

Di fuori il vento strappava i rami della vecchia viteappoggiata al muroe nella bianchezza della neve svolazzavano per la vignettaalcuni corvi. Il cielo attraverso agli alberi e ai pergolati spogli apparivad'un azzurrino purissimo; e in quel cielo fermo e lietoche si sprofondavanell'infinitàpareva che lo spirito di Giacomo attingesse le ragioni della suapersuasione.

Don Angelonel passare dalla cucinavide Battista in unangolo tra la credenza e il muroin piedicolle spalle appoggiate al legnocolle braccia nascoste sotto il gabbanocol testone bassoin un'attitudine dicolpevole punito. Angiolino inveceche non poteva star fermo nelle sue smaniedolorosedopo essere uscito cinquanta volte a cercare un sollievo al suopatimento in qualche occupazione materiales'era messo a sedere sopra un saccodi cruschello e stava lícolla testa curva sui ginocchicoi pugni stretticolla gola strozzata da un dolore furiosoche non osava farsi sentire. Insiemealla pietà per la povera Celestina e per il povero Giacomofremeva in lui unrancore che non voleva morire; e intanto gli pareva che qualche cosa di vivo edi palpitante si distaccasse dal cuore. Senza che egli potesse capireinCelestinapiú che la sorellarimpiangeva lo svanire d'un misterioso incanto.

Dopo il pieno scampanare della benedizioneun lungo silenziosi diffuse per la casaper la corte spopolataper tutta la campagna lucente alsole. Una luminosità gioiosa si spargeva in quel pomeriggio di Natale senzanuvole e senza nebbia e correva sulle creste dei montiche riflettevanosplendori d'argento nella tremula trasparenza dell'aria.

Raggruppati su un vecchio traveaccanto al muro del porticoil Manetta e alcuni uomini delle fornaci discorrevano accorati con mezze frasinel tenore morto d'un suffragio. Parlavan di leidi Giacomodel casodeimaliche vengono senza farsi cercare; poi da capo a crollar la testa edasciugar gli occhi col ruvido palmo della mano. Una volta fece una rapidacomparsa tra il chiaro e il fosco il signor della Rivalta; domandò qualchenotizia e scomparve colla stessa furia. Forse c'era a casa chi lo aspettava conansiosa curiosità. Forse correva anche lui dietro a un suo incanto... Sullaloggetta era un rapido incontrarsi di donne che non parlavan piú per rispettoalla morte.

- Giacomo- disse la voce grave di don Angelo conquell'intonazione un po' alta ed estraneadi cui si servono i pretiquandosentono di parlare in nome di una forza superiore - abbi pazienzapoveroGiacomo; per lei forse è meglio cosí. Non andiamo a investigare la volontà diDioma lasciamola passare. Puoi venir di sopra?

- Le avete detto il mio pensiero? - chiese il nipote con vocealtrettanto ferma.

- Gliel'ho detto. Quasi non voleva accettare; ma quando capíche per lei non c'è piú nessun'altra speranza in questo mondo e che nonpotrebbe avere da te una consolazione piú grandeha detto con gioia di sí. Mabisogna far presto.

Giacomo si mosse sotto la guida d'un segreto pensieroche losorreggeva. Il vecchio preteche nei suoi settant'anni maturi poteva dirsistagionato contro i tocchi della tenerezzagli passò il braccio nel braccio evolle accompagnarlo su per gli scalini.

- Allora faccio venire i testimoni - disse quando furonosulla loggetta. Giacomo entrò nella stanza vicinae ne uscí pochi minuti dopocoi capelli ravviati e con indosso il vestito neropronto per la cerimonia.Ebbe ancora un assalto di smarrimento momentaneo; ma il Brandati e lo zio lopresero in mezzo e lo menarono nella stanza della moribonda.

La mattina le avevano portato la Comunione. Ardevano ancorasul tavolino le due candele benedette in mezzo ad alcuni fioriche Angiolinos'era fatto dare dal giardiniere del Ronchetto. Alcune donne stavano inginocchioaccanto al murocol viso in lagrime. Battista e Angiolinoai pièdel lettoparevano non veder piú nulla.

La cerimonia cominciò.

- Voi siete i due testimoni - disse ai due giovani la voce didon Angeloche conservava in mezzo a quello scompigliato silenzioun'intonazione d'ordine e di comando. Si mise al collo la stola rossaaprí unlibro dagli orli doratifece il segno della croce.

Dopo aver letto sottovoce alcune preghiere in latinosichinò sull'assopitaper dirle piano all'orecchio:

- Celestinafigliuolac'è qui il tuo Giacomoche ti vuolesposare.

La giovane aprí languidamente gli occhili girò per lastanza. Un umile sorriso scosse e tremolò sulle sue labbra riarse dalla febbreinfettivache la divorava.

- Mi ascoltifigliuola? - tornò a dire don Angelo. Essafece colle palpebre un piccol segno di sí. E il prete con accento piúsostenuto: - È contento il qui presente Giacomo Lanzavecchia di sposare la quipresente Celestina Benetti?

- Sí - rispose Giacomo con un'espressione e un tono di vocechesfuggendo di mezzo ai brividi dell'animarisonò con una dolcezzasingolare.

- È contenta... Sei contentaCelestinadi sposare il tuoGiacomo? - sussurrò don Angelocurvandosi un poco sulla testa della malatamal resistendo anche lui questa volta alla violenza delle cose.

La morenteche seguiva coll'occhio luminoso la santacerimoniadisse un «sí» chiaroridenteche radunò tutte le speranzesfiorite della povera anima sua.

Stese la mano stancamentre la mamma Santinache nonriusciva a inghiottire tutte le sue lagrimecercava di mettere nella mano diGiacomo il vecchio anello d'oroche le aveva dato quarant'anni fa il suo Mauro.

Il figliuoloil quale non vedeva innanzi a sé che unbarbaglio di cose biancheaiutato dai vecchiche mescolavano colle sue le loromani tremantimise l'anello nuziale nel dito della sua promessa. Poi si lasciòcadere in ginocchio e restò come morto. Celestina sollevò la mano e glielaposò sul capo.

- Quod Deus coniunxit homo non separet - recitò ilpreteritrovando la sua voce naturale. Poi continuò le altre parole del ritomentre cercava di avvolgerli nella sua benedizione.

Piangevano tuttiin silenzionon senza qualche segretaconsolazione. Celestinafissati gli occhi in viso alla mamma Santinaparvechiedere qualche cosa. La mamma sollevò un poco colle mani la testa di Giacomo:

- PerdonaGiacomo - disse con un filo di voce - perdonaperdona...

Fu questo l'ultimo sforzo d'una vita che fuggiva già lontanocome fugge un'ombra all'avvicinarsi di una gran luce.

Don Angelo senza pensare a cambiar stolavoltò alcunepagine del libroche contiene in poco spazio l'eterna leggenda delle gioie edei dolori che passanoe cominciò a leggere le orazioni degli agonizzantiacui risposero i presentistando inginocchiati.

La poverina spirò ai primi tocchi dell'avemaria sul finiredi quel Natale che doveva essere per lei cosí bello e cosí felice.

Giacomo si alzò e venne condotto fuori. Non piangeva. Unsentimento di serena convinzionestarei per dire di umiltà soddisfattaglipermetteva di essere il meno scosso e il meno turbato di tutti. Sentivaconfusamente che qualche cosa era finitoper cedere il posto a qualche cosa dipiù grandeche non avrebbe potuto trovar posto poco prima nell'anima sua.

 

 

XIV

 

IL ROSARIO DEL FILOSOFO

 

Per tutto il tempo che le campane accompagnarono col suonolento ed uguale il funerale della vittimaGiacomo non fece che ricamare i suoipensieri nella cenere del caminostando sedutocoi piedi sulla pietracolbraccio appoggiato al ginocchiocolla testa appoggiata al palmo della manonella penombra crescente della fredda cucina.

La genteche per un bisogno logico dello spirito non puòfare a meno di cercare alle cose che accadono la ragione che le muoveavrebbepotuto domandargli che significato voleva avere per lui questo matrimonio inarticulo mortistanto in faccia a Diocome in faccia agli uomini: e checosa accomodavache cosa giustificavache cosa santificava? E non sapendotrovarla questa ragionela gente poteva supporre ch'egli vi avesse almenoqualche particolare vantaggio.

Fortunatamente Giacomo non era piú obbligato a rispondere anessunonemmeno a sé stesso. Viaggiando molto lontano nella dolorosaesperienzaegli era uscito molti passi dalla strada delle ragioni solite ecamminavacalpestando le idee accessoriecon un sentimento ignoto al sensocomuneverso una Ideache metteva finalmente nel suo spirito la pace dell'uomovittorioso.

Nella coscienza del suo dolore cercava di misurare le forzecome chi sa che dovrà rimettersi in cammino al nuovo spuntare del dí per unavia maestradopo aver perduto molto tempo e stancate molte illusioni in unlabirinto di sentieri dirotti ed oscuri. Sínon senza qualche meravigliaassisteva egli stesso all'umiliazione del suo orgoglio. Non senza qualchecuriosità andava cercando da dove gli venisse questa pace insieme a tanta forzadi rassegnazionedi umile rinunciaquasi di consacrazione de' suoi mali. Nongli veniva certo dalla cenere del suo libro abbruciato; non dall'eloquenza delvecchio preteche gli aveva parlato di leggi immutabili; non dalla necessitàche stringe e costringe i piccoli bisogni e i piccoli egoismi umani in unaffamato sofisma.

Era tanto immerso in questa ricerca che non si accorsesubitoquando i suoidi ritorno dal funeraledopo aver lasciata Celestinasotto la neverientrarono a poco a pocoin silenzioe presero postochi quachi lànella stanza già annerita dall'ombra della sera.

Insieme a quelli di casa entrarono anche gli uomini e ledonne di serviziocoi lavoratori delle fornacie tutti presero postocomegente vintasulle panchettesui sacchisui trespoli accostati al muro. Ilvecchio Manetta venne a cercare il suo posto sulla pietra stessa del caminoaipiedi del sor Giacom.

- VediGiacomo? - disse la voce sonora dello zio pretementre la mamma Santina attaccava una lampadina accesa davanti a un quadretto. -Siam qua tutti a recitare il rosario per quella figliuolache è morta come unangelocol desiderio che si perdonasse: va beneGiacomo?

Questi mosse una mano e cercò quella grossa e forte dellozio.

Allora il prete sedette a capo della tavola elevata unacorona dalla tascaintonò il primo atto dei misteri dolorosi colla sua vocealta e vigorosache andava avanti come per aprire una strada: e dietroseguivano confusamentepiú intralciate e nascostele altre voci diverseproprio col disordine di un branco di pecoreche si affollano dietro un pastoregrande e robusto.

Giacomo per le sue convinzioni filosofiche non potevarispondere a una preghiera non sua. Tuttavia tutte le volte che il pretecon unaccento quasi di maggior insistenzaripeteva: Requiem aeternam dona eiDomine... non sapeva rifiutarsi d'associare la sua voce e la sua volontàalle altreche invocavano la pace alla poverina.

«Chi può dire» pensava in cuor suo «che i morti nonascoltino le voci dei vivi? Non aveva egli già avviata l'opera della pacequando aveva benedetta col suo amore l'agonia della disgraziata? Celestina eramorta colla consolazione che l'amor del suo Giacomo la seguisse anche di là. Inquesta certezza aveva sorriso all'oscuro misterocome se col morire nonl'aspettasse il letto umido della fossama l'amplesso dello sposo.

- Et lux perpetua luceat ei... - ripeteva il corodelle anime sincere. E Giacomoche si lasciava trascinare dalla forza di tantevoci umanecome da un'ondache lo sospingesse molto lontanoscoprivafinalmente che anche a lui questa nuova pace veniva dall'opera dell'amore edella pietà. Col non rifiutare a lei una benedizione aveva provveduto anche asé: perché il bene che fai è quello che ti porta. In questa coscienzadell'uomo buono e beneficoinsieme alla pacesiede la santità della vita.

- Et lux perpetua luceat ei... - ripeteva il coro degliumili. Egli intanto non cessava dal meravigliarsivedendo come nessun apparatodi dottrine occorreva a produrre questi dolci miracoli; ma basta a raggiungere ipiú alti ideali un'anima sempliceche affidi a un affetto sincero. Nessunsapiente aveva sorriso mai alla morte con tanta dolcezza come Celestina nell'oraestrema. Egli le aveva schiuso un paradiso. Cosí la forza degli affetti ciriporta alla natura: e per questa vianon per altreci accostiamo a Dio e Dioci viene incontro.

- El lux perpetua luceat ei... - rispondeva ilfilosofo nella pia umiliazione del suo spirito. - La Scienza? - chiedeva poi aqualcunoche andava allontanandosi da lui. - La Scienzache non può maiessere piú grande del nostro orgogliosta di contro alla verità della vitacome un piccolo e ruvido scoglio di contro all'immensità dei mare. Oh leinfinite estensioni del mare! Il mare ha forze inesauribiliche non siconsumano per urtare che facciano contro un povero sasso.

Tocca a chi ha avuto la visione dell'infinitotocca a chisente dentro di sé il fluttuare divino di quest'onda instancabileilpurificare le miserie della terra e risanare i deboliche il destino condannaalle angustie dell'egoismo.

Tutta l'umanità dotta ed indotta naviga per questomisterioso mare senza sponde. Forse è una barca solache ci trasporta tuttinella direzione di una Volontà; e poco importa che tu segga a prora o a poppa.Ben poca cosa è qualche passoche tu muova sul ponte della barca nelladirezione del viaggio comune o nel senso inverso. Tutti approderemo o prima odopo alla stessa riva.

Il Manettache stavacome si è dettoseduto sulla pietradel caminostretta la lucida testa nelle mani ruvide e logorate dalla terraquando tutti si mossero per rispondere al de profundissi alzòdolorosamente anche luie tentennandocercò di inginocchiarsi in terra.Giacomoa cui parve che il povero vecchio si umiliasse per luigli porse lamanoche il fornaciaio strinse nella sua e si recò al petto con pietosatenerezza. Edal modo col quale il vecchio servo prese a rispondere al salmoil padrone vide lo sforzo affannoso d'un'animache vola al soccorso diun'altra.

Giacomo s'intenerí. Nuove lagrime presero a scendereinaspettate nei solchi inariditiin cui eran passate le lagrime dell'odio edella disperazione. Il gran discorso del vecchio lavoratore gli ripassò nelcuoree con un senso quasi di rimorso si domandò: «Che cosa ha procurato acostui la filosofia da Talete in poi? ben ha potuto talvolta seminare ildisprezzo degli uomini e indurre la disperazione nei cuori; ma tutte le statuedi Aristotile non valgono un pezzo di pane. E tutta la psicologia non vale lelagrime d'un orfanello. Vavao filosofosemina l'idea tua nell'opera tua.»

Improvvisamente si sentí battere un gran colpo alla porta.

- Chi è? - chiese don Angelointerrompendo la salmodia; poisoggiunse nel silenzio generale: - Andate a vedere.

La Lisa un poco esitante si mossetirò il palettodell'uscio e aprí un battenteche lasciò passareinsieme a un soffio d'ariacrudaun leggiero fantasma di luna.

- Un telegramma - disse la voce del procaccia.

- È per teGiacomo - soggiunse la Lisamentre Angiolino siaccostava colla lampadina.

Giacomo colle mani che fuggivano ruppe il dispaccioloscorse cogli occhipoi con voce accoratache sentiva la mortificazionelessein modo che tutti potessero intendere:

«Povero babbo morto oggi alle cinque. Preghi e facciapregare per luiper noi. Enrichetta.»

 

 

XV

 

LA MORALE PRATICA DELLA STORIA

 

Don Lorenzo moriva sulle prime pagine di quel suo gran«Discorso preliminare»che probabilmente non avrebbe mai avute le ultimeanche se l'autoreincontentabile nella sua delicatezza stilisticafossecampato gli anni di Matusalemme. Lo stile piú perfetto dev'essere quello chenon si scriveperché nulla nuoce tanto alla perfezione quanto la necessità diconchiudere. E senza conchiudere se ne andòpover'uomoda questo mondocollacoscienza di non aver fatto nulla di maleportando seco l'amarezza di queldolore assassinoche l'aveva ucciso. Pochesempre le stessefurono le sueparole nei brevi giorni cheassalito nuovamente dal suo malestette indecisotra la vita e la morte. - Si precipita!... - aveva cominciato a dire; e nonseppe dir altro. Nell'angustia del suo spiritonella struttura arida e tuttagrammaticale del suo giudizionon seppeprima di chiudere gli occhielevarsia un sentimento di incoraggiamentodi compassionedi compatimentoné trovareuna parola nemmeno antiquatache sonasse per donna Cristina come un sospiro dibenevolenza. Il pover'uomo non trovò nel suo abbattimento la forza dirisvegliare nemmeno quella gran bontàche aveva sempre sonnecchiato in lui. Ecosídopo aver tanto cercata la pace in vita suamoriva in una mezza colleracogli uomini e con sé stessobenedetto dal buon canonico Ostinellicheaccettò di esprimere (la buon'anima gli perdoni) in una sua iscrizione allabuonatutte le belle qualità che ornavano il suo spirito e che non impedironoa un Magnenzio di Villalta d'essere quasi un uomo inutile.

Giacintochiamato in fretta al letto di mortepartivasubito dopo la disgraziaper l'Africamentre già cominciavano a venire di làgrosse notizie di guerra.

Intanto gli affari delle fornaci si rialzavano collamediazione dello zio prete e sotto gli auspici di una solida ditta bergamascacherilevando i crediti del signore della Rivaltaassicurò pane e lavoro aBattista ed Angiolinoe permise alla mamma Santina di continuare a bere il suocaffè nel seggiolone del pà. Anche il matrimonio della Lisa fu definitivamenteconchiuso; e cosí fu dimostrato quel che don Angelo Lanzavecchia non cessa maidi ripeterecioè che le cose del mondocome le nocisi accomodano da sé nelpaniere tanto piú presto quanto maggiori sono le scosse del viaggio.

E speriamo che in quest'opinione torni anche il sorFrancescol'oste della Fraschettasecome si diceper intercessione dellacontessa e di Monsignorei giudici vorranno usargli dell'indulgenza. Fu un gransussurro quel giorno che i carabinieri si presentarono all'uscio dell'osterianon per bere il solito vin biancoma con un mandato di cattura! Si parlava d'uncomplotto ordito tra lui e non so quali vagabondi per cavar denari al conteLorenzo colla minaccia di scandalose rivelazioni. Si volle che la lettera delfamoso Galiasso fosse stata scritta coll'inchiostro lungo dell'osteria; ma nonsi è potuto dimostrare. Esiccome ciò che non si può dimostrare non hanessun dovere d'essere verocosí possiamo sperare che il buon Francesco escadall'intrigo e torni presto a fabbricare il suo vinomagari anche coll'uva.

 

 

XVI

 

 

BISOGNA COMINCIARE DA CAPO

 

Il tempo continuò quell'inverno piuttosto bellocon brevinevicate seguite da giorni stupendi di sole. Giacomoche una piú serenacoscienza avviava a considerare le debolezze umane come nella sua carità ledeve giudicare il buon Dioaveva ottenuto di poter restare alle fornaci findopo le feste dell'Epifania. Sperava di trovare nella quiete di Pallanzanellabellezza del lagonel rifiorire non lontano della primavera quell'energiafisicadi cui il suo spirito aveva bisogno per andare avanti. Le scosse eranstate troppe e troppo fortiperché il suo intero organismoper quantorobustonon avesse a sentirsene come scassinato e rotto. Frequenti vertigini dicapo gli davano spesso allucinazioni d'immagini bianche svolazzanti nell'ariadi cui non si spaventavaconoscendo per gli studi fattifin da quandopreparava la sua laurea di psicologiache i nervi mal nutriti ed esauriti fannofacilmente questi scherzi curiosi.

A Pallanzapoiché la mamma preferiva rimanere accanto alsuo Mauro non avrebbe condotto che Blitzil povero Blitzil povero pessimistasporco...

La vigilia dell'Epifania mentre stava sciacquando il vecchiogamellino sul davanzale della finestra (la campagna bianca splendeva tutta in unbarbaglio di sole)sentí la voce del Manettache lo chiamava dalla corte echemostrando una lettera orlata di nerogli disse:

- L'ha portata un ragazzo dal Ronchetto per leisorGiacom.

In un biglietto scritto in matita donna Cristina Magnenzioavvertiva che si sarebbe fermata al Ronchetto soltanto alcune ore. Il bigliettonon diceva nulla di piú: non chiedeva nulla. Ma Giacomo non ebbe neppure unistante di titubanza. Si vestí in frettae s'incamminò per la breve stradadel "Roccolo" verso la villacolla volontà desiderosa di chi va acompiere una promessa. Coll'animo pieno di parole giunse al cancello che trovòaperto. Entrò nel grande giardinotutto vestito di nevesotto i bianchi ramiche si cristallizzavano nella luce opalina del cielo.

Raggiunse il viale dei carpiniche disegnavano nella selvaincantata una specie d'anfiteatro di marmo. Qui s'era incontrato con Celestinaun giorno in cui il suo cuore era ancor tenero di speranze e di sogni.

Ora questo povero cuore pareva assiderato anche lui in unapace profonda.

Il freddo che usciva dai boschi e dalla terramandò al suocapo una di quelle vertiginicontro le quali mal resisteva da qualche tempo.L'immagine biancache svolazzò davantilo ingombrò un istante come sepassasse per impedirgli la strada. Si fermòaspettò che svanissel'allucinazioneeseguendo sulla neve le tracce fresche d'una carrozzaarrivò col respiro cortofremendo in un piccolo moto convulsofino all'atriodel palazzo che si spiegava luminoso al sole. Nel cortile vide la carrozza fermae alcuni uominitra cui Fabrizioche nella pesante livrea di panno nero parevadiminuito e invecchiato di dieci anni.

- Dov'è? - chiese.

- È quinello studio del conte...

Il vecchio servitore avrebbe voluto cominciare un rimpiantoma Giacomosenza aspettare che l'altro andasse avanti ad annunciarloobbedendoancora a quel comando interioreche gli faceva forte il pensieroattraversòl'atriopassò nel salotto da pranzotutto chiuso e scurodove le sedieintorno alla tavola nuda parevano aspettare qualcunoche non sarebbe piútornatoe si diresse verso la biblioteca.

La contessache era venuta a ritirare alcune cartestavaseduta allo scrittoionascosta dai volumiche facevano una specie di baluardosulla tavola; né egli la vide subitoné essa sentí subito il suo passosmorzato dal panno del tappeto. Quando la signora si mosse nella luce freddadella finestrafu quasi un incontrarsi improvvisoche li fece trasalireentrambi in una scossa dolorosa. Dacché non si eran piú riveduticioè dopolo straziante colloquio nella sala verdela loro vita era passata attraverso aferoci doloriche premevano sul cuore di tutti e dueche non potevano piútacere.

Nel rivedersidopo i tragici eventicome due fataliambasciatori della mortegettarono un sommesso grido lagrimosoquasid'ambascia che si schiude.

Nel chiaror pallidoche la selvetta coperta di neve e ilcampo candido del giardino riverberavano sugli scaffalila contessa si avanzònella sua pesante gramaglia che faceva comparire piú scarna e marmorea lagrande pallidezza del volto.

La donna era vintama non prostrata.

Al disopra di tutti gli avvilimenti parlava in lei alta lacoscienza del suo ideale.

Nel movere qualche passo verso Giacomoche veniva a portarleil perdono della vittimafu essa la prima a stendergli le mani. Con un sorrisomortoche oscillò negli angoli della bocca come una timida ironiadonnaCristina cercò di respingere quel gran bisogno di piangerequel fremito difolliaa cui la trascinava il pensiero della sua sconfitta e della sua poveracasa precipitata.

- O Giacomo - proruppe con voce malatamovendo la testa conun lento abbandonomentre colle braccia tese si attaccava al collo del giovane.- O Giacomoperché non siamo morti noi?

Giacomo impallidí. Le palpebre velarono la luce de' suoigrandi occhi cerulei. Attese che il doloroso istante passasse e sentendo a untratto ridestarsi il suo cuore in una nuova e misteriosa dolcezza con una vocein cui scorrevano lagrime invisibili:

- Oh contessa! - esclamò - c'è qualche cosa di piú santodella morte.

E riaperti a fatica gli occhi come chi si sveglia da un lungoe faticoso letargosi recò la mano della signora alle labbramormorando:

- Forse bisogna cominciare da capo.